Profonda amarezza

Buongiorno, ho 29 anni.
Ho iniziato da alcuni mesi un percorso di psicoterapia con una dottoressa veramente in gamba e molto intelligente, che ha riscontrato in me sintomi "depressivi" e sintomi "ossessivi".
Mi sono laureata, per tempo, con il massimo dei voti, a seguire due esperienze professionali, un esame di abilitazione superato, ma il mio obiettivo era quello di superare un concorso.
Bene, subito dopo la laurea ho intrapreso una relazione, purtroppo distruttiva, con un individuo che ha minato la mia autostima non troppo solida, buttandomi giù. Non ci è voluto molto ad arrivare a capire che costui, in qualche modo, ricalcasse la relazione che ho con mia madre. Mia madre è una donna che mi ha dato tutto sul piano MATERIALE, ma sul piano AFFETTIVO mi ha sempre ignorata. Non mi ha mai chiesto come mi sentissi, non si è mai interessata alle mie emozioni, mi ritrovo a 29 anni a non conoscere la mia identità se non i condizionamenti che questa ha subìto. Inoltre, mia madre è sempre stata ipercritica con me, e ora tende ad intromettersi "imponendomi" di iscrivermi ad altri concorsi "perchè mi fai pena", "Tizia ha fatto qualcosa", sminuendo completamente il mio studio quotidiano (n.b. a causa del COVID-19 i concorsi sono tutti stati posticipati, e il fatto che non mi angosci apertamente significherebbe, a suo dire, che mi sto "cullando nell'inerzia"). Ciò mi provoca molto dolore, perchè mia madre è pronta a volermi far iscrivere ad un concorso in cui il titolo richiesto è il diploma di scuola media, dopo tutti i sacrifici fatti. Appellarmi a mio padre e a mia sorella è purtroppo inutile. Mio padre non si è mai interessato ai miei studi (il che vuol dire A ME, dal momento che gli studi costituiscono da sempre grossa fetta della mia vita), ma neanche ai miei interessi, e mia sorella, ahimè, ha un Disturbo Narcisistico della Personalità diagnosticatole sempre in psicoterapia quattro anni fa, una "Yes Woman" destinata ad una sfavillante carriera societaria che non ama nessuno, a parte se stessa. Vorrei chiedere a voi, esperti, prima di tornare dalla psicoterapeuta, come preservare la mia autostima, allontanando i giudizi che mi tempestano la mente ogni giorno: buona a nulla, nullità, non farai nulla nella vita! E ancora, le domande: ma a cosa serve vivere così?Cosa cambierà?A cosa sarà servito tutto questo se non supererai il concorso? Che senso ha la vita? Di sera guardo film deprimenti o angosciosi (di recente, un film ambientato nella testa di un aspirante suicida). Non ho intenzione di commettere un gesto simile ma, in un certo senso, questi film mi fanno capire che potrebbe astrattamente esserci qualcuno al mondo in grado di capire significhi sentirsi perennemente tristi, soli, senza qualcuno che ti consoli o ti protegga, ma che anzi, ti distrugge l'autostima riducendoti ad un'estrema nullità. Grazie, e scusate per la lunghezza del mio messaggio.

Cara Federica, 

Credo che la sua terapeuta possa aiutarla in questo. È fondamentale che lei si distacchi emotivamente dai giudizi di sua madre, che appartengono a una persona critica quindi non attendibile. Si possono usare tecniche come il lavoro sulle parti o con le sedie che si rifanno ad approcci come Gestalt o Schema Therapy.

Oppure si può lavorare su episodi in cui è stata criticata nella sua infanzia come l'Imagery With Rescripting.

Cordiali saluti e in bocca al lupo per la sua terapia

Dr. ALBERTO VIGNALI