Come comportarmi, in qualità di genitore

Salve, mio figlio di 10 anni, mi ha ripetuto per la seconda volta, che preferisce morire, anzichè vivere una vita di merda. A questo punto potrà capire, come si possa sentire un padre, ad un affermazione del genere, dopo tutti i sacrifici che faccio, per cercare di farlo stare bene, e farlo vivere nel migliore dei modi. Premetto che con lui, ci sto tutte le volte che il lavoro ed i vari impegni, mi lasciano il tempo di farlo, non frequento più amici, se non quelli i cui figli, in un modo o nell'altro, siano in contatto con mio figlio, tipo: la scuola calcio, la scuola e tutte le varie attività in cui i ragazzi sono coinvolti insieme ai loro genitori. Non esco più, se non con la mia famiglia, non frequento bar, sale giochi, palestre o qualunque cosa, che non si faccia insieme, ho rinunciato anche a qualche cena tra colleghi, pur di stare con la mia famiglia, anche perchè sia io, che la mamma, lavoriamo entrambi, e quel poco di tempo libero lo passiamo insieme. Quasi tutti i sabato, si esce, ma solo per loro, portandoli ai parchi giochi, al mc donald's e passeggiate varie, quando è maltempo, si va nei centri commerciali, ma quasi esclusivamente, nell'area bambini, tenendo presente che ho anche una bambina di 3 anni. A queston punto, vorrei sapere, cosa potrebbe fare, un padre nelle mie condizioni, a far star bene suo figlio, e se possibile far passare quel malessere che serpeggia in lui. Grazie...un padre in pena

Caro Ernesto,

le parole che hai scritto fanno trasparire una fatica che va dritta al cuore. Si sente quanto amore ci sia nel tuo ruolo di padre, quanto impegno, quanto desiderio di fare la cosa giusta. E proprio per questo, ricevere da tuo figlio una frase così dura, così carica di sofferenza, dev’essere stato un colpo difficile da sostenere.

È comprensibile che tu ti senta ferito, disorientato, e anche arrabbiato in qualche modo. Perché quando ci si dedica con tutto sé stessi, quando si rinuncia a spazi, amicizie, libertà per essere presenti, sentire che quel figlio sta male, che soffre, lascia un senso profondo di impotenza. Come se tutto quel che si è fatto non bastasse.

Ma forse proprio in questo “non bastare” si apre uno spazio diverso. Non perché tu non abbia fatto abbastanza. Al contrario: tu ci sei, sei lì, presente, attento, persino capace di raccontare il tuo smarrimento. E questo, anche se ora può sembrarti poco, è già un gesto di cura immenso.

Le parole di tuo figlio fanno paura, sì. Ma forse sono anche una porta. Forse, in quel modo spigoloso e difficile che a volte i bambini trovano per comunicare, ti sta dicendo che qualcosa dentro di lui cerca spazio, voce, comprensione. Non contro di te. Non per accusarti. Ma perché in lui si muove qualcosa che ha bisogno di un contenitore caldo, umano, non giudicante.

E tu, a modo tuo, glielo stai offrendo. Anche se ora ti sembra di brancolare nel buio. Anche se vorresti che il tuo amore fosse sufficiente a proteggerlo da ogni dolore.

Non ho risposte facili. Ma so che quando un genitore scrive come hai fatto tu, si è già aperta una possibilità di incontro. Forse la più importante: quella in cui un padre non si pone come salvatore, ma come presenza vera, capace di restare accanto anche quando non sa cosa dire.

Se ti va, resta. Continua a scrivere. Qui non serve avere già una direzione chiara. A volte basta esserci, così come si è, nel cuore della tempesta.

Con rispetto e vicinanza,

Ottavio