Paura degli altri e cattive prospettive di vita

Buongiorno.

Mi chiamo Giulia, ho 23 anni e la mia vita è un disastro totale. Meglio andare con ordine, comunque.

“Totale” magari no, se vista dall’esterno. Finora sono sempre stata in pari con gli studi, sempre avuta una media alta, ho una buona famiglia, qualche amicizia, in passato persino (!) una relazione. Apparentemente una vita normalissima, non fosse che… è da quando ho memoria che provo una sensazione difficile da definire, ma che si può riassumere col fatto che proprio non mi piace stare al mondo, a questo mondo, e avrei preferito non essere proprio mai nata.
Può sembrare un po’ estrema messa giù così, per cui urgono alcune precisazioni.

Il mio problema principale - come, a livelli normali, quello della maggior parte delle persone - è il rapporto col prossimo. L’anno scorso ricevetti una (non molto convinta) diagnosi dallo psicoterapeuta da cui andavo: disturbo evitante di personalità. Fondamentalmente credo proprio sia così: consapevolmente o meno, ricerco la distanza dai miei simili sia per generica introversione, sia perché gli altri mi fanno (da sempre) una paura folle, vuoi per paura del rifiuto che distruggerebbe la mia già ridicola autostima e mi inibirebbe ancora di più, vuoi perché il rapporto con l’altro comporta un elemento di imprevedibilità che mi spaventa.
Ho però parlato in apertura di avere qualche legame: ebbene, non sono mai io a cercare queste persone per prima perché proprio non ce la faccio, non perché non me ne venga voglia. Provo autentico terrore nel fare una telefonata e moderata ansia nel mandare un messaggio per prima, anche se poi non ho problemi a rispondere quando vengo cercata. Sostanzialmente non riesco a coltivare le amicizie, per cui finisco sempre col perderle; allo stesso modo, consapevole di essere una persona che bisogna andare a raccattare con la pala e pur sapendo che prima o poi deve accadere, ho molta paura che le persone si stanchino e mi lascino… sola, ovviamente. Completamente sola.
A volte soffro la solitudine, più spesso provo una forte ansia (accompagnata a una altrettanto forte tristezza) se penso non solo al presente, ma anche e soprattutto al futuro. Per forti che siano le mie skill di sopravvivenza, per quando effettivamente io sia un po’ misantropa, non sono capace di vivere da eremita totale. Non amo molto il contatto con gli altri, contemporaneamente mi serve per non uscire di testa: questo è il dilemma.

Posso affermare con ragionevole certezza che quella specie di male di vivere di cui ho parlato in apertura sia dovuto a questi problemi. Vorrei vivere bene, oppure vivere male senza il costante pensiero di star vivendo male. Anche non vivere affatto viene spesso contemplata come opzione, ma ciò che me ne distoglie, oltre al naturale istinto di conservazione, è sapere di star facendo un torto a persone che non c’entrano nulla e che mi vogliono bene: i miei famigliari, soprattutto mia madre.

Se sto scrivendo qui è perché mi trovo in un momento particolarmente pesante (sono due giorni che non riesco a fare nulla che non sia rimuginare su tutto ciò, con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista dell’umore e della qualità della vita) e anche perché per adesso sono incapace di parlarne senza piangere. Visto che non lavoro ancora, pagare qualche decina di euro a seduta per non riuscire a dire niente è fuori discussione.

Non so che genere di risposte aspettarmi: a dire il vero, è più che altro uno sfogo.
Ad ogni modo, ringrazio chiunque si sia preso la briga di leggere.

Buongiorno Giulia.

Non è affatto facile convivere coi problemi che descrivi. Essere nel bel mezzo di un conflitto tra il rifiuto degli altri (per le molteplici ragioni che riporti) e la consapevolezza di averne in qualche modo bisogno. Metticela tutta per risolvere: devi cercare di essere te a scegliere se relazionarti o no con una persona o un gruppo, mentre non deve scegliere per te “la paura degli altri”, perché sceglierebbe sempre e solo in un senso.

Quando devi buttarti in una situazione sociale, inizia col chiederti “ok, ammettiamo che possano rifiutarmi: e allora? Cosa succederebbe di così grave?”. Difficilmente un rifiuto (per altro ipotizzato) porta conseguenze irrisolvibili. Comunque, si capisce che non è solo paura del rifiuto, quindi il mio è solo un piccolo spunto. In qualche modo, però, cerca di risolvere. E’ chiaro da come scrivi e da come descrivi la situazione che sei una ragazza con quantomeno buone capacità. Ma se non riesci da sola, trova le forze (anche economiche) per farti aiutare, per non dover precluderti possibilità importanti, soprattutto alla tua età.

In bocca al lupo,

Matteo Pardini

Psicologo e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale

Cecina (Li)