Un caro amico è un bugiardo patologico che fugge dalle sue responsabilità
Perdonatemi davvero per questo paragrafo, mi dispiace di non aver saputo essere più sintetico. Contesto generale: sono uno studente universitario e così lo sono le persone di cui parlo. Quest'anno abbiamo accusato, chi più chi meno, il passaggio da una laurea triennale a una magistrale. Il gruppo ora è vario ma siamo stati per tre anni un trio, nato prima per caso e poi evoluto come gruppo di studio. Il rapporto si è cementato velocemente fin dai primi mesi a causa degli orari costretti dalle lezioni dei corsi, che ci portavano praticamente a convivere in facoltà, e il gruppo si è esteso includendo altri contributi dalle varie classi che seguivamo. La dinamica dell'amicizia è stata sempre particolare: dei tre, P era solito impegnarsi meno e farsi trainare nello studio; J, essendo un po più grande e con esperienza accademica alle spalle, si instaurò subito come pilastro affidabile e modello di riferimento; io, pur impegnandomi poco, ebbi sempre dal mio lato un fattore fortuna che mi permise di consolidare una reputazione di studente rispettabile. La gerarchia che venne a galla fu la seguente: P sviluppò un complesso di inferiorità che lo portò a porsi sempre in comparazione con gli altri; finendo per considerare noi, i nostri colleghi e i nostri risultati come soglie invarcabili. Io, in qualsiasi frangente, difendevo la posizione di J seppure in diverse occasioni non condividendola; e per lungo tempo fui geloso di lui. J, in qualità di essere umano, rivelò diverse volte alcune vulnerabilità, su cui capitò persino che io, in virtù della mia gelosia, trafiggessi lame ulteriori. Non ho la pretesa di descrivermi come un santo in questi contesti, ma mi attribuisco il merito di averci lavorato e di lavorarci: so che mi impegno per abbandonare certi atteggiamenti, so che mi sforzo di mettere da parte emozioni represse, e così nel tempo il mio rapporto con J è esploso. Infatti, nonostante siano relativamente poco tempo, in tre anni siamo tutti quanti cresciuti e abbiamo avuto modo di sviluppare un certo grado di trasparenza e onestà reciproca, anche a causa delle situazioni che hanno caratterizzato i nostri rapporti; tutti - fuorché P. Lui ha sempre avuto bisogno di attenzioni: fin dal primo anno si è presentato come un bugiardo sistematico. Non è mai stato grave: il suo racconto giornaliero sull'avvenimento della settimana o del giorno prima, di relazioni, azioni, sentimenti che provava nei confronti di persone e immagini di sé che voleva costruire, erano un classico accettato: norme del suo comportamento che non creavano danno, non davano troppo fastidio, su cui veniva al massimo confrontato e nei cui riguardi si difendeva anche abbastanza rumorosamente nonostante le palesi incoerenze. E' il tipo di persona che nella mia ignoranza dei termini tecnici definirei comunque bugiardo patologico. Vive nelle sue fantasie. Mente su frivolezze, inscena atteggiamenti e afferma di odiare o patire situazioni, dipingendosi sempre come protagonista di qualche dramma o altro aneddoto. Io non definisco P un "caro" amico usando la parola a caso. nel quotidiano sono davvero contento di conoscerlo e lo trovo una persona piacevolissima con cui condividere giornate e interessi. E' buono ma impulsivo. Essendo rimasto a bocca asciutta nelle relazioni sentimentali per circa due anni, ora ha una certa avventatezza nell'approcciare ragazze. Ha ottenuto ripetutamente la fiducia di qualcuna, per poi spegnere il cervello e fare puntualmente qualcosa di imperdonabile. Arrivato in camera di una nostra conoscente, ha cercato di scattarle una foto mentre era di spalle senza badare alla torcia del cellulare. Lei perse completamente il senno, lui venne sbattuto fuori dalla stanza, con tanto di battute del tipo: "era per dopo" (riferendosi alla fotografia). Ma comunque, per la prima volta, se la passò liscia. Per tutta la durata di quest'ultimo anno J