Dott. Franco Ferri

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Dott. Franco Ferri

psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista

Adozione: crescere figli altrui

Quando Gloria si è sentita dire gelidamente dai sanitari a cui lei e suo marito si erano rivolti per la fecondazione assistita “Dovevate pensarci prima!” Ha avuto un tracollo emotivo.

Gloria e Mario si conoscono da quand’erano bambini: hanno passato insieme l’infanzia e l’adolescenza. Poi si sono fidanzati e infine si sono sposati.

Sono venuti da me perché stavano attraversando un periodo veramente critico.

In una prima fase del loro matrimonio hanno pensato che un figlio poteva non essere la priorità: si sentivano giovani e ritenevano naturale il desiderio di andare alla scoperta del mondo e divertirsi un po’. Già pesava il lavoro: lei aveva un negozio che le assorbiva parecchie energie, e lui faceva l’impiegato, ma aveva paura di farsi assorbire dalla routine del lavoro d’ufficio.

Quando ha fatto la comparsa anche il desiderio condiviso di un figlio che avrebbe potuto arricchire la loro vita di coppia, ci sono andati con cautela: bisognava tener conto del dato di realtà che il negozio in quella fase non si poteva chiudere, e in fondo c’era ancora del tempo…

Così a 30 anni, raggiunta la stabilità economico-finanziaria, “progettano” il bebè, convinti di una facile realizzazione di questo loro desiderio…

Il tempo è dunque maturato.

Purtroppo non sono maturati i frutti dei loro tentativi di concretizzare una gravidanza.

Prendono corpo a questo punto le prime recriminazioni: “Non sarà mica troppo tardi?”, “Non è che è colpa mia?” “Cosa avremmo potuto fare?”.

Poi Gloria esclama: “Mai prima di allora avevo sentito così forte il desiderio di essere importante per qualcuno!”. E continua: “Sono cominciati i controlli sanitari…”, a cui è seguita la progressiva scoperta di scomode realtà e il venire a galla di complicate verità. E’ stata una fase di sgradevoli rimpalli di responsabilità, accompagnati da momenti di solitudine cosmica.

Gloria mi parla poi dei sempre più imbarazzanti tentativi di fecondazione assistita, accompagnati da altrettanto deludenti risultati, tra cui due aborti al terzo mese e il suo racconto, seguito in silenzio da Mario, è molto teso.

L’evolversi degli eventi ha minacciato la solidità della coppia.

In più, come si è visto, hanno fatto la loro parte i sanitari, a cui si erano rivolti per le pratiche Fivet.

Quando i figli non arrivano affiorano ansie e ossessioni circa la propria normalità e quella del partner (la sessualità perde buona parte della sua “naturalezza”). Il tempo che passa assume una corposità ingombrante, il cui inesorabile scorrimento si traduce sempre più nella cupa consapevolezza della perdita dell’illusione di molti sogni e speranze.

In una coppia sterile i sensi di colpa la fanno un po’ da padrone.

Ad intervalli intermittenti emergono vecchie ruggini, prendono corpo vissuti di fallimento e di inettitudine; esplosioni di collera e depressione costellano la quotidianità.

Per non contare, oltre ai disagi fisici, i sensi di umiliazione psicologica per le procedure mediche di controllo.

 Per Gloria e Marco, prendere atto dell'impossibilità di diventare genitori naturali ha comportato un lutto doloroso, frustrante e crudele, con risvolti pesanti sulla quotidianità di entrambi e sul senso del loro rapporto di coppia. Quest’ultimo appariva ormai svuotato di slanci vitali ed invaso da un amaro senso di dissoluzione.

Si sono rivolti allora allo psicologo.

L’adozione non era nel loro orizzonte. Ed è con sollievo che hanno accolto la possibilità di parlarne apertamente, aprendo una nuova fase.

Quando Gloria e Mario hanno concordemente preso in mano la possibilità di un percorso si sono trovati a contatto con parti di sé non riconosciute.

In cuor loro sentivano di poter offrire stabilità, sicurezza e probabilmente molto affetto per un nuovo membro della famiglia.

All’inizio mi hanno portato diverse domande in sospeso: “Con un figlio naturale che genitori saremmo? Un figlio naturale a chi sarebbe somigliato di più? Quali spazi per fantasticare abbiamo perso?

Un figlio adottato mette in evidenza una sorta di vuoto, quel vuoto che normalmente si riempie nel difficile, ma gratificante lavoro di apprendimento ad essere genitori, genitori capaci di crescere insieme al proprio neonato nella reciproca conoscenza. A quell’ultima domanda Mario ha fatto un commento molto evocativo: “Con un figlio adottato sarebbe come partire in curva, senza sapere come mai la macchina è lì”.

E’ stata proprio questa consapevolezza e questa serenità di giudizio a favorire il buon esito del percorso successivo.

In un percorso “normale” di genitorialità naturale tutto è predisposto per favorire l’attaccamento del bambino ai genitori e dei genitori al bambino: padre, madre e bebè si trovano a costruire insieme un vero e proprio linguaggio comunicativo, che renderà unico ed irripetibile il loro rapporto, dando un significato speciale e specifico alla vita della loro famiglia. Partendo dalla prima comunicazione sonora (il pianto), dal contatto pelle-pelle, e via via col contenimento dell’agitazione, la poppata, il ritiro nel sonno dei beati, l’accudimento per le mille incombenze, e le ninne nanne rassicuranti, genitori e figlio vivono l’avventura della reciproca scoperta e conoscenza.

Tutti i genitori adottivi sanno di aver perso qualcosa.

Nel nostro percorso insieme, Gloria e Mario ne hanno preso coscienza, ma non si sono scoraggiati. Anzi.

Il percorso di adozione li ha messi davanti a procedure burocratiche defatiganti, affrontate con slancio. Non si sono sottratti a verifiche qualche volta mortificanti circa la loro idoneità all’adozione. Si sono scoperti risoluti ed esigenti: cercavano consigli e inseguivano la perfezione, erano più che ben disposti nell’educazione e ad entrambi non difettava l’empatia: non erano particolarmente preoccupati per quella che più volte abbiamo chiamato “la messa alla prova” (l’interrogativo inconscio del figlio adottato “sarete capaci di tenermi?”) cui sarebbero stati sottoposti dal nuovo arrivato.

Un’altra cosa a cui questi genitori adottivi erano più esposti consisteva nel rischio di delusione delle aspettative verbalizzate e non sul bambino che avrebbero incontrato (peraltro normali anche in genitori naturali): età, sesso, abbandonato, trascurato, maltrattato, colore della pelle e mille altri interrogativi preoccupavano le loro sedute, ma sono andati avanti fino all’annuncio che, sorpresa! Una coppia di gemelli “li stava aspettando”.

Gloria e Mario hanno superato a pieni voti l’impegnativo percorso per la loro adozione ed il successivo riassetto, anzi: “rivoluzione” familiare e hanno trovato una nuova intesa.

Solo poco più di un anno dopo hanno dovuto affrontare una nuova sorpresa e un nuovo riassetto familiare: Gloria era incinta.

Stavolta però erano già esperti.

 

P.S.: Non è rarissimo che dopo l’adozione, in una coppia arrivi anche il figlio naturale.

 

 

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