Sensi e ‘crudeltà' nella relazione terapeutica

RIASSUNTO

Tale lavoro ha per oggetto il ruolo dei sensi tra immaginazione ed atti di crudeltà.
Il metodo da me usato è stato quello di cercare di entrare nella percezione che in taluni casi è presente nell’intervallo che separa impulso ed azione.

I risultati sono i seguenti: è stato confermato che alcuni soggetti non ricevono alcuno stimolo se agiscono le loro fantasie, ma solo quando i loro sensi si accendono per filmati in cui qualche essere viene brutalizzato. La sensibilità dà loro qualche cosa che né la fantasia, né l’azione sono in grado di dare. C’è quindi un andamento antidromico rispetto all’abituale successione dalla sensazione all’immaginazione.

Le conclusioni non possono che assumere una forma problematica: il ruolo dei sensi tra immaginazione ed atto è quello di dare sfogo all’immaginazione senza rendere necessario il passaggio all’azione stessa? Oppure può essere una digestione/indigestione sensoriale che diventa condizione necessaria per l’azione? E a quali conseguenze porta il fatto che è solo tramite i sensi che certi soggetti si mettono in contatto con gli strati più profondi del proprio Io? E soprattutto che significato ha tutto ciò?

PAROLE CHIAVE: Sensi, immaginazione, azione, pensiero


ABSTRACT

This work deals with the role of senses between imagination and acts of cruelty.
The method I used was to try to enter into the perception which in some cases is present in the interval between impulse and action.

The results are as follows: it was confirmed that some individuals do not receive any stimulus if they act out their fantasies, but only when their senses ignite due to videos showing someone being brutalized. Sensitivity gives them something which neither fantasy nor action are able to. There is therefore an antidromic course, if compared to the usual succession of sensation and imagination.

The conclusions inevitably have a problematic connotation: the role of senses between imagination and action, is it perhaps to give free rein to imagination without making it necessary the passage to action itself? Or, may the case arise that a sensory digestion/indigestion becomes a necessary condition for action? What are the consequences of the fact that only through senses some individuals get in touch with the deepest layers of their Ego? And, most importantly, what does all that mean?

KEYWORDS: Senses, imagination, action, thinking



Il ruolo dei sensi fra immaginazione- pensiero finalizzato e atti di crudeltà sembra alquanto sacrificato nella letteratura scientifica, a differenza di quanto avviene nei ‘romanzi’ e nei film dell’horror. Mi pare opportuno utilizzare un caso clinico di psicoterapia per entrare con più precisione nell’intervallo fra impulso, che non sempre si traduce in pensiero, e azione, un intervallo costituito spesso da percezioni e sensazioni.

L’importanza dei sensi, e non solo delle parole, nella psicoterapia è un argomento di cui si occupa da diversi anni Giuseppe Berti Ceroni [Cesarino Cervellati e il pericorpo. Psichiatri Oggi 9, 5, 13- 18, 2007; Confini, muri, bordi. Di prossima pubblicazione.]

Tratto l’argomento da un punto di vista psicoterapeutico, partendo da un caso, senza alcun interesse alla criminologia, che forse vede meno intervalli e più l’impulso tradotto ex abrupto in atto.


CASO CLINICO DI … CALDI/… FREDDI

Questo ragazzo, di circa ventotto anni, che chiameremo, parafrasando il vero nome con il nome di CALDI/FREDDI, si presenta in studio vestito con una tuta e ai piedi scarpe da ginnastica deformate e con qualche buco qua e là. E’ decisamente sovrappeso e la sua faccia mi pare essere quella del Nerone televisivo di anni fa: capelli corti pettinati sul davanti lasciando scoperti gli occhi, una barba che gli incornicia il viso ed è appena accennata. Cosa curiosa a volte fa la maschera per un teatro conosciuto e io da subito lo immagino come il vero Nerone. Mi chiedo pertanto fin dalle prime sedute se non manderà a fuoco anche la terapia, avendo già distrutto se stesso per diciannove anni, oltre la famiglia d’origine per cui prova un profondo rancore e che egli vuole punire, e in parte vi riesce con la sua difficoltà a mettersi davanti ad un libro.

Entra subito in medias res dicendo che il suo problema è di essere “bloccato”, non solo nello studio, ma anche in tutte le altre attività che pure gli piacerebbe praticare: pallacanestro, calcio, suonare il basso, cantare.

Sta frequentando la specialistica in informatica (ha superato la laurea breve di tre anni sempre nella stessa materia), ma non riesce ad applicarsi in niente: “cazzeggia”, sono parole sue, tutto il giorno sul computer.

