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Dott. Alessio Gennaro Miele

Psicologo clinico

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Un Figlio Dimenticato

La storia è quella del figlio di mia moglie , 28 anni, che vive ormai da anni socialmente isolato con l' ex marito, preda del vizio dell' alcol durante tutti i fine settimana. Il figlio , rifiuta tutti , il padre per i suoi comportamenti , per il suo stato di ubriaco , la madre che ha divorziato abbandonando la famiglia, la sorella per i trascorsi di tossicodipendente ma che ora si è rifatta una vita , felicemente sposata con 2 bambine. Nei trascorsi 8 anni , periodo in cui ha cominciato a manifestare questo atteggiamento , ha avuto alcuni episodi di aggressione violenta verso il padre . Per questo motivo , denunciato ha subito il TSO ed internato in ospedale è stato trattato farmacologicamente e dopo alcuni giorni rimandato a casa. In seguito al trattamento è ritornato a vivere , era in grado anche di lavorare , apparentemente una persona ritrovata . E' stato bene per qualche mese , ma poi , rifiutando di assumere i farmaci , è ripiombato nello stato di crisi , chiuso in camera , spesso al buio , con il suo cane fedele , abbandonato , senza scambiare parola con nessuno., una condizione molto molto brutta , insopportabile. La madre , che vive con me a 300km di distanza ,ha fatto tutti i tentativi possibili , agendo direttamente sul figlio che però resta chiuso in camera anche quando lo va a trovare ovvero non comunica , parlando con i referenti dell' ospedale , parlando con l' assistente sociale del comune . Non ottiene niente di niente, e piano piano è arrivata lentamente ad accettare la cosa ormai quasi rassegnata , nell' impossibilità di agire , di recuperare un figlio ormai finito in uno stato senza ritorno. Aggiungo inoltre che a parer mio si tratta di un caso di disturbo della psiche sicuramente importante , ma io non ho sentito nessuno emettere una diagnosi della malattia da parte dei referenti dell' ospedale. Al primo ricovero ho visto che ipotizzavano come causa del disturbo una possibile azione di qualche sostanza assunta . MI sembra che non ci sia niente di precisato , di compreso veramente. Voi da queste poche informazioni avete un' idea di che tipo di malattia si tratti? Schizzofrenia? Ormai sono passati molti anni , vedo che le strutture predisposte si occupano del caso solo se avviene la denuncia in seguito ad un episodio violento , possibile che non si possa intervenire in qualche modo diverso ? Bisogna aspettare che ci sia la morte di qualcuno? Apprezzerei molto i vostri suggerimenti in merito. Grazie Antonio

Caro Antonio,
ho letto le sue parole con grande attenzione, e sento tutto il dolore, la frustrazione e anche l’impotenza che trasmette. La situazione che descrive è complessa e logorante, soprattutto perché coinvolge gli affetti più profondi: un figlio dimenticato, come ha scritto lei, ma mai davvero lasciato andare da chi ancora spera, soffre e si interroga.

Quello che racconta sembra il percorso di una persona ferita, chiusa nel proprio mondo, con una sofferenza psichica profonda che negli anni non ha trovato lo spazio, il tempo e forse gli strumenti adeguati per essere davvero accolta e compresa. Lei si chiede che disturbo possa essere, e comprendo bene il bisogno di capire, dare un nome, orientarsi. Ma prima ancora della diagnosi – che andrebbe fatta da un’équipe con una valutazione approfondita – io vedo un ragazzo che è stato lasciato troppo solo, e una madre che ha lottato a lungo, fino allo sfinimento.

La sensazione di dover attendere un nuovo episodio di violenza per “riattivare” le strutture è purtroppo una triste realtà in molti contesti, ma non deve diventare una resa. Esistono percorsi di accompagnamento, anche indiretti, in cui si può lavorare con i familiari per capire come mantenere un filo, come resistere alla sensazione di impotenza e trovare margini di intervento possibili, anche piccoli.

Se lo desidera, possiamo parlarne insieme. Non ho soluzioni facili, ma offro ascolto competente, senza giudizio, e l’impegno sincero ad affiancarla nel comprendere meglio, nel fare chiarezza, e forse nel riaccendere, con delicatezza, un tentativo di contatto.

Io ci sono, Antonio. Quando vorrà.

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