Violenza contro le donne, perchè tanto silenzio?

L'agenzia dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (Fra) ha presentato nel 2015 la più grande indagine a livello mondiale sulla violenza subita dalle donne: per la prima volta si sono utilizzati gli stessi metodi d'intervista, le stesse domande e gli stessi oggetti di indagine in tutti gli stati membri per una ricerca a tappeto che ha coinvolto più di 42mila donne. La media europea di donne intervistate che hanno dichiarato di essere state vittima di violenza sono il 33% di cui circa il 70% non ha sporto denuncia né informato le forze dell'ordine.

In Italia la percentuale è più bassa: il 27% della popolazione femminile ha subito violenza fisica o sessuale, il 19% da parte del proprio partner (fra.europa.eu).

Una contemporanea ricerca nazionale invece dichiara che tra il 2009 e il 2014 ben 6 milioni e 788mila donne tra i 16 e 70 anni sono state vittima di violenza, insomma una donna su tre!

Un numero sconcertante, ma più basso del quinquennio precedente (Istat, 2015).


Tornando al contesto Europeo la Danimarca invece risulta la nazione con il valore più alto; il 52% seguito da Finlandia (47%) e Svezia col 46% (fra.europa.eu). Questo dato risulta contraddittorio in quanto i tre Paesi sopracitati sono considerati d'avanguardia per quanto riguarda i diritti delle donne (pensiamo che la Svezia ha concesso il suffragio universale più di due secoli prima dell'Italia e attualmente il loro linguaggio è considerato tra i meno sessisti del mondo).

Le divergenze tra i paesi possono quindi riflettere, oltre a differenze reali nei tassi di vittimizzazione, una serie di altri fattori socio culturali e storici.

Ad esempio: se sia o meno culturalmente accettabile rivelare ad altre persone, inclusi gli intervistatori coinvolti nelle indagini, la propria esperienza.

C'è la possibilità che una maggiore parità di genere in un certo paese possa portare a livelli più elevati di denuncia, poiché è più probabile che in società con migliori condizioni di parità gli abusi vengano maggiormente riconosciuti e affrontati apertamente.

Tornando ai dati Fra ecco che emerge che la maggioranza delle donne vittime di violenza non ha denunciato l'aggressione , cerchiamo di capire il perché portando come esempio il contesto Italiano. Noi proveniamo da una cultura patriarcale dove la violenza fisica come modalità educativa e la violenza sessuale su donne della famiglia erano fatti ineludibili e forzatamente accettati dalle donne, pena l'esclusione dal nucleo familiare.

La cultura del segreto e della vergogna delle violenze subite viene da lontano e tutt'oggi è difficile da sradicare.

Pensiamo che solo fino al 1963 era in vigore in Italia il cosiddetto ius corrigendi che dava all'uomo di casa il diritto di picchiare i famigliari, moglie compresa, per correggerli e che solo nel 1983 è stata abolita in Italia la riduzione della pena per il femminicidio all'interno del nucleo domestico come punizione per un atteggiamento disonorevole (delitto d'onore).


Molte donne non chiedono aiuto alle autorità non solo per la cultura e/o per la poca fiducia nel sistema giudiziario, ma anche per implicazioni psicologiche.

La violenza, soprattutto se tra le quattro mura, viene presentata dall'aggressore come qualcosa fatta per il bene di chi la subisce o per colpa della bambina o della donna, che induce l'aggressore a comportamenti riprovevoli che egli non vorrebbe commettere: un modo per scaricare la responsabilità sulla vittima.

Oltre a questa manipolazione psicologica è presente anche il legame familiare, le abitudini quotidiane e le concrete condizioni di vita. L'aggressore spesso ha l'aspetto dell'imprevedibilità, questo può portare ad innalzare il meccanismo di difesa dell'onnipotenza per cui si ritiene propria responsabilità la situazione traumatica vissuta.

“Non avrei dovuto camminare sola... Non avrei dovuto mettere la gonna...””Se non avessi...non mi sarebbe successo”

Questo può aiutare la persona a ricostruire un surrogato di senso di sicurezza, Ma a quale prezzo...

Questo ragionamento edifica un enorme senso di colpa e vergogna che, come prigioni, impediranno alla vittima di aprirsi, elaborare le emozioni e denunciare il fatto.

A te che leggi verrà anche in mente che queste frasi spesso si sentono in prossimità di fatti di cronaca “se vanno in giro così per forza poi gli capita qualcosa”. Questo ovviamente, coadiuvato da un certo linguaggio dei media (che tende a giustificare l'aggressore), è un elemento che rende ancora più sofferente la posizione della vittima.

Questa ora, oltre alla violenza subita, dovrà fare i conti con un ambiente esterno e una voce interna che la continueranno ad aggredire giudicandola e biasimandola.