Dicevo che il problema del blocco è pervasivo nella sua vita. Gli mancano, quando lo vedo le prime volte, due esami e la tesi. Per riuscire ad applicarsi gli è però necessario che un compagno vada a studiare assieme a lui nelle ore serali, dopo il lavoro.

Ci accordiamo per una terapia ad orientamento psicodinamico una volta alla settimana, con la possibilità da parte sua di contattarmi qualora si presentassero problemi seri. Nel momento in cui scrivo lo vedo da nove mesi. Mesi di fatica, ma soprattutto, almeno pare così a me, di nessun ‘movimento’ in nessuna area. Tanto che, esasperata, all’incirca alla fine di questi nove mesi, gli dico a muso duro che non so più cosa argomentare e come continuare il nostro percorso. Tutto ciò mal si concilia con una mimica e un tono di voce che assomigliano a quella di chi non ha nessun problema, non ha una scadenza di circa un anno datagli dalla fidanzata (è un medico internista con borsa di studio: certo, mi chiedo, come fanno a stare insieme due persone così diverse?): è lei che gli ha posto un aut aut per cui o risolve il problema dello studio oppure lo lascerà dopo nove anni di fidanzamento.

Uso questa parola fuori moda perché sia il paziente che la sua ragazza sono cattolici praticanti e sono quindi regolarmente fidanzati ‘in casa’ e praticano l’astinenza fino al matrimonio.

… freddi, solo dopo le mie sollecitazioni esasperate- quelle della morosa sono ricorrenti- mi dice che sente una sorta di “invidia astiosa” verso tutti coloro che hanno avuto una famiglia diversa dalla sua e possono fare quello che più gli aggrada, compreso anche impegnarsi nello studio. Mi dirà che un altro motivo di astiosa invidia è che, fino ai ventiquattro anni, in cui non credeva all’astinenza, avrebbe avuto alcune occasioni per fare sesso, ma non le ha raccolte.

Sempre con lo stesso aplomb, mi racconta quanto è stato male accolto in famiglia: il padre è sempre stato assente sia fisicamente che emotivamente, la madre è sempre stata molto materna con il fratello, maggiore di un paio di anni, ma non con lui, anzi, quando lui in seconda media si era lamentato che il fratello gli faceva ogni genere di dispetti, la madre gli aveva detto che doveva sopportarlo e in più che, essendo molto più capace del fratello, doveva pure fargli i compiti. Ciò non sembra aver prodotto grandi risultati visto che il fratello ora fa il cuoco; non mi è dato sapere se è felice o no, perché i due non si parlano, e quindi nessuno dei due sa qualcosa dell’altro. Mi dice che è sicuro che il suo blocco dipenda da quella volta: era ed è un modo di farla pagare ai genitori, sia perché è sempre stato considerato meno del fratello, sia perché nessuno in famiglia ha mai mostrato attenzione a ciò che poteva interessargli: pallacanestro, calcio, suonare e cantare. I genitori gli davano la possibilità economica per farlo, ma l’empatia fra loro e il figlio era praticamente assente tanto è vero che essi non andavano a vederlo nemmeno nelle partite più importanti.

In famiglia vi è anche una sorella, che è minore dei due fratelli ed è la persona, a detta del paziente, alla quale egli è più affezionato.
Sia io che la fidanzata ad un certo punto ‘sbottiamo’ e gli chiediamo quando deciderà di deporre le armi.
Nessuna risposta.

Degli anni di scuola superiore ricorda che, essendo bloccato, faceva il minimo indispensabile, ma che questo gli bastava e che quando i suoi gli davano l’argent de poche lui spendeva quei soldi in cioccolatini per compensare, dice lui, la mancanza di affetto in casa. Di ciò non dubito, anche perché è praticamente obeso, però sembra trovarsi a suo agio nell’abitare il proprio corpo. E’ questo un altro motivo di contendere con la madre che vorrebbe che … freddi seguisse una dieta come sta facendo adesso la sorella.

Perché il mio storpiare il cognome in … freddi/caldi? Primo per motivi di privacy: non potevo rendere noto il suo cognome per esteso, poi perché il suo cognome termina con caldi mentre a me egli continua ad apparire con l’empatia di una tartaruga; ecco perché storpio il suo cognome in … freddi.

