Disagio adolescenziale nei confronti dello studio
Buon pomeriggio, mi chiamo Giovanna e chiedo un parere per come intervenire in merito ad una questione che mi sta fortemente preoccupando. Mio figlio di 16 anni, che frequenta la classe terza liceo scientifico, indirizzo tradizionale, non vuole più studiare. Apre il libro il giorno prima della verifica, ma lo richiude dopo poco tempo. Ciò com'è prevedibile comporta voti spesso negativi, per alcune discipline se la cava meglio...ma il punto è che tutti i giorni mi ripete che non riesce a stare al passo dei suoi compagni e a quanto i suoi insegnanti, a dir suo, pretendono. Vorrebbe cambiare indirizzo di studio e iscriversi al liceo sportivo, sempre nella stessa scuola. Aggiungo che io sono una docente di questa scuola e che sono consapevole del fatto che si senta da me soffocato e oppresso (cosa che ammetto di fare) anche perché, ogni qualvolta prende un voto negativo, ma in generale non si impegna in maniera adeguata, i colleghi suoi insegnanti ne parlano con me. Questa cosa è frustrante sia per lui che per me. Per quanto concerne il cambio di indirizzo che vorrebbe attuare trova tutta la mia disapprovazione in quanto trattasi, ahimè e lo so bene in prima persona, di un ambiente non troppo positivo che, diciamo così, stimola ad un comportamento poco consono e adeguato. Mio figlio è consapevole di tutto ciò, ma il suo desiderio è quello di iscriversi in un corso in cui non si richiede molto impegno nello studio, anche perché vorrebbe iscriversi al conservatorio per studiare pianoforte, che già suona, e che considera la sua grande passione, oltre alla palestra dove oramai si reca tutti i giorni. Ho provato a spiegargli che ogni scuola o indirizzo di studio richiede impegno e dedizione, ma (informato su come purtroppo realmente vanno le cose all'indirizzo sportivo) vuole che io provveda a questo cambio. Gli ho anche proposto, se questa è la sua passione e lo fa stare tranquillo, di dedicarsi solo al conservatorio ed intraprendere la carriera musicale che non gli dispiacerebbe tra l'altro, ma sa bene che avete un diploma gli è necessario. Non so proprio cosa fare, anche il padre ha provato a parlargli ma con scarsi risultati. Vorrei aggiungere un altro elemento che sicuramente ha il suo peso, ho un altro figlio più grande di lui che frequenta l'università, facoltà di Fisica, il cui corso di studi è stato sempre eccellente. Sebbene cerchiamo di evitare il confronto viene fatto spesso, non solo in famiglia ma anche a scuola lo avverte pesantemente, in quanto il fratello ha frequentato la stessa scuola e lo stesso corso, anche alcuni insegnanti sono gli stessi. Sono un'educatrice, mi capita di aiutare e consigliare i miei alunni e i loro genitori, ma mi sento impotente e incapace di fronte alla preoccupazione e al turbamento che sto provando. Ringrazio anticipatamente e attendo i vostri consigli
Gentile Giovanna,
la sua preoccupazione è più che comprensibile, e traspare con forza l’amore e l’attenzione che dedica a suo figlio. Nonostante il suo ruolo di docente e la sua competenza educativa, è del tutto naturale sentirsi “bloccati” quando si è coinvolti in prima persona come genitori: spesso, ciò che consigliamo agli altri con lucidità, diventa difficile da applicare nella sfera familiare.
Da un punto di vista strategico, ci troviamo davanti a un problema che si alimenta proprio attraverso i tentativi messi in atto per risolverlo: più si cerca di convincere, guidare o correggere, più il figlio oppone resistenza o si ritrae. Questo accade spesso in adolescenza, fase in cui il bisogno di autodeterminazione si scontra con le aspettative, soprattutto quando il confronto con figure “modello” — come un fratello eccellente — è inevitabile.
Suo figlio, da quanto racconta, non è disinteressato alla vita o privo di sogni, anzi: ha già delle passioni forti (la musica, lo sport), e questo è un dato prezioso. Forse oggi sta semplicemente cercando una strada che lo rappresenti, dove possa sentire di essere “lui stesso”, non il fratello di qualcuno o il figlio di una docente stimata.
L’obiettivo, quindi, non è forzarlo a restare nel percorso attuale, né “cedere” passivamente al cambiamento, ma lavorare insieme a lui per costruire un senso di responsabilità e appartenenza rispetto a una scelta che lo coinvolga attivamente, invece che subirla o evitarla.
A volte, un breve ciclo di incontri con uno psicologo può aiutare a:
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uscire dal confronto familiare e recuperare uno spazio decisionale personale;
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ridurre la pressione esterna (anche benintenzionata) che genera chiusura e stallo;
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potenziare la motivazione sfruttando le sue passioni (pianoforte, palestra) come leve e non come alternative scolastiche.
Nel suo caso specifico, potrebbe essere utile anche una consulenza genitoriale mirata, in cui riorientare le modalità comunicative con suo figlio per evitare escalation e contrapposizione.
A volte basta cambiare il modo di porre una domanda per ottenere una risposta diversa.
Resto a disposizione,
Dott. Giovanni Noè
Psicologo
Libera professione a Corigliano-Rossano (CS)
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