Non riesco a parlare con gli altri e dipendenza dal loro giudizio: cosa posso fare?

Salve, All’università rimango spesso per i fatti miei oppure non trovo nulla da dire o ad essere espansiva con gli altri. Trovo più facile parlare con una persona singola (sopratutto sé estranea) che inserirmi in un gruppo. Infatti in gruppo, non riesco ad inserirmi: o non so cosa dire oppure penso che non sia importante ciò che penso. Per questa cosa che mi chiudo facilmente mi sento giudicata e non compresa: ad esempio, oggi delle mie amiche sono andate al bar e io sono rimasta ad aspettarle in aula .. per più di un’ora sono stata lì da sola. Io non sarei riuscita a rimanere da sola per così tanto tempo una di loro, senza dirle nulla. E quando sono rientrate nemmeno mi guardavano in faccia: mi sono sentita come sempre invisibile. È colpa mia? Mi chiedo cosa faccio di male, eppure sto fin troppo attenta a come tratto gli altri, forse è questo che sbaglio. Poi il fatto che penso se loro pensino che “sto in silenzio” ecc mi fa venire dubbi su me stessa, forti da farmi pensare che non riuscirò a fare amicizia, a non riuscire a fare il mio lavoro, a non riuscire a trasferirmi e a non riuscire a fare le cose da sola. Inoltre, mi affido moltissimo al giudizio altrui e da piccola mi rendo conto che ho avuto delle relazioni simbiotiche, cosa che ha portato a rovinare le amicizie. Me ne sono resa conto e cerco di non svilupparle di più ma sto prendendo purtroppo anche consapevolezza di quanto mi affido al giudizio degli altri e “vado” in base al loro. Il fatto di non riuscire a parlare con gli altri mi fa soffrire molto e non riesco a capire come fare. Non so se questo mio bisogno di approvazione degli altri sia un eccessiva sensibilità o qualche dipendenza dagli altri (affettiva?) o dal loro giudizio. Infine ho riflettuto che mi sono chiusa in questa mia “bolla” quando dopo essere stata presa in giro da piccola (elementari/medie), poi alle superiori sono diventata come un “camaleonte” adattandomi agli altri per non essere giudicata. Io cerco di riflettere molto ma spero che avendo fornito vari “pezzi” possiate darmi un’opinione generale.. grazie mille.

Cara Martina,

ti ringrazio per aver condiviso una parte così delicata e profonda di te. Le tue parole arrivano chiare, lucide, sincere… e raccontano bene quanto sia faticoso sentirsi continuamente “fuori posto”, come se dovessi sempre meritarti uno spazio per esistere, per parlare, per esserci.

Eppure, proprio dal modo in cui ti racconti, io vedo una sensibilità viva, uno sguardo attento, una grande capacità di riflessione – qualità preziose, anche se a volte ti sembrano il motivo della tua sofferenza.

Quella “bolla” che descrivi… non è solo una prigione. È stata, per un certo tempo, una forma di protezione. Dopo esperienze dolorose (come le prese in giro da bambina), può accadere di sviluppare strategie per “sopravvivere”: stare in silenzio, adattarsi, trattenere ciò che si pensa per paura di sbagliare. Ma il problema nasce quando queste strategie restano attive anche nei contesti in cui oggi vorresti costruire fiducia e appartenenza.

Il bisogno di approvazione non è qualcosa da “spegnere”. È un bisogno umano. Ma se diventa l’unica bussola con cui ti orienti, allora sì, rischia di trasformarsi in una gabbia.

E no, non è “colpa” tua. Non sei sbagliata. Il tuo silenzio non è un errore. Forse è una lingua che non hai ancora imparato a tradurre.

Ci sono ferite che hanno bisogno di essere guardate da vicino, con uno sguardo che non giudica ma accompagna. Un lavoro psicologico potrebbe aiutarti a costruire uno spazio sicuro in cui rielaborare queste esperienze e riprendere contatto con la tua voce, i tuoi confini, il tuo valore.

Non si tratta di diventare “espansiva” o di “cambiare personalità”, ma di trovare il tuo modo di stare con gli altri, senza dover scomparire o trasformarti per piacere.

con cordialità, Ottavio