Per loro è normale, per me è panico: vivere con la paura di spostarsi

Ieri stavo parlando con alcuni amici a tavola e mi sono reso conto di quanto fossi bambino. Ho 28 anni e soffro di ansia e attacchi di panico da quando ne avevo 18. Al momento non riesco a guidare nel traffico né a uscire dalla mia città, quindi prendere un autobus, un treno o un aereo mi sembra completamente impossibile, attualmente.
Eppure vivo una vita relativamente normale: vado in palestra, mangio sano, vado in bicicletta, esco con gli amici, ho un lavoro e, ogni tanto, esco con qualcuno per qualche appuntamento.
Ma quando sento persone, come i miei amici o chiunque altro, parlare di prendere con nonchalance autobus, metropolitana, taxi, aerei per spostarsi, mi sento completamente perso. Per loro è come bere un bicchiere d'acqua. Per me è una spirale di panico in piena regola.
La cosa con cui ho più difficoltà è non sapere "come muovermi". Se devo andare da qualche parte fuori città, mi blocco.
Non ho la "paura di guidare", ma ho attacchi di panico in macchina appena mi trovo su strade sconosciute e perdo completamente l'orientamento — figuriamoci solo immaginare di poter stare in paesi stranieri e sapermi muovere lì... oppure quando c'è traffico e rimango bloccato.
Ma... non voglio più vivere così. Vorrei trasformare questa debolezza in forza.
Pensavo di accompagnarmi alle persone giuste, che attualmente potrebbero insegnarmi la loro sicurezza in merito agli "spostamenti" e "come muoversi", quindi non è solo una questione di trovare uno psicologo adatto, ma anche delle persone che potrebbero "influenzarmi" in questo campo.
Perché mi è successo questo? Per via della genetica o dell'educazione ricevuta dai miei genitori?
Qual è la soluzione?

C’è un passaggio del tuo racconto che colpisce particolarmente: “per loro è come bere un bicchiere d’acqua. Per me è panico”.

Questa frase, così semplice e potente, descrive perfettamente quanto possa essere invisibile la fatica psicologica a chi non la vive — e quanto, invece, per chi ne fa esperienza, anche un gesto quotidiano possa diventare una scalata.

Quello che racconti è tutt’altro che un segno di “infantilismo”: è il frutto di una battaglia silenziosa che stai affrontando da anni, cercando di vivere una vita piena nonostante le limitazioni. E già questa è una forma di forza, non di debolezza.

L’ansia legata agli spostamenti — in particolare il timore di perdere il controllo, disorientarsi, non avere vie di fuga — è qualcosa che in psicoterapia si incontra spesso. Ha a che fare con il senso di sicurezza interno, con la fiducia nel potersi orientare non solo nello spazio, ma anche dentro sé stessi. A volte, questo senso si costruisce con lentezza, specialmente se nell’infanzia si è sperimentata insicurezza, ipercontrollo, o paura dell’ignoto. Ma si può costruire.

Hai già una cosa molto preziosa: consapevolezza e desiderio di cambiamento. E questo è un punto di partenza concreto. La tua idea di cercare non solo uno psicologo, ma anche persone che possano aiutarti “con la loro sicurezza”, è una strategia potente. Nelle relazioni sicure si impara. Si può assorbire il senso di orientamento anche dall’altro, almeno all’inizio.

Nel lavoro terapeutico, si può esplorare la storia di questa paura, i significati che porta con sé, e allo stesso tempo costruire — con piccoli passi — esperienze nuove e positive di movimento, di autonomia, di esplorazione. Non per dimostrare qualcosa, ma per sentirti sempre più libero di scegliere dove andare, dentro e fuori di te.

A volte non si tratta di trovare subito la soluzione, ma di iniziare a muoversi in direzione del proprio desiderio. Il tuo lo hai già nominato: “non voglio più vivere così”.

Questo può già essere l’inizio del cambiamento.

Un caro saluto.

Ottavio Ragozzino