E’ da tanto che mi chiedo se questa mancanza di sentimenti sia l’ennesima maschera oppure se egli veramente non provi niente. Un input l’ho ricevuto quando alcune settimane fa ha superato il penultimo esame e aveva un sorriso smagliante e l’ambizione di spiegarmi il compito in modo che anch’io, penso, potessi vedere quanto era stato bravo. Infatti fin dall’inizio della terapia mi ha detto che soffre di una bassa autostima, per cui effettivamente per lui superare questo esame è stata una prova importante. Allora evidentemente se riesce a provare gioia e a mostrarmela, la sua impassibilità è realmente impassibilità, cosa che d’altronde percepisco grazie all’identificazione proiettiva.

… caldi finalmente? Adesso che non abbiamo più l’assillo dell’esame siamo entrambi d’accordo nel concentrarci nell’esplorazione delle altre aree della sua vita.

La seduta successiva è di nuovo ‘un altro film’ visto che all’esame ha preso il voto minimo ed è in essa che inizia ad accennare alla “pentola a pressione”: si sente come un vulcano in eruzione, non sa a chi farebbe prima del male, ma sicuramente lo farebbe. Non è un caso che in questa seduta si scagli di nuovo contro i genitori, genitori che peraltro non riesce ad affrontare, mentre è la sua fidanzata a farlo perché lui, in queste occasioni, regolarmente scoppia in lacrime. Helas, non che mi sembrino proprio lacrime di coccodrillo perché le considero sincere, però le percepisco come qualcosa che non è in contatto con gli strati più profondi della sua personalità.

Per la seconda volta da che è in terapia mi porta un sogno in cui punta un coltello alla gola della sorella e tutti i famigliari non possono che rimanere immobili impotenti. Ribadisce che adesso si sente come una pentola a pressione e che, se non mi parla dei suoi sentimenti, scoppierà e “ucciderà qualcuno”. Lo prendo in parola e riaffermo che la terapia consisterà nel mettere le mani nelle sue viscere e nello sforzo di capire il suo di comportamento assieme a quello della sua famiglia. E’ però, per l’empatia che mi comunica, un … freddi: gli credo ma ha lo stesso sguardo di sempre, la mimica non è alterata, non lo è neppure il colorito della pelle e neanche la postura.

Alla fine della seduta mi racconta che da mesi visita siti Internet in cui vengono brutalizzate donne- verosimilmente siti porno, ma l’elemento sesso non lo interessa-, siti anche di violenza bruta in cui, per esempio, vengono affogati dei cuccioli di cani. Questo mi colpisce veramente come un pugno nello stomaco, ma in questa seduta devo pensare a lasciar da parte questi miei sentimenti perché ritengo sia un errore dirglieli di getto; pertanto non commento nulla. Quando ci rivediamo gli dico cosa mi ha fatto provare e il paziente mi appare, e lo percepisco, anaffettivo come al solito.

Caldi… ssimo il vulcano spento risvegliato dalle irritate frasi sia mie che della fidanzata e dall’inatteso insuccesso scolastico. Caldissimo anche il mio transfert, perché sono cinofila. Non so se veramente egli non sia a contatto con il suo io più profondo, però a questo punto non capisco perché non mi abbia chiesto aiuto sentendosi come una pentola a pressione. Certo una bella sveglia anche per me.

A me quel che pare più interessante, e che spero riesca a chiarirmi il personaggio, è il fatto che… freddi abbia bisogno, come molti assassini o persone che comunque brutalizzano le loro vittime, di guardare filmati o ascoltare quel che può uscire da loro (gemiti, urla di terrore, preghiere), e cioè il fatto che vi sia un primato dei sensi rispetto al pensiero e quindi all’immaginazione.

Non è che io mi interroghi su persone che si ‘limitano’ ai sensi perché il passaggio all’atto implica una maggiore rabbia e un maggior rischio se si viene scoperti, mi interrogo al contrario su persone con una struttura di personalità tale per cui non riceverebbero nessuno stimolo sensoriale e sessuale se agissero le loro fantasie, mentre godono quando i sensi si ‘accendono’ per filmati, filmati soprattutto, in cui vi sono persone, animali brutalizzati e, a volte, uccisi. Fra l’altro con un andamento antidromico rispetto all’abituale successione dalla percezione- sensazione all’immaginazione: qui è l’immaginazione che ‘accende’ percezione e sensazione.

