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Dott.ssa Noemi Monaco

Psicologa e Psicoterapeuta ad orientamento Analitico Transazionale- Relazionale

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Psicologa e Psicoterapeuta ad orientamento Analitico Transazionale- Relazionale

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La Comunicazione Umana come atto intenzionale, necessario ed evolutivo. Una riflessione psicologica integrativa.

Voglio iniziare questo articolo con una citazione piuttosto significativa sul tema della Comunicazione Umana di W. James che afferma: "Ogni volta che due persone si incontrano ci sono in realtà, sei persone presenti. Per ogni uomo ce n'è uno come egli stesso si vede, uno per come lo vede l'altro, e uno per come egli realmente è". Tale assunto resta valido al netto delle possibili differenze di genere.

Lo stesso principio vige anche secondo E. Berne e la sua Teoria degli Stati dell'Io, in particolare rispetto all'Analisi Strutturale (tra le diverse parti costitutive dell'Io: Genitore, Adulto, Bambino) e all'Analisi Funzionale nelle reciproche transazioni (o unità minime di scambio comunicativo). Per gli approcci teorici psicodinamici relativi allo studio delle relazioni tra i gruppi sociali, ad esempio la Psicologia Sociale, non è difficile immaginare come questo principio diventi esponenziale considerando la numerosità dei gruppi sociali esistenti.

Tradotto in termini più generali e intuitivi è chiaro come sia tecnicamente difficilissimo e improbabile "l'idea che una persona possa esimersi totalmente da una comunicazione attiva", avviata anche solo tra due individui presenti (o gruppo minimo). Ciò richiederebbe uno sforzo incommensurabile e qualora questa persona ipotizziamo si ostinasse a restare "tassativamente in silenzio", ricadrebbe inevitabilmente nel paradosso di aver comunque espresso un atto comunicativo volontario ed esplicito. Non è un caso che, in alcune culture occidentali, si ricorra al silenzio, come ad un metodo esplicito per ristabilire concretamente nuovi assessment comunicativi tra i partecipanti.

In altri casi, basti pensare ad alcune popolazioni orientali, "restare in silenzio" può essere considerato anche una pratica meditativa per ascoltarsi interiormente e riconnettersi agli altri con maggiore profondità e autenticità dal punto di vista relazionale. Anche questa forma di comunicazione implicita, trasporta un messaggio intenzionale esplicito, con "un chiaro gradiente cromatico caldo" che si percepisce come diverso dal precedente "a gradiente freddo".

Possiamo quindi affermare che la Comunicazione Umana è intenzionale al pari dei diversi atti comunicativi presenti nei vari regni animali, ma che si particolarizza per essere più sofisticata e sfumata, in quanto dotata di una componente unica: il linguaggio. Anche quando tale componente non sia presente per ogni interlocutore, le forme di comunicazione non verbali adottate, risulteranno comunque più composite di quelle presenti in altri regni viventi.

Che cosa accomuna quindi le diverse forme di comunicazione tra i vari regni esistenti? A mio parere l'imperativo biologico, antropologico e psicologico che in modo prettamente specie-specifico ha come obiettivo la sopravvivenza e l'evoluzione di ogni forma vivente.

Evolvere non è semplice e i processi di metamorfosi sono complicatissimi e rari in ogni regno naturale esistente. Per vivere abbiamo bisogno di comunicazioni continue fatte di pensieri, emozioni, esperienze e che ci permettano di immagazzinare in memoria tutte le informazioni necessarie all'evoluzione e al progresso collettivo di appartenenza alla nostra specie.

Quando questo non avviene, la persona si espone ad un effettivo rischio di collasso psichico, che può indurla alla perdita di contatto con gli altri e con la realtà esterna. Ragione per cui impiegherà diverse modalità difensive per proteggere il proprio Sè dalla diffusione o sua completa frammentazione.

I tipi di meccanismi difensivi utilizzati, sono per il clinico indicativi delle effettive risorse/fragilità presenti in quella persona. Lo stesso vale in ottica psicodinamica rispetto alle osservazioni relative alle dinamiche dei gruppi sociali; tanto più il gruppo manca per esempio di coesione e comunicazione interna, tanto più è a rischio di sopravvivenza e di diffusione/perdita dei suoi confini esterni.

Durante il corso dei diversi colloqui individuali, emergerà praticamente evidente il piano comunicativo su cui è possibile stare con l'altro o per dirlo in altri termini: "in che punto si è spezzato effettivamente il filo del discorso". Anche nei colloqui di gruppo è possibile osservare "i nodi cruciali della matassa" indicativi del benessere/malessere complessivo di quel sistema vivente.

Quando ritornando al singolo individuo, l'esame di realtà viene ad essere solo parzialmente o scarsamente preservato, ciò che si manifesta è un forte disagio psichico e una sofferenza interiore profonda, rafforzata dall'espressione di una comunicazione disfunzionale, frammentata e paradossale. Una sorta di circolo vizioso che riproponendosi, si autorinforza ed autoalimenta.

Le psicoterapie umanistiche sono concordi nel ritenere necessaria una riparazione della trama comunicativa e narrativa interrotta, che prescinde dall'importanza del singolo metodo utilizzato, sia per quanto rigurda i singoli casi e sia in ottica delle psicoterapie di gruppo. I processi curativi attuati possono seguire vari metodi curativi ed essere comunque ritenuti pariteticamente efficaci. E' a mio avviso corretto considerare che nessuno al di fuori del paziente può sapere davvero l'esito di un certo trattamento e che tale considerazione è trasferibile anche nei contesti di gruppo.

A conclusione di questo articolo, credo che sia importante ri-sottolineare il concetto che non esiste un metodo più efficace di un altro e che la vera sfida di tutte le scienze umane sia il continuare a intraprendere nuove strade di comunicazione e integrazione utili a favorire sempre più l'innovazione e il progresso nei processi di cura e guarigione individuali e collettivi. Per fare ciò è importante non perdere la comunicazione necessaria in primis tra i professionisti che lavorano quotidianamente e devono fare sempre più rete in ambito sanitario. E' importantissimo non confinarsi nella propria zona di confort, ma lasciare anche le porte aperte a nuovi approcci integrativi e alla possibilità di arricchire alcuni ambienti operativi che si rivolgono alla tutela del benessere pubblico e non all'interesse particolarizzato di alcune scuole di pensiero. 

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