ha vissuto situazioni particolari sempre in contesto sentimentale. Due furono con colleghe interne al corso, persone che vedevamo e vediamo tutti i giorni. In qualsiasi istanza che presentasse l'occasione, P si intrufolava negli affari di J e delle sopraccitate: venivano a galla chat personali e rapporti ambigui in cui lui si offriva come spalla su cui piangere per le stesse. A un primo acchito non è così strano che amanti, vivendo problemi personali e con difficoltà di comunicazione, si rifugino nei consigli di amici stretti dei partner. Io però vedevo la situazione nel complesso: P, affamato di attenzioni femminili, vedeva crollare le relazioni di J, e sfruttava la sua conoscenza delle interessate per offrire l'aiuto psicologico che i coccodrilli offrono alle zebre. Quando inevitabilmente gli dicevo di allontanarsi da quelle situazioni, vidi per le prime volte l'atteggiamento chiave di questo papiro e che ancora non ho introdotto: P scappava dalla situazione. Subito, appena fiutava l'argomento su cui sarebbe stato confrontato, fin dalla prima frase: intimava di allontanarsi -se veniva in mensa-; tornare a casa -se studiava in nostra compagnia- e cercare scuse -se sceglieva di parare gli urti-. Spiegava, nei suoi discorsi, che per lui fosse un peso aiutare quelle ragazze, prendendole in giro in presenza di un J che si sfogava, e suggerendo che il suo coinvolgimento fosse non solo involontario ma persino spiacevole, intimando diverse volte di bloccare definitivamente i loro contatti, e mai facendolo. E' finita con un fidanzamento all'inizio di questa estate, tra P e una carissima amica di infanzia di J. Si sono conosciuti dopo che quest'ultimo l'ha occasionalmente invitata ai pasti in nostra compagnia nelle mense universitarie. Lei era interessata a causa della sua estroversione e simpatia, lui era disperato, così sono stati insieme per qualche mese. Si arriva a settembre di quest'anno, ci siamo lasciati serenamente poco prima di agosto con tanti laureati e tante amicizie robuste. Sono il primo che si ri-palesa nelle biblioteche che orbitano attorno all'ateneo e nei giorni successivi incontro per primo P. Mi racconta di avere commesso un disastro. A parole sue ha fatto una cosa così grave che si considera feccia, pensa davvero di aver superato ogni limite. Mi racconta per giorni di quanto sia grave, mai spiegandomi cosa effettivamente abbia combinato, ma sempre usando quella faccia particolare che negli anni era stata scolpita nella mia testa: la faccia che indicava un P nel bel mezzo della sceneggiata. Fingeva di punto in bianco di voler ingaggiare in discorsi filosofici, facendo domande banali con una schifosa espressione di finta angoscia e nel bel mezzo di una performance da fumatore ricaduto nella dipendenza. Scopro settimane dopo da J cosa è successo. P ha forzato un rapporto sessuale con la sua fidanzata. Lei lo ha esortato ripetute volte ad allontanarsi, lui non ha ascoltato finché l'ordine non si è manifestato nella sua intera serietà. Non conosco i dettagli dell'abbandono ma so cosa è successo successivamente. In lacrime, chiama J per ottenere conforto, e procede a raccontarne un'altra, come se J non godesse di comunicazione eccellente con una amica come quella di cui si parla. La narrazione fu: "abbiamo provato un rapporto, io non riuscivo a eiaculare, per l'imbarazzo del momento sia io che lei abbiamo deciso di farla finita." J mi ha raccontato queste cose praticamente sotto shock. Era assolutamente basito dalla situazione e non aveva idea di cosa avrebbe dovuto fare. Provava una rabbia che difficilmente nascondeva e che si fece sfuggire diverse volte durante la conversazione e in compagnia di amici ignari. Al riunirsi del gruppo seguono un paio di settimane strane: P, J e io sappiamo cosa è successo. P è a conoscenza del fatto che J sa, ma non proferisce parola sull'argomento. J ribadisce spesso il livello di confidenza che ha con l'ex fidanzata di P, indirettamente