Mi sembra di vedere la vita nuda e cruda, senza senso

Salve, sono una ragazza di 26 anni, figlia di una madre severa e depressa, caduta in depressione quando nacqui io, la seconda di tre figli, e un padre opprimente, che mi ha sempre umiliata. Iniziai a sentirmi depressa alle elementari (ero schiva, non avevo amici), poi alle medie iniziarono i disturbi alimentari (condotte restrittive) e al liceo soffrii di Binge (periodo in cui concepii idee suicide). All’università studiai fuori, ritrovando così un po’ di serenità, ma in realtà i problemi non erano finiti: temevo il giudizio degli altri, mi svalutavo continuamente, mi sentivo inutile, iniziai ad ubriacarmi spesso con gli amici e capii che mi sentivo attratta da quarantenni, soprattutto quelli più stronzi. Le mie condotte “autolesioniste” mi costarono perfino uno stupro. Ora mi sento come una barca in mezzo al mare, non so quale sia la direzione da prendere (come in ogni situazione) e faccio frequentemente esperienza del “vuoto”: mi sembra di vedere la vita nuda e cruda, senza senso, e quando mi viene questo pensiero non riesco più a fare quello che stavo facendo e devo interrompere ogni azione. I miei, tra l’altro, vorrebbero che stessi sempre con loro e io sono spaventata dall’idea che un domani dovrò tornare a vivere con loro (perché non si trova lavoro).Mi chiedo: ho una nevrosi? Necessito di psicofarmaci? Che tipo di terapia fa al mio caso? Ho bisogno di un analista maschio per migliorare il rapporto pessimo che ho col maschile? Grazie!

Cara Federica,

leggendo la tua risposta, mi hanno colpito vari aspetti: il primo è l'innegabile carico di dolore che ti porti dentro; il secondo, connesso al primo, è quanto senso di colpa tu abbia verso te stessa, e quanto tu stessa ti senta artefice del tuo dolore; l'ultimo, infine, è che malgrado queste premesse io non legga le parole di una persona arresa alla vita, o vagamente debole. Io vedo forza, voglia di reagire, di capire le ragioni del tuo disagio. Sei una giovane donna sensibile e profonda, che sa guardarsi dentro: ti chiedo solo, per favore, di non pensare che sia tu ad esserti causata determinate situazioni sgradevoli (penso allo stupro: non c'è comportamento che tu possa aver messo in atto per "meritarti" qualcosa di così lacerante. Siamo esseri umani, sperimentiamo quello che sembra poterci far bene in certe fasi della nostra vita: è naturale, non va né punito, né vissuto con sensi  di colpa: senz’altro, poi, non devono essere gli altri a punirci! Tuttavia, e qui torna il nocciolo della questione, sta a noi decidere, una volta verificata la disfunzionalità delle nostre scelte, provare a cambiare strada: non è escluso che si possa cadere per strada, probabilmente succederà, ma ogni giorno è un giorno nuovo. La scelta di affrontare un percorso di cura è una scelta dolorosa, difficile, ma anche coraggiosa: vedo in te la voglia di provarci, e l’energia per riuscirci. Ti sconsiglio, inoltre, di cercare etichette per quello che stai provando: innanzitutto perché un inquadramento nosografico richiederebbe maggiori dettagli, e poi soprattutto perché in questa fase non toglie e non aggiunge nulla al tuo vissuto. Tu sei tu, e basta. Per quanto riguarda l’orientamento alla terapia, mi sentirei di consigliarti un approccio sistemico – relazionale, che in questa fase mi sembra rispondere bene sia all’immagine che hai di te che della tua storia (non ritengo casuale il peso che attribuisci, nella genesi dei tuoi disturbi, ai rapporti con i tuoi genitori, o al tuo temperamento schivo che ti ha impedito di stabilire relazioni con i pari). La necessità di psicofarmaci andrà valutato in base alle istanze che emergeranno in un colloquio più approfondito; non mi sentirei di suggerirti, invece, un terapeuta maschio, proprio per quelle ragioni che tu indichi (è vero che potrebbe esserci un transfert più immediato, ma potrebbero entrare in gioco, fin dal primo momento, aspetti che forse andrebbero affrontati con più gradualità).

Ti auguro ogni bene, e resto a disposizione per ogni informazione.