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Dott. Alessio Gennaro Miele

Psicologo clinico

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  • consulenza online

Perché non faccio niente per stare meglio?

Salve. Ho quasi trent'anni e sono depressa da cinque. O forse anche da prima, però riuscivo in qualche modo a "funzionare": vivevo nella città in cui ho frequentato l'università, sostenevo gli esami in tempo e avevo una media molto alta nonostante l'ansia che era sempre presente durante le varie sessioni, avevo una vita sociale. Tutto è precipitato quando ho finito gli esami della magistrale, sono tornata a vivere dai miei e ho cominciato la stesura della tesi. Nel periodo in cui sono finita fuoricorso ci hanno chiusi tutti (primo lockdown) e da quel momento in poi non sono più riuscita a riprendere in mano un libro. A poco a poco ho cominciato a provare sempre più vergogna per la mia situazione, a chiudere con molte persone (non sempre per mia volontà, anzi la maggior parte delle persone che ritenevo amiche mi hanno abbandonata perché non stavo più bene), a diventare una persona priva di stimoli, energie e interessi. Ho cambiato tre psicologi che avevano approcci diversi ma purtroppo non sono riuscita a sbloccare la situazione. So che nessuno potrà sedersi al posto mio e farmi scrivere la tesi: dovrò farlo io e, anche se so che così potrei liberarmi di un peso enorme, non lo faccio. Perché non riesco a tirarmi fuori da questa situazione? Non so per quanto tempo riuscirò a campare così.

Cara Federica,

grazie per aver condiviso con tanta sincerità quello che stai vivendo. Le tue parole raccontano con grande lucidità non solo la fatica del presente, ma anche la consapevolezza profonda di te stessa, che spesso chi soffre tende a sottovalutare. Ciò che descrivi — quel senso di blocco, la perdita di stimoli, la vergogna che si autoalimenta col tempo — non è pigrizia, non è mancanza di volontà. È una forma di sofferenza psichica che spesso si traveste da “colpa personale”, ma che in realtà merita accoglienza, ascolto e cura.

Domandi: “Perché non faccio niente per stare meglio?” — eppure lo stai già facendo, con il semplice atto di scrivere queste righe, di cercare uno spazio dove poter essere capita. Questa è già una forma di resistenza, un tentativo di uscire dall’isolamento interiore. Il fatto che tu sia riuscita a riconoscere il momento in cui tutto è cambiato (la fine degli studi, il lockdown, il ritorno a casa) è molto prezioso: ci dice che questo blocco ha una storia, un senso, non è “a caso”.

Hai provato più percorsi psicologici, senza sentire di aver sbloccato la situazione. A volte accade — non perché la terapia non funzioni, ma perché ci vuole l’incontro giusto: con un* terapeuta che possa tenere insieme il tuo senso di vergogna, la paralisi che senti, ma anche la parte di te che ancora lotta, che si interroga e che, nonostante tutto, vorrebbe tornare a vivere.

Il mio approccio è psicodinamico: lavoro per dare senso al dolore, esplorando non solo i sintomi, ma le storie emotive da cui provengono. Possiamo guardare insieme a cosa rappresenta per te questa tesi: non è solo un testo da finire, ma forse un simbolo potente, il confine tra chi sei stata e chi hai paura di non riuscire a diventare. E se quel blocco non fosse solo da "combattere", ma da capire, da accogliere?

Ti invito a fare questo passo con me. Non prometto scorciatoie, ma uno spazio sicuro in cui potrai iniziare a ritrovare significato, tempo e dignità nei tuoi vissuti. Non sei sola in questa nebbia. E non è troppo tardi.

Se vuoi parlarne, sono qui.

Con rispetto e cura,
Dott. Alessio Gennaro Miele – Psicologo
“La mente non guarisce perché qualcuno la convince, ma perché qualcuno la comprende.”

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Dott.Alessio Gennaro Miele

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