Dott. Alessandro Campailla

Dott. Alessandro Campailla

psicologo, psicoterapeuta, psicosomatista

Demotivazione incotrollabile

Buongiorno a tutti.
Sono un uomo di 55 anni, ad agosto ne compirò 56.
Sono sempre stato un appassionato della vita, camaleontico. Ho svolto e svolgo un'attività, per me, molto interessante. Sono un programmatore di macchine ed impianti automatici.
Un' attività molto richiesta e che appassiona tanti .. forse troppi.
Fino a qualche anno fa seguivo lavori diversificati, viaggiavo molto in Italia e spesso anche nel mondo.
Nel 2011, a causa della crisi, sono stato "gentilmente" messo in cassa integrazione e mobilità.. quindi
licenziato definitivamente dopo un anno.
Premesso che ho moglie e un figlio (stupendo in tutti i sensi) e sono a carico mio.
Viviamo a Bologna anche se siamo di origini pugliesi e non abbiamo alcun parente quì in Emilia Romagna.
Da allora è iniziato un calvario che non potrei certo raccontare in questo contesto .. se fossi uno scrittore lo avrei potuto pubblicare su un libro o un film se fossi un regista: ma comunque, si può immaginare.
Mio figlio nel 2011 aveva solo 4 anni! Tuttavia sono riuscito sempre a trovare lavoro anche se a tempo determinato. Nel 2014 mi sono rimesso in gioco e ho seguito un corso di formazione professionale per quasi 7 mesi.
Al termine del corso e grazie a tanti contatti ricevuti sono riuscito a trovare un lavoro stabile in una grande azienda di Bologna conosciuta in tutto il mondo. L' IMA.
Non sono assunto direttamente, ma sono un cosiddetto "esterno", che significa che la mia azienda presta alcuni lavoratori alla IMA e questi lavorano come dei dipendenti IMA, solo che lo stipendio viene pagato da un'altra azienda. Insomma, una sorta di mercenario. Dovrei essere contento, realizzato ed invece è tutto il contrario. Dalla mattina alla sera sto davanti ad un computer.
Utilizzano sistemi che non conosce nessuno e quindi non potranno essere applicati da nessun altro se non all'interno stesso dell'IMA.
Le mie esperienze non possono essere utilizzabili quì dentro.
E come avrei mai potuto immaginare?
Sto disimparando molto velocemente tutto ciò che in 30 anni di fatiche, ma anche di passione ho imparato e che tanto mi  è servito anche perchè, penso, grazie a questo ho trovato sempre e subito lavoro.
Sono sommerso da decine e decine di programmatori di cui il 99,9 % sono giovani laureati.
Io sono soltanto diplomato e nemmeno così giovane, anche se dentro mi sentivo un fermento da ventenne.
Le giornate sono cadenzate sempre dalle stesse cose, come se fossimo dei burattini.
Insomma, è una catena di montaggio moderna. Mi sembra di impazzire. A poco a poco, è svanita la mia passione, sono svaniti tutti gli stimoli. Non riesco più a trovare alcun motivo, se non quello di uno stipendio che arriva a fine mese. Quì mi sento proprio un numero..anzi.. un decimale.
Ho avuto possibilità di andare via in altre aziende da cui ho avuto offerte di lavoro. Però mi prospettavano una frequenza di viaggi troppo alta e allora, stupidamente forse, ho rifiutato.
Vorrei cercare anche di cambiare addirittura lavoro. Seduto davanti a un PC più di 8 ore al giorno in un ufficio tecnico non fa col mio temperamento. Sono stato e sono anche uno sportivo praticante.
A casa torno sempre nervosissimo e quindi mia moglie che non sa più cosa consigliarmi, è in seria difficoltà. Sto perdendo interesse anche per la vita stessa.
Arrivano momenti in cui vorrei farla finita e forse mi mantiene soltanto la mi fede, sono un credente.
Ma ho paura; ho paura che possa impazzire davvero. E' diventato un chiodo fisso che mi sta divorando.
Non so più che strada seguire, ammesso che ci sia in Italia una strada per chi ha la mia età.
Mi accorgo che non riesco più a ridere, ad avere amicizie, tutto mi sembra senza significato e spesso anche molto superficiale.. qualsiasi cosa io veda in giro assume queste caratteristiche.
Mi lamento in continuazione da quando mi alzo a quando vado a letto, allontanando, quindi, chiunque.
Adesso sto prendendo anche un antidepressivo naturale e a base di iperico.
Cerca un valido aiuto prima che sia troppo tardi e a farne le spese sarebbero anche mia moglie mio figlio che non c'entrano niente. Spero mi possiate dare davvero una mano in questo pantano.

Grazie

Gentilissimo Flavio

Partirei dalla fine del suo resoconto andando per punti, tra alcuni che ha riportato.

Da quel senso di impantanamento in cui si sente intrappolato. Il pantano ricorda le sabbie mobili, una situazione entro la quale non si riesce né ad andare avanti né indietro. Tuttavia la soluzione di buon senso sembrerebbe una sola, ovvero andare avanti. La richiesta di aiuto che avanza è molto accorata e si percepisce da queste poche righe e, nonostante il quadro degli eventi sia chiaro, tutto quello che è successo a margine, o prima del licenziamento, sia dentro di lei sia in seno alla sua famiglia, non è altrettanto chiaro.

Emerge un senso di autosvalutazione dall’idea di essere un mercenario, quando in fondo si guadagna il pane e mantiene la sua famiglia e, se è pur vero che il lavoro non le piace, è comunque riuscito a ritrovare continuità e impiego in un momento storico in cui questo non è per nulla facile. Immagino che le esortazioni e gli incoraggiamenti da parte di sua moglie siano continui ma, a quanto pare, non sortiscono effetti positivi e nemmeno stimolano l’inventiva o la ricerca di strade diverse.

La considerazione che mi permetto di avanzare è quindi la seguente: se in un mercato del lavoro restrittivo e selettivo come quello attuale lei è riuscito ad inventarsi una nuova occupazione, sperimentando quindi la capacità di ricominciare, per quanto possa essere stato faticoso, come mai non rimette in moto la creatività e immagina, con pazienza, a qualcosa di nuovo?

Un tale avvilimento potrebbe nascondere aspetti e cause legate all’idea di sé, messa seriamente in discussione dal primo licenziamento, in un momento della vita, oltretutto, delicato per ogni uomo. Quando dice che sua moglie e suo figlio non c’entrano niente, se è plausibile da un lato, in un altro senso si potrebbe pensare che entrino nel definire la sua idea di responsabilità, dal momento che sono a suo carico e quindi dipendono da lei. Se considera che il lavoro nel suo caso ha soltanto una funzione strumentale di sopravvivenza materiale e non le porta una soddisfazione come quello precedente, il legame con il dovere potrebbe diventare estremamente coercitivo, provocando distorsioni del suo senso di soddisfazione.

I sintomi che descrive oscillano dal nervosismo, quando rientra a casa, alla disperazione e richiamano l’idea del "leone in gabbia".

Certamente le risposte che si possono fornire in questa sede procedono dalla lettura delle poche righe che ha postato e l’aiuto che richiede non può arrivare da risposte altrettanto brevi e superficiali. Mi auguro che gli spunti di riflessione che le ho suggerito, possano incoraggiarla ad affrontare la sua situazione presso uno/a psicoterapeuta  ed insieme a lui/lei cercare risposte a stati d’animo complessi e dolorosi che vanno certamente oltre alle difficoltà nel campo della professione.

La saluto cordialmente