Quindi prevalenza della vista e, in minor misura, dell’udito, grazie ai filmati? Della vista, senza ombra di dubbio come per esempio nel film di Irwin Winkler “A prima vista” (1999), in cui l’autore, cieco dalla nascita, riacquista la vista grazie ad un’operazione: tutto il suo mondo, i suoi riferimenti sensoriali vengono scardinati dal vedere. Una vista che tiene incollati ai filmati molti giovani. Dicevo, primato della vista che investe un’ampia gamma di persone: basti pensare a come pazienti (soprattutto i soggetti borderline e coloro che soffrono di attacchi di panico), che non hanno interiorizzato a sufficienza i propri oggetti interni, soffrono le pene dell’inferno se usano il lettino in psicoanalisi: vista l’insufficiente interiorizzazione, questi soggetti hanno una grave carenza dell’uso della mentalizzazione e quindi hanno bisogno dello sguardo perché si crei un ponte sensoriale, ma in primis visivo, con il terapeuta.

Ecco allora le terapie vis à vis.

Forse che … freddi ha bisogno della sensorialità data dal guardare questi filmati per ritrovare aspetti del suo Io sepolto sotto anni di vendetta per la gelosia, l’acredine e il rimpianto? Non avendo io la pazienza di Schliemann, spero non sotto sette metri di strati come la prima Troia. Egli non può che mettersi in contatto con se stesso e con me solo tramite i sensi. Sensi però ben celati e selettivi perché neanche raccontandomi dei cani fatti affogare ha mostrato un minimo di empatia. Forse tutta l’empatia che adesso può provare sta nel raccontarmi ciò che vede e nel modo in cui me lo racconta farmi sentire brutalmente un coltello nella pancia decisamente per identificazione proiettiva. Non riesce insomma a mettersi in contatto con me e, prima di tutto con se stesso, con le parole, la fantasia, i sogni.

Al momento mi restano due dubbi: perché non sono preoccupata che passi all’azion,e e poi perché con i suoi è riuscito a piangere mentre raccontandomelo è stato di nuovo il … freddi che conosco?


DISCUSSIONE

“So hold me, mom… in your electronic arms”, dice Laurie Anderson in Superman. I sensi crudeli a cui ci si può trovare di fronte possono o ‘sfogare’ le fantasie sadiche/assassine tramite il loro ‘solo’ godimento oppure ‘accenderle’ grazie allo stesso godimento, come primo tassello necessario per passare all’atto.

Freud scrisse che se i pazienti fossero dei criminali come nella loro vita interna, e cioè che se il passaggio dall’immaginazione all’atto fosse automatico, avremmo un mondo pieno di criminali: è proprio questa distinzione tra chi passa all’atto e chi gode di più non passando all’atto, pago solo della stimolazione sensoriale che ora mi propongo di approfondire.

Il punto di vista psicoterapeutico e quello criminologico hanno uno scopo differente: il primo si occupa dell’ante, il secondo del post. Non si tratta di scoprire chi si macchierà di un delitto- tipo Minority Report- ma di chi si dibatte nella perversione dei sensi senza necessariamente passare all’atto.

Mi azzardo ad incominciare citando una rivista popolare molto conosciuta: mentre stavo pensando al problema clinico di … freddi e quindi per necessità anche al ruolo giocato dai sensi nella vita di ciascuno di noi, mi imbatto in una intervista alla cantante Patty Pravo apparsa su un settimanale nazional popolare (Oggi, in data 19/02/201: temo ovviamente che non sia una fonte bibliografica che di per sè dia lustro).

In questa intervista Patty Pravo tra le altre cose afferma testualmente: “oggi mi dà felicità accarezzare ed annusare un cammello. L’olfatto è fondamentale, non crede?”.

Ab imis… la filosofia ha guardato sempre con sospetto ai sensi e al corpo. Tranne alcune eccezioni e qualche’ distinguo’ (Cartesio con la sua attenzione alla res extensa, il corpo visto come una macchina; gli empiristi per i quali la ragione non è più onnipotente ed infallibile perché deve fare i conti con l’esperienza; il sensismo di Condillac e di D’Holbac e poco altro), la storia della filosofia è stata da una parte, la svalutazione dei sensi in quanto ci danno una conoscenza non oggettiva e non valida per tutti, quindi non universale, e del corpo- talora un carcere, talora una tomba per Platone- rispetto alla ragione giudicata come unico organo valido di conoscenza (prima antinomia) e dall’altra, l’idealizzazione della vita basata sullo spirito, e cioè una spiritualizzazione dell’uomo (seconda antinomia: anima vs. corpo, spirito vs. materia).

