Violenza domestica: Perchè molte donne decidono di restare?

Quando lavoravo nei centri antiviolenza gestiti dall'Associazione Differenza Donna a Roma, noi operatrici usavamo spesso una metafora.

L'effetto della violenza psicologica è come l'acqua sulla roccia.

Una goccia passa e va via senza lasciare traccia.

Ma tante piccole gocce di acqua che cadono continuamente ed incessantemente alla fine corrodono la roccia.

Perchè una donna che subisce violenza dal compagno / marito resta? Spesso questa è una delle domande che più si sentono dire quando si commentano le violenze domestiche "Perchè non se n'è andata? E' lei che è voluta restare". Ma la violenza fisica è solo la parte più evidente di un processo che lavora ai fianchi della vita e del senso d'identità della donna che subisce violenza.

La relazione violenta è violenta a partire dal modo stesso con cui è concepita la coppia: la donna è proprietà dell'uomo e questo può essere visibile da diversi comportamenti.

L'obiettivo delle strategie violente è quello di portare la donna a credere che le reazioni violente dell'uomo dipendano sempre da qualsiasi tipo di azione sbagliata o omessa della donna. Attraverso l'isolamento e la segregazione, la donna con il tempo perde i contatti con i familiari e con la rete amicale perché il compagno si trova male con loro o semplicemente perché le chiede sempre più spesso di non lasciarlo da solo e di passare più tempo con lui.

La svalorizzazione è un'altra componente fondamentale perché la donna perde totalmente la stima di se stessa, ritiene che tutto ciò che ha e che le succede ha senso solo se è con il compagno, senza il quale lei non sarebbe capace di fare nulla.

Il senso di colpa e la denigrazione iniziano ad essere le uniche compagne per la donna.

INTIMIDAZIONE
ISOLAMENTO
SVALORIZZAZIONE
SEGREGAZIONE

E' solo dopo tutto questo terremoto interiore che iniziano le violenze fisiche e sessuali. Dopo le violenze il compagno metterà in atto quelle che vengono definite "false riappacificazioni".

L'uomo chiede perdono giustificandosi che non lo farà più e promettendo che si farà aiutare, ponendo però sempre in agguato frasi che agiscono in modo subdolo come per esempio " stavolta me le hai tirate dalle mani" oppure "non lo farò mai più ma se tu non avessi detto quella frase non sarebbe successo niente di tutto questo".

Le donne vittime di violenza in famiglia quindi credono che il proprio compagno cambierà in virtù dell'amore che li lega e lo perdonano. Da questo momento in poi metteranno in atto irrealistiche strategie di controllo per evitare qualsiasi tipo di litigio e reazione violenta da parte del compagno.

Come si è detto questo non è possibile perché le reazioni violente diventano sempre più imprevedibili, per motivi futili e con episodi di violenza sempre più feroci.

Come documentato da diverse studiose femministe tra cui Herman (2005), le conseguenze psicologiche della violenza sulle donne sono evidenti a tal punto che la Herman ha proposto una nuova diagnosi, il "Complex Post Traumatic Stress Disorder" definito dalla stessa autrice "un tentativo di linguaggio che sia ad un tempo fedele alla tradizione di accurate osservazioni psicologiche ma anche alle richieste morali di chi è stato traumatizzato" (Herman 2005, pag.162).

Già la Walker (1984) volle riprendere il concetto di Learned Helplessness elaborato da Seligman nel 1975 per spiegare come una donna vittima di violenza in famiglia senta inesorabile e indiscutibile il suo destino all'interno della relazione violenta, senza alcuna possibilità di cambiamento. E soprattutto senza alcuna possibilità di poter fare qualcosa per cambiare.

L'isolamento, come già detto, pone la donna nella condizione per cui l'unico punto di riferimento possibile è il proprio compagno. Da lui dipendono le valutazioni rispetto a se stessa, rispetto al proprio ruolo di donna, più o meno desiderabile, di madre più o meno idonea, di moglie più o meno capace.

Inevitabilmente le valutazioni e i giudizi espressi dall'uomo violento diventano indispensabili, anche quando negativi.

La donna non ha più alcun tipo di giudizio su di sé e sulla propria vita, la simbolizzazione della vita intera dipende dal compagno.

La totale disistima di sé, i sensi di colpa per tutto ciò che crede di aver sbagliato, la paura dell'imprevedibilità delle reazioni violente, la vergogna per aver fallito nella sua vita sono sentimenti che a poco a poco diventano stabili nella vita della donna. Le donne vittime di violenza hanno totalmente perso la propria identità, annegate nella solitudine e nell'impotenza.

Il trauma da loro vissuto, spesso per decenni, le ha costrette a creare una totale discrepanza tra la propria esperienza e l'immagine che hanno dovuto plasmare di loro stesse per sopravvivere. Le minacce psicologiche del rapporto violento portano le donne vittime di violenza in famiglia a negare moltissimi aspetti di sé.

L'unica possibilità che le donne hanno per sopravvivere in questa situazione è indubbiamente l'incongruenza e quindi la negazione e la distorsione della propria esperienza e delle proprie emozioni.

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

Herman, J. (1992), "Trauma and recovery The aftermath of violence from domestic abuse to political terror".

Walker, L. (1984), "The battered woman syndrome",

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