Dott.ssa Silvia Pelagatti

Dott.ssa Silvia Pelagatti

psicologo, psicoterapeuta, sessuologa, emdr

E' legittimo secondo voi avere paura per il proprio futuro?

Buonasera, sono una donna di 35 anni e mi rivolgo a voi perché ho paura per il mio futuro. La mia non è una paura infondata, ma deriva dall'osservazione di quello che sta diventando il mondo: il liberismo più sfrenato, che si concretizza in licenziamenti facili, demansionamenti a go go, il tentativo di relegare la donna a casa s fare la mamma (...), la sanità a pagamento e l'istruzione elitaria hanno, secondo me, l'effetto evidente di schiacciare l'individuo, specie se questi (come nel mio caso) ha una personalità fragile e non proviene da un contesto abbiente. Dopo il liceo, concluso col massimo dei voti, avrei voluto studiare filosofia. Ero brava, la migliore del mio istituto. Ma l'organizzazione violenta e patriarcale della mia famiglia (padre prevaricante, mamma zerbino; io, nonna e sorella trattate come cani) me lo hanno inedito. E ho dovuto cominciare a lavorare; dalle basi, dai lavori più umili. Sentendomi ogni giorno sempre più derisa e mortificata. E da quel momento in poi, tutto è cambiato. Ho conosciuto la depressione, gli psicofarmaci; ho cominciato ad assumere qualsiasi sostanza stupefacente si presentasse al mio sguardo. Infine, tanto per non farmi mancare nulla, ho conosciuto anche la bulimia (sorta per la prima volta, però, durante l'adolescenza), la rabbia e la cattiveria verso il mio indegno corpo (simbolo di un'esistenza fallimentare) e l'autolesionismo. Dal 2007, una nuova esperienza lavorativa “lontana dalle mie corde“: senza una laurea non potevo ambire ad altro ed ero troppo concentrata sul mio piangermi addosso per potere agire; e questa volta, la cosa peggiore è stata che, dopo essere stata pubblicamente derisa e umiliata per avere palesato le mie ambizioni, sono stata sbattuta fuori a calci (in questi termini ne parlano mamma, suocera e alcuni altri). A 35 anni e senza speranze per il futuro. Nel frattempo, qualche anno fa ho ripreso gli studi universitari, con eccellenti risultati, ma con la consapevolezza che non mi serviranno a niente. Soprattutto in questa società, dove l'uomo si comporta da lupo con gli altri uomini. In questo momento, vivo particolarmente male: sono vittima dei querulomani, di un caso di malasanità (privata); ho perso parte dei miei risparmi per un investimento sbagliato. E la persona con la quale vivo non ce la fa più a sopportarmi (come potrebbe?) e vive nel terrore che tornino i momenti più neri, quelli della depressione. E quindi prevarica e aggredisce. Dal canto mio, mi sembra quasi di vivere in un racconto di Maupassant, dove non esistono sprazzi, anche minuscoli, di pace e serenità. Seguo un percorso di psicoterapia settimanale e un gruppo cognitivo comportamentale, nella speranza di trovare un po' di quiete. O di rassegnarmi a una vita da povera, precaria, vecchia e fallita. Senza scampo. Perché adesso ho anche paura di cercarmi un lavoro; e non solo per il Jobs Act, quanto perché mi si prospetta un periodo di delusioni (cito la consulente del servizio di outplacement che mi segue), specie perché a 35 anni (eresia!) vorrei lavorare nel mio ambito di studi, dove ho qualche sporadica esperienza, piuttosto che nell'ambito tecnico che mi sono ritrovata a dover ricoprire per anni. Penso spesso sl suicidio, ogni giorno. Conservo gli antidepressivi e penso a loro, come se fossero “l'ultima pallottola“. La via d'uscita. E spero che, un giorno o l'altro, deciderò di mettere fine a questa pena. E dopo questo sfogo prolisso e noioso (...), arrivo alla domanda. In una posizione come la mia è legittimo, secondo voi, avere paura per il proprio futuro? In caso affermativo, in quale misura? Perché le idee suicide sono clinicamente associate a un disturbo depressivo e non a una libera scelta, a fronte di un'esistenza non voluta? Perché ci si affanna così tanto a cercare una risposta che non esiste, perché ci si deve illudere e autoconvincere, sedandosi con gli psicofarmsci, ma anche con il problem setting e con terapie, che illudono di poter essere artefici del proprio destino, capaci di crearsi una vita soddisfacente, nonostante la società, invece, schiacci l'individuo sempre di più? Grazie a chiunque risponderà.

Cara Ludovica, il tuo racconto mi colpisce molto perchè è davvero molto attuale...ognuno di noi, negli ultimi tempi, è chiamato a confrontarsi con la società di oggi, con le difficoltà, le delusioni e la fatica. Ti rispondo con le parole di Alexander Lowen, psicoterapeuta americano:

"Poche persone provano oggi la gioia di vivere. Per la maggior parte delle persone la vita, spesso, si riduce ad una sofferenza, ad uno sforzo continuo per la sopravvivenza. Una lotta quotidiana che per il raggiungimento di un pizzico di gioia prevede tanto dolore. E così ci reprimiamo, non viviamo, non dormiamo bene, e alla fine ci ammaliamo fisicamente. Tutto ciò non è equilibrato per la nostra natura di base. Questo squilibrio, questo guasto, è causato da un conflitto fra due funzioni primarie dell’organismo, le funzioni dell’io, della mente, e le funzioni del corpo.

Queste ultime risultano estremamente semplici: il corpo vuole star bene, vuole essere libero, vuole fare ciò che ha voglia di fare. La mente, invece, si oppone: non tutto è permesso, è troppo pericoloso: ti farai male.  Non si lavora per provare più piacere: si lavora per avere più potere. Per diventare più ricchi, avere più auto, sempre più importanti. Come se questo avere, queste cose, questi oggetti, potessero proteggerci dalla paura dei sentimenti che abbiamo dentro di noi.

La vita è piena di contraddizioni, riconoscerle e accettarle è una prova di saggezza. Dire che l'accettazione del proprio destino ne determina un cambiamento può sembrare una contraddizione, ma non lo è. Quando si smette di lottare contro il destino, ci si libera dalla nevrosi e si accede alla felicità. Il risultato è un atteggiamento diverso (non più paura della vita) e la persona avrà il coraggio di vivere e di morire e riuscirà a  realizzarsi."

Spero che queste parole possano almeno darti un briciolo di speranza che sì, è normale avere un pò di paura del proprio futuro...ma la paura è un'emozione che ci indica che dobbiamo scappare, salvarci (pensa di fronte ad un leone...), che dobbiamo modificare la nostra situazione attuale...e l'altra risposta è ancora sì, si può accedere ad una felicità, anche nei momenti difficili. Il fattore determinante sei tu....non si tratta di illusioni, ma di volontà di nuotare, anche se il mare è in tempesta. Ti consiglio di leggerti "Paura di vivere" di Lowen, credo che tu possa trovare lì molti spunti interessanti. In bocca al lupo!