Queste due antinomie, pur con qualche sfasatura, entrano in crisi, prima con Kant, che indebolisce le ambizioni conoscitive (della ragione) che trascendono l’esperienza e ne limita l’uso al mondo fenomenico, ponendo termine sostanzialmente alla metafisica (un secolo dopo Wittgenstein porrà il sigillo su questa fine nella settima proposizione del Tractatus: “ di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”), e poi con i filosofi non sistematici e i vari esistenzialismi che non riconoscono alcun primato alla ragione e rivalutano i sensi, gli stati affettivi quali l’angoscia, la nausea, la noia…, e infine il corpo.

Contestualmente l’attuale affermazione della secolarizzazione (uno studio del lessico filosofico e letterario ha mostrato che era praticamente scomparso negli ultimi decenni del secolo scorso il termine anima), che era iniziata con l’illuminismo e gli impressionanti progressi della scienza e dell’economia, che hanno consentito all’uomo di uscire dalla permanente condizione di indigenza in cui era sempre vissuto e di controllare finalmente le forze della natura, coniugandosi tra di loro aprono la strada ad una mutazione forse epocale della filosofia, che diventa ciò che già aveva diagnosticato Nietzsche un secolo prima, “una ciotola fetida in cui galleggiano sociologia, antropologia, psicologia, economia” e alla rivalutazione dei sensi e del corpo.

Io con … caldi/freddi sono nella “ciotola fetida” di Nietzsche e non con Wittgenstein perché non si può tacere di quello di cui non si può parlare. Entriamo allora nella ciotola delle scienze dell’uomo.

Il mainstream della psicoanalisi, sia a partire da Freud, che da Ferenczi, parla di fantasie e di atti e mai di sensi. A parte affermazioni complessivamente marginali, per quanto riguarda corporeità e sensorialità a proposito della pelle, sia di Esther Bick che di Anzieu [Bick E. (1968), L’esperienza della pelle nelle prime relazioni oggettuali, Bollati Boringhieri, Torino, 1974; Anzieu D. (1985) L’Io pelle. Borla, Roma, 2004.] e il costante riferimento alla digestione per la metabolizzazione del contenuto in Bion, segnalo una crescente attenzione di psicoanalisi e psicoterapia per il corpo e una distinzione che pigramente si avverte muoversi per separare azione da acting anche attraverso la puntualizzazione del fenomeno chiamato enactment.

Per converso, che dire dei bambini autistici, così magicamente illustrati da Bettelheim ne “La Fortezza vuota” (1967), in cui l’autore segnala, indirettamente, come i sensi abbiano una tale forza che il soggetto autistico deve crearne degli altri (ecolalie, movimenti delle mani…) a suo piacimento, per stornarsi da quelli che il mondo gli impone (primato della mente sul corpo). Qui Bettelheim prende in esame la relazione fra sensi e sviluppo corporeo (pelle della Bick): quando, ad esempio, la mente del bambino prevale sul suo corpo egli non riesce neanche ad espletare le funzioni corporee perché tramite la sensorialità avrebbe l’idea (?) o la sensazione (?) di aver perso parte di sè. Ovviamente non sappiamo quanto per i bambini nell’Orthogenetic School fosse sensoriale e quanto immaginato. Qui veramente, a parer mio, come in tanti gesti suicidari, vi è una sovrapposizione così inestricabile fra sensi ed immaginazione che non ci permette di essere analizzata.

Forse dobbiamo considerare i sensi come unica espressione del sè all’esterno e quindi come forza deputata a proteggere (?) il sé più interno che non è quindi solo sensorialità?
Quindi abbiamo tre versioni finora: il primato della fantasia, l’autonomia del corpo e dell’azione, il primato dei sensi da sé costruiti.

Io parlo di una quarta alternativa: quale è il ruolo dei sensi fra immaginazione e atto? Può essere quello di dar sfogo all’immaginazione senza rendere necessario il passaggio all’azione, almeno a quella definitiva di uccidere, oppure può essere una digestione/indigestione sensoriale che diventa condizione necessaria per l’azione?

