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Dott. Nicola Nacca

Psicologo

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La crisi in una relazione: comunicare male, capire peggio

Ogni coppia attraversa momenti di crisi, ma non tutte le crisi portano alla fine. Spesso, il problema non è quello che accade, ma come lo leggiamo e soprattutto come lo comunichiamo. Quando la comunicazione comincia a incrinarsi, si crea un vortice che si autoalimenta. È come se uno parlasse arabo e l’altro cinese: ognuno crede di aver capito, ma nessuno verifica davvero. E così, si cresce nell’equivoco, nel silenzio e nel sospetto.

Il meccanismo della crisi: il cortocircuito della comunicazione

Immaginiamo una situazione classica: una frase detta in un certo tono, un messaggio letto in modo diverso da come è stato scritto, un gesto interpretato secondo le proprie paure. Nasce una narrazione interna, che però raramente viene condivisa con l’altro. Da lì, il partner inizia a rispondere a quella narrazione (che magari non ha nulla a che vedere con la realtà) e l’altro, a sua volta, risponde a questa risposta... e il vortice prende vita.

Questa dinamica si alimenta perché spesso non ci fermiamo a chiedere o a chiarire. Abbiamo paura di sembrare fragili o bisognosi, o semplicemente non ci rendiamo conto che stiamo interpretando un comportamento e non osservandolo. Quando una relazione entra in questa fase, si cammina su un filo: ogni parola pesa il doppio, ogni silenzio sembra una sentenza.

Un esempio reale: Antonella e Luigi

Antonella ha 36 anni, è una donna razionale, indipendente, ma anche molto sensibile. Sta con Luigi da sei anni. Una relazione stabile, fatta di progetti e sogni condivisi. Dopo tanto tempo, decidono di andare a convivere. La casa dei sogni prende forma tra ristrutturazioni, mobili scelti insieme e weekend dedicati a scegliere piastrelle, tende, colori.

Ma qualcosa comincia a cambiare.

Antonella mi racconta che Luigi è meno presente, meno affettuoso. Lei inizia a sentirsi trascurata, inizia a chiedersi se lui sia ancora innamorato. Una sera lui torna tardi, non la avvisa. Lei lo accoglie con freddezza. Luigi lo nota, ma non chiede. Pensa che sia stanca. Il giorno dopo lui si chiude un po’, lei lo interpreta come un ulteriore segnale di disinteresse. E così, ogni comportamento dell’uno alimenta la lettura negativa dell’altro.

Antonella arriva in studio e dice: “Credo che stia finendo. Ma non so se è colpa mia, o sua, o se ci siamo semplicemente persi”. Non ci sono tradimenti, né grandi litigi. Solo una distanza crescente e silenziosa.

Le credenze che generano problemi

In questo caso, entrambi i partner stanno leggendo i comportamenti dell’altro attraverso il filtro delle proprie paure. Antonella ha paura di non essere più amata, quindi ogni piccola disattenzione diventa una prova. Luigi si sente sotto pressione per l’organizzazione della casa, è meno presente emotivamente, ma non se ne rende conto. Quando sente freddo da parte di lei, non lo riconduce al proprio comportamento, ma si chiude, pensando che forse Antonella stia vivendo un malessere personale. E così, nessuno dei due mette in discussione la propria lettura della realtà.

Il meccanismo si autoalimenta: io interpreto → tu reagisci a quell’interpretazione → io confermo la mia credenza → tu ti difendi → io mi allontano → tu ti chiudi… e via così.

Strategia pratica: la “verifica reciproca”

Con Antonella abbiamo lavorato su una strategia molto semplice, ma potentissima: la verifica reciproca. Le ho chiesto di scegliere un comportamento di Luigi che le faceva male (es. quando lui non le scriveva durante il giorno) e invece di interpretarlo, semplicemente chiedere.

Un giorno mi disse: “Ieri l’ho fatto. Gli ho detto: Quando non mi scrivi durante la giornata, io mi sento come se non fossi nei tuoi pensieri. Ma forse ho capito male, tu come la vivi?”.

Quella domanda ha aperto una porta.

Luigi le ha spiegato che in quel periodo, con i lavori della casa e il lavoro stressante, stava cercando di ‘tenere botta’ e che scriverle poco non era un gesto d’indifferenza, ma la manifestazione di un sovraccarico. Non se n’era neanche accorto.

Quella conversazione è durata dieci minuti, ma ha cambiato tutto. Hanno iniziato a parlarsi di più, a chiedersi “come hai interpretato quello che ti ho detto?”, a rimettere in discussione le letture automatiche. Hanno capito che la crisi non era della relazione, ma del modo in cui la stavano vivendo.

Quando si teme la fine dell’amore

A volte, la paura che l’amore stia finendo nasce proprio dal fatto che ci sentiamo soli, incompresi, confusi. Ma non sempre questa paura corrisponde a una realtà. Spesso è la distanza emotiva, figlia di incomprensioni e silenzi, a farci sentire così. È fondamentale imparare a distinguere tra ciò che l’altro fa e ciò che noi crediamo che stia facendo.

Il punto non è “chi ha ragione”, ma “cosa sta succedendo tra noi”. Le crisi sono fasi di passaggio, e come tutti i passaggi richiedono attenzione, cura e soprattutto comunicazione.

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Dott.Nicola Nacca

Psicologo - Caserta

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