La sindrome da rientro — quando il pensiero del lavoro rovina anche la vacanza
Hai presente quella vocina fastidiosa che, mentre sei sdraiato in spiaggia, ti ricorda la posta in arrivo, le riunioni e i report? Per molte persone non è solo una vocina: è l’ansia da rientro, la cosiddetta "post-vacation blues" o sindrome da rientro. Non è una malattia grave, ma una reazione comune e temporanea al passaggio dalla libertà delle ferie alla routine lavorativa.
Questa condizione si presenta con sintomi fisici ed emotivi: stanchezza intensa, irritabilità, difficoltà di concentrazione, sonnolenza o insonnia, mal di testa e a volte anche disturbi digestivi. Per molti è come se l’energia raccolta durante la vacanza venisse risucchiata appena si pensa al ritorno in ufficio.
Alcune statistiche giornalistiche raccontano che una porzione significativa di persone sperimenta questo malessere dopo le ferie: per esempio, articoli recenti riportano che circa 1 italiano su 3 dichiara di sentirne gli effetti almeno in forma lieve. Non è una condanna a vita: di solito i sintomi sono passeggeri e si attenuano in pochi giorni o settimane.
Il caso di Vincenzo (44 anni, sales manager)
Vincenzo è venuto in studio perché si sentiva “colpevole di non riuscire a godermi le vacanze”. Era stato a Torre dell’Orso con la famiglia per 15 giorni: mare, pineta, due scoglielli caratteristici — roba bella. Eppure al terzo giorno il pensiero del rientro lo aveva già inghiottito.
Mi ha raccontato che i primi 3 giorni li ha passati a dormire, come se il corpo cercasse di tamponare lo stress accumulato; poi, i successivi 3 giorni li ha riempiti in modo frenetico – attività, escursioni, letture affannate — per paura di "sprecare" il tempo rimasto. Insomma: su 15 giorni effettivi, metà erano andati via tra senso di colpa e ansia. Questo gli ha lasciato due reazioni tipiche: da un lato colpa (“ho buttato via giorni dormendo”), dall’altro ansia performativa (“devo sfruttare tutto o sarà peggio”).
Questa dinamica — alternanza tra esaustione vera e iper-attivazione per timore di perdere l’esperienza — è comune. Molte persone oscillano tra "non ce la faccio" e "devo fare tutto", e finiscono per perdere quello per cui avevano preso le ferie: rallentare e ricaricare.
Come ho lavorato con Vincenzo: una strategia pratica e semplice
Ho proposto un piano breve, pratico e concreto — niente teoria astratta, solo cose da fare al volo.
1. Normalizzazione rapida
Abbiamo cominciato togliendo subito la colpa: gli ho detto che quello che gli succede è normale e capita a molti. Sapere che è una reazione umana aiuta già a respirare.
2. Riconoscimento del valore del riposo
Abbiamo rimappato il "dormire" non come perdita ma come recupero: tre giorni a letto non sono giorni buttati se servivano a metabolizzare stress. Gli ho chiesto di annotare — anche mentalmente — come si sentiva prima e dopo quei riposi: vedere la differenza aiuta a legittimare il bisogno di fermarsi.
3. Strategia del “mezzo giorno di decompressione” post-vacanza
Gli ho suggerito di non tornare al lavoro la sera stessa: avere almeno mezza giornata libera dopo il viaggio per non traslare immediatamente la routine lavorativa. Niente mail, niente check-list, solo attività leggere (una passeggiata, un buon pranzo, riordinare le foto).
4. Rientro graduale e pubblico
Abbiamo pensato a un primo giorno di lavoro “diffuso”: qualche ora di posta prioritaria, due telefonate importanti, e poi fermarsi. L’ho aiutato a comunicare ai colleghi: “Rientro con modalità soft oggi, grazie della pazienza”. Mettere le aspettative aiuta il sistema (e lui) a non schiacciarsi.
5. Piccoli rituali anti-colpa
Gli ho chiesto di scegliere tre micro-atti quotidiani per la prima settimana di rientro: un caffè senza schermo, una pausa camminata, 10 minuti di respirazione serale. Piccole cose, ma fatte con intenzione, riducono il senso di dover “recuperare” tutto in fretta.
6. De-brief settimanale
Dopo il primo giorno e alla fine della settimana l’abbiamo incontrato: non per valutare produttività, ma per sentire come stava. Condividere l’esperienza (anche solo per 10 minuti) normalizza e fornisce rinforzo positivo.
Perché ha funzionato
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Ridurre la colpa: riconoscere che il riposo serviva ha ridotto l’auto-accusa.
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Spazio tra viaggio e lavoro: la decompressione ha rotto il corto circuito tra vacanza e ufficio.
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Aspettative gestite: comunicare il rientro graduale ha evitato lo schock completo del pieno carico.
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Ritualità: i piccoli rituali hanno dato senso e controllo.
Dott.Nicola Nacca
Psicologo - Caserta
- Stress e disturbo post-traumatico
- Ansia
- Comunicazione assertiva
- Colloqui di sostegno psicologico (per problematiche legate a stress, autostima)
- Psicologia del lavoro e delle organizzazioni
- Sostegno per traumi psicologici