ricordandogli che non accetterà quella scusa imbarazzante come causale. La situazione non progredisce: J prova in diverse occasioni a introdurre il discorso ma riceve puntualmente un rifiuto istantaneo. Mentre portava avanti la sua mascherata da vittima, io gli diedi tutti i conforti e le rassicurazioni del caso, seppure non mi bevessi la sua espressione. Quello è il modo in cui imparai a gestire un P che finge: gli ho sempre dato le attenzioni che desiderava con la storiella di turno. Anche stavolta, seppure raccontando la verità, non provava il rimorso che voleva mostrare. Non gli ho mai sentito spendere mezza parola per la vittima della sua presunta azione (al tempo ero ignaro anche io dei fatti), era sempre un continuo lamento della propria condizione di carnefice. La situazione muore così: P vuole andarsene per seguire lezioni altrove, in continente. Inizialmente la scusa era cercare lavoro o diventare uno studente-lavoratore. Poi si trasformò nella passione intrinseca per altri corsi di studio che non gli si è mai sentito lodare, e anzi le poche volte che si incontrarono quelle materie nel nostro le odiò con tutto sé stesso. Ancora: raccontò di non avere più voglia di studiare e che avrebbe effettuato la rinuncia agli studi per proseguire con il suo titolo triennale. Nel frattempo, al palesarsi di amiche, conoscenti o lontani colleghi della ex, cambiava subito direzione o posizione. Ieri, confidandosi con me, penso sia stato sincero dicendomi di essere determinato a non continuare la magistrale qui, farsi un anno sabatico, e pesare altre opzioni per proseguire al Nord. Sto realizzando di avere solo queste poche settimane per provare a dirgli qualcosa che gli rimanga. Si sta trasformando in un problema per sè e per gli altri: il suo bisogno di attenzioni e la sua natura di impulsivo sprovveduto lo costringono a fuggire da situazioni che lui stesso crea. Per due volte di fila gli è andata in cavalleria nonostante avesse fatto qualcosa di gravissimo: la prima volta ha rotto un'amicizia, una potenziale relazione, la fiducia di una persona e la sua credibilità con tutti. La seconda volta ho paura a usare i termini corretti per spiegare cosa ha fatto. La buona notizia è che la ex ha deciso di andare avanti cercando di rimuovere, ignorando completamente ogni situazione a lui legata e senza prendere provvedimenti, ma prima o poi smetterà di avere fortuna, e farà qualcosa da cui non potrà semplicemente scappare. La mia domanda è sostanzialmente cosa dovrei dirgli. Lui è ignaro del fatto che io conosco tutti questi dettagli, è convinto che la mia conoscenza della situazione si fermi alle sceneggiate con cui mi ha lasciato a settembre. Anche se dovessi essere il più tranquillo, gentile e premuroso possibile nell'inizializzare la discussione, lui rifiuterà subito il confronto. Non solo, se anche dovesse accettarlo, come innumerevoli volte ha fatto in passato, costruirà subito una messinscena di fallito che si odia e che è terribilmente affranto e mortificato per le proprie azioni. I suoi atteggiamenti di bugiardo cronico mi fanno pensare che lui abbia intimamente bisogno degli altri, non può stare a lungo senza persone. Forse, l'unico vero modo per insegnargli che non andrà da nessuna parte continuando così, è smettere di provare a parlare, agendo senza condiscendere a ogni sua finzione. La ferita che gli aprirà, notare che i suoi amici smettono di ascoltarlo, seguirlo, includerlo; è l'unico motore che potrebbe invocargli un cambio di coscienza?
Buongiorno,
ho letto con interesse la sua storia. Vorrei accertarmi di aver compreso la sua domanda: si chiede cosa può fare e come affrontare P?
Pur essendo così palesemente in contrasto con i suoi valori, lei non riesce ad antagonizzarlo e vuole capire che comportamento adottare, è corretto?
Le chiedo questo: quanto dolore le causa che il suo caro amico si sia in fine rivelato un bugiardo non più innocuo?
Le mando un caro saluto,
Dr. Anna Atzeni