Dott.ssa Anna Fizzotti

Dott.ssa Anna Fizzotti

Psicologo, Psicoterapeuta

Disturbi dell'alimentazione: cosa fare?

“Gli occhi di chi ha esplorato i grigi abissi della malinconia,

della depressione, dell’anoressia e della bulimia

sapranno vedere e godere di tutti i colori del mondo”.

Fabiola De Clerque

 

Nel precedente articolo ho illustrato le caratteristiche diagnostiche ed eziologiche dei Disturbi Alimentari.

Ora riprenderò, per facilità di lettura, gli aspetti descrittivi dei disturbi, soffermandomi poi sui suggerimenti di possibili interventi non tanto terapeutici, quanto personali e familiari.

I Disturbi dell’Alimentazione sono patologie che associano aspetti psicologici ad aspetti fisici, dove cioè la sofferenza psicologica agisce su comportamenti legati all’alimentazione, che influiscono fortemente sul peso corporeo e sulla salute fisica.

 In particolare, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali dell’Associazione Psichiatrica Americana (DSM–V) distingue tre principali Disturbi dell’Alimentazione: Anoressia Nervosa, Bulimia Nervosa e Disturbo da Binge-eating (Alimentazione Incontrollata).

 

Chi soffre di anoressia presenta una severa perdita di peso (inferiore all’85% del peso standard), con una costante e angosciante paura di ingrassare, e una preoccupazione estrema per il peso e le forme corporee. Il comportamento alimentare può essere restrittivo (cioè assunzione di pochissime calorie) o con abbuffate associate a condotte di eliminazione (sport sfrenato, vomito autoindotto, lassativi, diuretici).

 

La persona bulimica compie abbuffate ricorrenti, associate o meno a comportamenti di compenso o eliminazione, ma con una costante preoccupazione per il peso e le forme corporee. Generalmente il peso è nella norma o leggermente superiore.

 

Chi presenta un disturbo da alimentazione incontrollata è in forte sovrappeso, attua abbuffate frequenti legate a un profondo senso di impotenza, senza condotte di eliminazione.

 

I disturbi del comportamento alimentare sembrano essere il risultato di un’interazione di influenze provenienti dalla società, dalla famiglia e dall’individuo. Si può dire che sono quindi un disturbo bio-psico-sociale.

Nessun fattore da solo è di solito tanto forte da creare un disturbo dell’alimentazione. Ma più numerosi sono i fattori presenti, più alta è la probabilità che si sviluppi.

 

L’aspetto fondamentale di questi disturbi è, come dicevo poco sopra, la profonda sofferenza emotiva legata al comportamento alimentare; ciò richiede quindi, per il superamento della sofferenza, anche e soprattutto un trattamento psicologico oltre che medico.

 

Non affronterò qui le tematiche inerenti gli interventi terapeutici (individuali, familiari, di gruppo, con o senza ricovero ospedaliero), quanto piuttosto ciò che la famiglia può fare per prevenire un disturbo alimentare o per facilitarne la dismissione.

 

Prima di tutto, per attenuare l’influenza negativa che la società esercita sullo sviluppo di questi disturbi, la famiglia certo non può eliminare i messaggi o impedire che arrivino ai figli, ma può comunque attuare dei comportamenti per ridefinire questi messaggi e renderli meno influenti.

Per esempio, in quanto adulti, bisogna lavorare su se stessi, cioè sulla propria consapevolezza dell’influenza sottile dei messaggi sociali e pubblicitari: sfidare i valori della società riguardo al peso e alla forma fisica proponendosi per primi come non passivamente legati agli standard dei canoni di bellezza-successo sociali (evitando per esempio ‘fissazioni’ sull’aspetto estetico personale).

Parlare con i figli e stimolarli a un atteggiamento critico e non passivo è fondamentale. Sottolineare che la loro taglia o la loro forma (come quella di chiunque altro) non hanno un’importanza primaria, far capire che il valore di una persona dipende da quello che è, e non da quello che pesa.

Oltre che ai messaggi della società, è importante che la famiglia osservi le proprie dinamiche familiari, che arrivi alla consapevolezza dei problemi dentro la famiglia stessa. Questo per arrivare poi ad esternarli rendendoli espliciti ed affrontandoli, in modo da evitare che si cerchi di coprire un problema familiare creandone un altro, il disturbo alimentare appunto.

 

Ecco che, di conseguenza, diventa centrale, per prevenire o affrontare i disturbi del comportamento alimentare, proprio la comunicazione. Come comunicare? Tanto ci sarebbe da dire a proposito; darò solo alcune indicazioni più inerenti al disagio specifico trattato in questo articolo.

 

La prima cosa da fare è esprimere se stessi, i propri pensieri e le proprie emozioni. Per esempio, piuttosto che dire a una figlia cosa dovrebbe o non dovrebbe fare rispetto al suo disturbo, è più adeguato esprimere la propria paura per la sua sicurezza rispetto al suo comportamento alimentare, o qualunque altro sentimento si abbia verso qualunque altro problema. Questo fornirà un buon modello e farà sapere che l’espressione emotiva è accettabile e non pericolosa.

 

E’ importante anche lavorare con la comunicazione, all’interno della famiglia, per eliminare la “sindrome della brava ragazza”: infatti l’unico modo, per i soggetti con disturbo alimentare per guadagnare l’amore degli altri è di compiacere e per compiacere al massimo ritengono di dover essere perfetti. E’ imperativo invece, per il suo benessere psicologico, che una persona sappia che è amata per chi è e non soltanto per quello che fa.

 

Un altro aspetto a cui fare attenzione è la gestione del controllo: è molto importante per chi soffre di disturbo alimentare avere controllo sul proprio corpo e sul cibo, essendo questi gli unici campi sui quali riesce ad averlo. Questo perché non è abituato ad averne su altri. Per lavorare contro questa cristallizzazione di comportamento negativo, come familiari si può da un lato non controllare la persona con disturbo alimentare nei suoi comportamenti alimentari (seppure distorti e pericolosi), e nello stesso tempo dare spazio perché possa avere controllo su altri campi della sua vita: incoraggiarla a prendere le proprie decisioni e a decidere in base a ciò che vuole, aiutandola prima di tutto a prendere contatto e a fare chiarezza su ciò che realmente vuole e di cui spesso non ha neppure consapevolezza.

 

Concludo affermando che i Disturbi del Comportamento Alimentare sono sicuramente portatori di grande disagio e sofferenza psicologica. Sono disturbi influenzati da fattori sociali, familiari ed individuali, quindi molto complessi. Ma sono affrontabili e risolvibili. E’ importante innanzitutto chiedere aiuto ad esperti del settore (medici e psicologi), ed insieme mettersi in azione in prima persona, iniziando un percorso che attraverserà momenti di sofferenza, ma una sofferenza non distruttrice quanto piuttosto risolutrice, consapevoli che solo guardando veramente e affrontando il disturbo alimentare lo si sconfiggerà.  

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