Dott.ssa Roberta Vespignani

Dott.ssa Roberta Vespignani

Psicologa, Psicoterapeuta

Avere un gatto è come avere un figlio adolescente

E' da più o meno un mese che ho una gatta, una gatta tutta nera, è affettuosa e vivace, dorme sul letto nostro, la mattina mi fa le fusa e mi chiama, e non so se sia in incinta. Comunque c'è stato un momento, alcuni giorni in cui non mangiava, non faceva i bisogni, non giocava e passava tutto il tempo a dormire mi sembrava troppo buona, ho pensato che si fosse depressa per via che la stavo tenendo chiusa in casa. Infatti si deve abituare al nuovo ambiente ed già una volta mi era scappata e poi tornata. Allora prima l'ho fatta uscire nel cortile interno che ho davanti e, con miei grossi patemi d'animo abbiamo giocato un pò, poi siamo rientrate dentro. Siccome era in questa situazione che era già scappata, ho pensato di comprarle un guinzaglio estraibile lungo al massimo 5 metri, solo per metterglielo quando stava nel cortile di fronte, affinché non si allontanasse e non andasse sotto le macchine. Quando l'ho fatto, e poi con questo l'ho legata ad un paletto ero la donna più felice del mondo perché, guardando dalla porta di casa aperta, la vedevo scorrazzare mentre ero in cucina a fare le faccende di casa.

Mi soffermerei un attimo qui, io ero felice perché la scena che si era creata era un idilliaco quadretto familiare, ma non solo, era una situazione che in psicologia si chiama la base sicura, cioè il legame che precedentemente si è creato con tanto contatto fisico e con l'aiuto nella soddisfazione dei bisogni primari quando la gatta (o leggere il bambino) non usciva, ora si esplica e si trasforma in un nuovo legame, dove la parte oggetto di cure, può allontanarsi per esplorare il mondo dal care giver, senza mettere in dubbio appunto il legame, anzi forte del legame precedente e delle cure ricevute Il caregiver, dal canto suo, deve saper gestire i suoi sentimenti (non come me con un guinzaglio) di ansia e di paura, per coltivare la fiducia che il bambino o l'animale tornino per continuare a ricevere le cure amorevoli che il care giver desidera dare. Il segreto e la sofferenza è tutta in quel lungo attimo di sospensione, in quell'attesa. La base sicura si comincia a sperimentare con i bambini a circa tre anni in una situazione in cui da una parte si pensa: cioè si è in giardino è piccolo e sta giocando, dove può andare,e dall'altra si trema nell'eventualità possa accadergli qualcosa. Ma in genere a quell'età (dai tre anni in poi) i bambini ( e non i gatti ahimè ) tendono a tornare dopo pochi minuti, anzi potrebbero tornare anche spesso a salutare la mamma e il papa e poi tornare a giocare ed esplorare. Il problema, come molti ben sanno è quando si supera i teen, quando si ha un figlio adolescente.

Da una parte si è sicuri che la strada di casa la conosca e che prima o poi, più poi tornerà, ma sorgono altri problemi e altre ansie. E devo dire che ho capito da questo episodio gattesco cosa significa stare ad aspettare. Infatti, non è per ingenuità che ho fatto uscire la gatta, ma perché percepivo che il suo bene in quei giorni non coincideva più con il bene che io potevo darle. Lei aveva bisogno di nuovi stimoli, stimoli che io non ero più in grado di darle. Lei mi voleva bene, ma doveva andare, e io dovevo lasciarla andare, per continuare a volerle bene. In questo lasciarla andare ci sono stati tanti colpi di scena e pericoli. Ma mai mi sono pentita, infondo. Ad un certo punto si era ficcata dentro il motore di una macchina parcheggiata e non riusciva ad uscire più, ho fatto vari tentativi ma poi ho deciso di tagliare il guinzaglio, perché trovasse lei il modo di liberarsi. La gatta Nerina, forse perché pensava di essere ancora legata, forse perché era spaventata ( miagolava ogni tanto) non provava più a liberarsi. Io stavo sempre più male temendo che morisse di fame e di freddo lì dentro. Gli avevo messo da mangiare e andavo a chiamarla ogni 5 -10 minuti. Ad un certo punto ho trovato la ciotola vuota e il guinzaglio che non sbucava più da quella macchina, avevo capito che se ne era andata da casa mia, ma ero strafelice che fosse viva.

Questo sentimento e' durato circa mezz'ora e poi, vedendo che non tornava, ha prevalso la voglia-possessiva di averla con me, e in secondo luogo la preoccupazione che le accadesse qualcosa. Ma non è una cucciola lo so, è una gatta adulta, cresciuta in campagna, se la sa cavare ed è determinata. In questi momenti, quindi, tutto quello che potevo fare attivamente, (cercarla, andare con la torcia di notte ect) per le lunghe 10 ore che ho passato senza di lei non è valso a nulla a farla tornare. Anzi qualcosa che io ho fatto che è stata efficace c'è stata, cioè lasciarle casa pronta e continuare a chiamarla con fermezza, dolcezza e senza disperazione a lungo. In realtà le prime ore che la cercavo la mia voce non era affatto serena. Ma cosi non la inducevo a tornare, forse la spaventavo di più. Nella notte mi sono messa nei suoi panni, la chiamavo pensando a lei, e pensavo che lei da sola al freddo di notte avrebbe voluto sentire una voce serena dolce e costante. Solo Dio sa quanto stavo mentendo facendo quella vocina ma solo dopo ciò, quando non ci speravo più mentre dormivo nel cuore della notte me la sono trovata nel letto è tornata di sua volontà , non perché io fossi riuscita a afferrarla mentre mangiava un boccone-esca. E' tornata perché sentiva dalla mia voce che a casa mia c'era spazio per lei.

Questa è la forza dell'aspettare con fiducia le persone che amiamo. Di conseguenza, per quanto possiamo non capire le scelte del nostro gatto, marito, figlio in eta scolastica, figlio adolescente che esce la sera e fa tardi, bisogna ricordare che prima di questa loro scelta individuale hanno imparato a vivere anche da noi, dal rapporto con noi, dalle nostre cure, ed è sotto l'ombrello delle nostre cure che, mentre noi siamo col cuore in gola, escono per affrontare il mondo, quindi anche in nostra assenza sono al sicuro Sta o noi continuare a mostrare loro quella fiducia mentre non sono più a portata di abbraccio, e mentre ci mancano il fiato, le gambe ect dandogli appunto la certezza che in caso di difficoltà noi siamo là a farli poggiare nella nostra base sicura, tra le nostre braccia

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