Dott. Marco Ventola

Dott. Marco Ventola

psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista

Controllare le ossesioni della depressione

Salve, sono fabio, ho 26 anni e sono da 5 anni in depressione. Ho cambiato due psicologi e non mi sembra di aver avuto alcun aiuto. Ho sempre le solite ossessioni, ossia: paura di contrarre malattie. Mi chiudo per mesi in casa e non riesco ad affrontare le mie paure che si presentano sottoforma di ossessioni: vedo sangue dappertutto e non riesco a toccare nulla, oltretutto mi lavo continuamente le mani. Ma vi chiedo come e'possibile che, seppur consapevole di non aver fatto qualcosa, dubito di quest'azione fino a convincermi del contrario. es: camminando vedo una siringa che seppur distante da me mi crea panico e subito dopo il dubbio di averla calpestata anche se non e' successo. Tutto ciò che e' rosso per me e' sangue. Ho fatto uso di psicofarmaci per 6 mesi, sembrava esser diminuito il tutto ma due mesi dopo l'interruzione dell' assunzione di quest'ultimi eccomi di nuovo con le mie ossessioni. Come devo fare per superare e portare tutto a livello razionale? Aiutatemi vi prego.

Signor. Fabio, riflettendo sulle dinamiche che portano una persona a soffrire di ansia e ossessioni si possono fare alcune considerazioni importanti sul modo in cui ogni individuo legge la realtà e attribuisce significati diversi a identiche circostanze. Sentiamo dei passi al piano di sopra: se abbiamo la fantasia che si tratti di un ladro, probabilmente avremo paura; se crediamo che siano i passi del vicino di casa, allora ci sentiremo al sicuro. Questo è un semplice esempio di due interpretazione diverse della stessa “realtà” che ci può aiutare a capire che bisogna sempre tener a mente che la realtà come dato oggettivo non esiste ed ogni tentativo di oggettivare totalmente la realtà risulta in definitiva fallace. Vi è mai capitato di assistere ad un evento insieme ad altre persone e scoprire che ognuno aveva una diversa versione di quello che era accaduto? Questo succede perché è proprio la dimensione interna che carica la realtà di valore e attribuisce significato all’esperienza; se cerchiamo di arrivare ad un “punto della situazione” obiettivo e concreto, commettiamo un errore pericoloso, cioè quello di svuotare gli stimoli esterni della connotazione emotiva che attribuiamo loro; ma gli stimoli si chiamano così proprio perché stimolano qualcosa, muovono, danno energia all’individuo. Pensare alla realtà come a qualcosa di definito e coerente può essere rassicurante, ma bisogna sempre tenere a mente che, come esseri umani, non possiamo altro che filtrare la realtà attraverso la propria individualità. La coerenza ha il difetto di vivere di corrispondenze perfette, mentre la realtà psichica è ancorata a dimensioni che non conoscono la logicità scientifica ed è per questo che la contraddizione è una parte inevitabile della nostra vita. Un altro esempio lo abbiamo da uno dei test psicologici più noti al grande pubblico: il test proiettivo di Rorschach. Egli aveva costruito una serie di tavole sulle quali vi erano delle macchie di inchiostro, colorate in maniera simmetrica ma senza senso, che utilizzava mostrandole ai soggetti. Davanti a queste macchie venivano interrogati: la domanda loro posta era questa ”Cosa vedi?”; ebbene, nessuno percepiva la macchia solo come una macchia di inchiostro; nessuno vedeva una forma indefinita su un foglio. C’era chi vedeva una farfalla, chi un pipistrello, chi una donna che balla, insomma, chi si confrontava con le macchie non percepiva solo lo stimolo ma ne dava un senso, un significato che andava ben al di là del semplice dato visivo. Sembra quindi che una caratteristica o, per meglio dire, una competenza tipica dell’essere umano sia quella di donare un senso narrativo alla percezione; percepire, immaginare, e costruire storie sono funzioni in relazione tra loro, e non capitoli distinti dell’essere umano. Ed allora diviene comprensibile che per chi attraversa l’esperienza della paura esterna è necessario rivolgere lo sguardo verso la propria costellazione emotiva riuscendo a cogliere quei conflitti interiori che risultano inaccettabili, per rendersi consapevoli delle proprie fantasie interne. Questo vuol dire compiere un viaggio nella propria psiche per potersi confrontare con le proprie emozioni e riuscire a darne un senso. Un inciso, peraltro da non sottovalutare assolutamente: chi si pone davanti alle macchie del Rorschach può sostenere di “vedere” una tal oggetto, o può dire “che gli sembri di vedere” per esempio un pipistrello: ebbene, la differenza è notevole, in quanto denota la possibilità del cliente di distinguere tra la realtà e l’interpretazione della realtà che egli stesso gli attribuisce. Allo stesso modo chi si rivolge allo psicologo ha la possibilità di discriminare, di differenziare le ipotesi che attribuisce alla realtà. Questa considerazione aiuta a eliminare un luogo comune piuttosto diffuso sugli psicologi, quello che vede lo psicologo creare complesse interpretazioni a partire dalle fantasie espresse dal paziente, come se realizzasse una costruzione “barocca e decorativa” sulla base di simbolismi universali. Probabilmente una persona che si rivolge allo psicologo utilizza delle categorie piuttosto rigide per leggere la realtà, e ha difficoltà a comprendere quanto determinate “certezze” siano controproducenti nello sviluppare un processo di sviluppo personale. Riscrivere il copione della propria vita, dunque, prendendo contatto con la realtà, sperimentandoci nei rapporti per incontrare se stessi. Questo può essere fatto solo con l'aiuto di uno psicologo