I Disturbi del Comportamento Alimentare e la rilevanza del cibo nell'epoca post-moderna
Per analizzare il significato conferito al cibo nell’epoca post-moderna è inevitabile fare riferimento ai cambiamenti che tale concetto ha subito nel corso del tempo.
È difficile stabilire con precisione quando il discorso intorno al cibo è diventato un discorso culturale e sociale.
Possiamo affermare, tuttavia, che fin dall’antica Grecia le scelte alimentari possedevano un significato che andava oltre i limiti del gusto, fino ad acquisire una rilevanza culturale, religiosa e sociale. Basti pensare che, se cucinare era fondamentale e salutare per i greci e i romani, non cucinare i cibi o farlo in maniera differente dalla propria corrispondeva a un segno di inciviltà.
Allora, che cosa è cambiato nel corso degli anni? Probabilmente, la dimensione culturale è stata sostituita se non schiacciata da quella popolare, tipica della cultura di massa dei nostri giorni. La questione è divenuta di una tale importanza, tanto che si sente l’esigenza di dover prendere posizione rispetto alle proprie scelte alimentari, avendo necessariamente a portata di mano delle “ragioni”, dei “valori”.
Che cosa possiamo dire, invece, dei disturbi mentali connessi al cibo?
Le ricerche di Rudolph M. Bell (“La santa anoressia. Digiuno e misticismo dal Medioevo a oggi”, 1998) hanno messo in evidenza l’associazione tra il fenomeno dell’anoressia medioevale e la problematica alimentare del nostro tempo. In particolare, gli studi della vite di alcune sante vissute tra il 1300 e il 1500 hanno portato alla luce la presenza di problematiche alimentari radicate nell’esigenza di raggiungere il successo personale e la possibilità di scegliere liberamente per sé in una società quale quella patriarcale. L’autore in questione ha definito la scelta della carriera religiosa, della verginità o del rifiuto di alimentarsi come la possibilità di una libera scelta e di un ruolo attivo in un mondo in cui la scelta era strettamente maschile.
Senofonte, storico ateniese, riferiva di un fenomeno di fame improvvisa e incontenibile che colpiva alcuni soldati in battaglia, a cui gli esperti hanno successivamente conferito il termine “bulimia”.
Sono svariati gli esempi che potremmo fornire fino ad arrivare alle definizioni più recenti delle problematiche alimentari. Possiamo, comunque, affermare con decisione che in ogni epoca storica particolari disturbi psicologici sembrano prendere piede più di altri, risaltando un certo aspetto dell’essere umano e mettendo in luce dinamiche, modalità e incertezze tipiche dello specifico periodo storico, sociale e culturale.
Al giorno d’oggi, i Disturbi del Comportamento Alimentare si distinguono per una comune tendenza alla dissimulazione del problema e all’evitamento dell’aiuto professionale: fattori, questi, che non consentono di attuare un percorso di cura opportunatamente rapido. Nel 2003, gli autori Hoek H.W. e Van Hoeken D. rilevavano che soltanto la terza parte dei pazienti con Anoressia Nervosa e il 6% dei pazienti bulimici giungevano presso i servizi di Salute Mentale.
Non potendo dilungarmi né annoiarvi troppo, vorrei, a questo punto, tentare di delineare alcuni dei principali Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA). Secondo la quinta edizione del Dsm (American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-5, 2013), è possibile distinguere sei categorie diagnostiche principali, oltre ad alcune categorie residue:
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