Rompiamo questi schemi culturali facciamo come Filomena giovane personaggio mitico dell'antica Grecia che viene brutalmente violentata dal marito della sorella Procne. Questi, Tereo re della Tracia, le tagliò la lingua per impedirle di parlare e denunciarlo. Filomena però trova il modo e direi il coraggio, di comunicare denunciando Tereo alla sorella.

Era passato un anno, il Sole aveva percorso i dodici segni:

che può fare Filomela? La sorveglianza le impedisce la fuga,

le pareti della capanna sono di solida pietra,

la bocca muta non può svelare i fatti. Ma è grande

l’ingegno del dolore: nelle disgrazie si è astuti.

Appende al telaio una tela barbara,

e intreccia sul filo bianco segni purpurei,

denuncia del delitto, e la consegna alla fine

ad una serva, pregandola a gesti di darla alla regina (Ovidio, Metamorfosi).

 

Oggi si parla molto di violenza contro le donne e del tentativo di prevenire o arginare questo fenomeno.

Cosa vuol dire violenza e che relazione ha con l'aggressività?

La psicologia sociale e dei gruppi distingue nettamente questi due termini. L’aggressività (dal latino adgredior; andare verso) è considerata un modo per incontrare l’altro attraverso uno scambio, dove si cerca di influenzare l'interlocutore mantenendosi però a propria volta disponibili a cambiare.

La violenza al contrario è cieca. L'origine della parola latina deriva da vis, forza e rappresenta lo scagliarsi contro qualcosa che non è più visto come un soggetto, ma un oggetto che si vuole possiede, si può manipolare e distruggere (E. Spaltro, 1993).

Quali tipi di violenza esistono? Siamo sicuri di saper sempre identificarli?


E’ violenza psicologica:
spaventare con gesti, sguardi e parole, denigrare ed umiliare, mortificare, minacciare, colpevolizzare, ridicolizzare, svalutare e squalificare, ricattare, minacciare di far violenza ad altri familiari e/o ai figli o, minacciare il suicidio o di farsi male, chiudersi alla comunicazione e rifiutare d'ascoltare, isolare l'altro, limitare la sua libertà personale, perseguitare per iscritto o per telefono, pedinare e inseguire (stalking)...
È violenza fisica:
spingere, strattonare, schiaffeggiare, bloccare o imprigionare, mordere, picchiare, strappare i capelli, tirare calci, pugni, bruciare, strozzare...minacciare con un arma...
Esiste anche la violenza economica (il controllo economico, il divieto nel cercarsi occupazione o l'abbandono economico) e la violenza assista da parte di un figlio/a. (M.Vodarich, 2008).


Che conseguenze subire o avere subito violenza di questo tipo?

Come quasi sempre in psicologia non lo si può definire a priori, dipende dalle caratteristiche dell’aggressione e dell’aggressore, dalla vulnerabilità della vittima (età e equilibrio psichico) dal supporto familiare e sociale e istituzionale.

Di queste variabili, la variabile età è stata ampiamente indagata e la sua significatività, anche in qualche modo intuitiva, si collega alla capacità di distinguere tra coercizione e consenso all’atto sessuale, alla percezione di perdita della propria integrità fisica e psichica, nei momenti più delicati dello sviluppo della personalità e dell’individuazione dell’identità sessuale, che possono venire così gravemente compromesse.

Tornando alla contrapposizione tra aggressività e violenza: se l'aggressività è relazionale e presenta degli aspetti positivi, la violenza presuppone il prendere le distanze e l'interrompere ogni rapporto, considerando l'altro come qualcosa di assolutamente differente da sé.

Ne deriva che l'antidoto alla violenza è la comunicazione, l'interazione e lo scambio tra le diversità.

La donna prima di essere vittima è resa oggetto, de-umanizzata.

Come si riesce a raggiungere questo ? Come può il maschile e femminile risultare così distante da non riuscire a comunicare ? L'identità di genere non è purtroppo ancora eccessivamente ancorata a rigidi stereotipi ?

Oggi la letteratura incita i professionisti a coinvolgere i giovani e le scuole a ragionare sul tema, in modo da permettere ai ragazzi una relazione inter-genere basata sull'esperienza nel gruppo classe. Un lavoro che si fonda sulla relazione e sul confronto, in modo da permettere alle donne e agli uomini del futuro di costruire un'identità libera da aspettative, stereotipi e apprendimenti familiari.


Video: Piccole cose di valore non quantificabile (Cortometraggio di Paolo Genovese e Luca Miniero )

https://www.youtube.com/watch?v=tOMHEAmirIY

 

 


BIBLIOGRAFIA:

    http://fra.europa.eu/en/vaw-survey-results

    Monica Vodarich, Uscire dalla violenza si può, Jar Edizioni, 2008

    http://www.istat.it/it/archivio/157059

    Ovidio, Metamorfosi, III.VI, 571-79

    E. Spaltro, Pluralità, psicologia dei piccoli gruppi, Pàtron,1993

 

 

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