Vista, calore, odore e sapore sono sempre presenti in un’azione autolesiva che è raramente suicidaria: i soggetti borderline hanno bisogno per detendersi [Grava G., Ballando con la morte. FrancoAngeli, Milano, 2005;

Grava G. Tana, liberi tutti. 2011, in pubblicazione; Martorana, G., Analisi descrittiva del comportamento di autoferimento in una popolazione non clinica. Indagine esplorativa attraverso internet. Riv. Psichiat. 44, 179- 190 2008.] della sensorialità legata al tagliarsi- dolore fisico, il caldo e poi subito dopo il freddo del sangue che si raggruma sulla pelle, l’odore del sangue, il suo sapore per chi giunge a tanto. Però c’è anche una continuità fra atti autolesivi e il loro uso per suicidarsi: in ‘Ballando con la morte’ è trattata per esteso la ‘terza costellazione’ in cui è presente nel soggetto sia la disperazione- hopelessness, che l’incapacità di ‘usare’ l’aiuto altrui- helplessness. Ebbene in questa costellazione spesso i gesti autolesivi rappresentano le modalità suicidarie fantasticate- al momento- e poi spesso trasformate in gesti suicidari.

Per converso, ricordiamo la ragazza anoressica che si è ripresa in webcam, testimoniando tutte le fasi che aveva attraversato fino all’incontro finale con la morte. Essa ha trasformato la percezione in azione. Alla stessa stregua i Kamikaze arabi, come già i giapponesi, si fanno riprendere in un video nel quale testimoniano la loro serenità e la loro determinazione prima di compiere l’attentato.

Nell’intenzione suicidaria coesistono in modo inestricabile la pianificazione e il risveglio sensoriale: per esperienza clinica (Grava 2005) posso affermare che la pianificazione del suicidio è inestricabilmente connessa alla sensorialità, in quanto non c’è momento della pianificazione in cui il futuro suicida non pensi alle modalità suicidarie, modalità scelte a seconda di quelle che stimolano i sensi che il soggetto meglio riesce a tollerare: c’è chi preferisce una ‘morte dolcissima’ (Simone de Beauvoir, ) scegliendo un atto che lo porti ad addormentarsi quietamente, e chi, invece, ‘preferisce’ una morte dolorosa.

Tutto ciò è in letteratura praticamente inesplorato. Già inesplorata è la tematica suicidarla, figuriamoci le motivazioni della scelta della metodica (Grava 2005).
Uno spunto letterario complesso in un romanzo di Camilleri, non uno dei migliori [Camilleri 2009.]: in tre diversi momenti lo scrittore parla di una coppia che scopre di avere un’attrazione sensoriale che si trasforma subito in attrazione sessuale; qualcosa di démodé sembrerebbe oggi chiedersi se la crudeltà è fine a se stessa o se ha un seguito sessuale perlopiù violento, di branco o necrofilo.

Nel primo episodio, quando casualmente sono insieme e vedono una donna travolta da un tram, i due debbono nascondersi in un recesso della strada per dar sfogo alla loro brama (p. 38). Nel secondo episodio la coppia va a casa di amici e in una camera isolata, per eccitarsi guarda una cassetta del genere pornografico snuff (p. 71): si intuisce che ne fa un uso non occasionale, che può ‘sfruttarla’ a comando.

Nell’ultimo episodio che si svolge sempre in casa di amici, i due si eccitano quando scorgono un uomo che si defenestra e hanno un rapporto sessuale correndo il rischio che la loro perversione venga scoperta (p. 121). Sembra proprio che la percezione del sangue attivi non solo un impulso sessuale irrefrenabile ma anche il desiderio altrettanto irrefrenabile di essere scoperti.

Sensi e ragione come “due secoli l’un contro l’altro armati”?.

Tutto ciò è molto peggio che provare piacere nell’odorare un dromedario?



BIBLIOGRAFIA

Anzieu D. (1985). Le moi-peau.Bordas, Paris. Tr. It L’Io- pelle. Borla, Roma 2005
Berti Ceroni G. (2007). Cesarino Cervellati e il pericorpo. Psichiatri Oggi 9, 5, 13- 18
Bettelheim B. (1967) The empty fortress, New York. Tr. It. Garzanti, Milano 1976
Bick E. (1968). The esperience of the skin in early object relations, International Journal of Psycoanalysis 49, 558-566. Tr. It. L’esperienza della pelle nelle prime relazioni oggettuali. Bollati Boringhieri, Torino 1974
Camilleri A. (2009). Una sera, in casa di amici. Mondatori, Milano
De Beavoir S. (1964) Une mort trés douce. Gallimard, Paris. Tr. It Una morte dolcissima. Einaudi, Torino, 1966
Grava G., (2005). Ballando con la morte. Franco Angeli, Milano
Martorana, G. (2008). Analisi descrittiva del comportamento di autoferimento in una popolazione non clinica. Indagine esplorativa attraverso internet. Riv. Psichiat. 44, 179- 190

commenta questa pubblicazione

Sii il primo a commentare questo articolo...

Clicca qui per inserire un commento