Dott.ssa Simona Adelaide Martini

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Psicologo, Psicoterapeuta

Io Sociale → Confondere l'Io sociale con il falso Io

Molte persone tendono a confondere l’Io sociale con il falso Io, temendo di risultare inautentici nel momento in cui si mettono in gioco nelle relazioni sociali o accusando l’altro “di aver mentito su di sé” nei momenti in cui la relazione si stava instaurando.

Laing introdusse il termine Io falso per indicare la nascita e la crescita di un Io inautentico perché costruito sulle aspettative di un’altra persona, in genere la madre, per cui, accanto a un Io autentico , vero e reale, cresce un falso Io che riflette ciò che gli altri vogliono e si aspettano. Questo falso Io, docile e conciliante, obbliga l’individuo a “vivere come risposta ad altri”.
Possiamo invece definire l’Io sociale, come una parte della nostra psiche che lavora al fine di un adattamento alla realtà, in grado di mediare tra le istanze pulsionali che porterebbero a compiere azioni e a verbalizzare pensieri poco funzionali alla relazione con l’esterno e le richieste che provengono da fuori.

Il bambino impara presto a controllare le pulsioni e a mettere in gioco una sorta di parte socio-relazionale che gli permette di ottenere qualcosa dall’adulto. Se questo meccanismo avviene in equilibrio con l’Io più autentico, senza stravolgere le proprie caratteristiche più profonde, non può che risultarne un comportamento sano e funzionale.
Comprendere il punto di vista dell’altro, le caratteristiche dell’ambiente circostante, possedere la cosiddetta “intelligenza personale” (Gardner), permette all’individuo di non rimanere autisticamente chiuso in un bozzolo in cui non si ha percezione né di se stessi né dell’altro.
Si potrebbe addirittura affermare che l’Io, nel momento in cui si differenzia dalla parte istintuale e per svilupparsi fa ricorso oltre che a caratteristiche biologiche ereditarie anche alla realtà esterna, si autodefinisce automaticamente “sociale”.

Se solo nel vuoto, davvero, potessimo assumere il nostro reale colore rischieremmo, come accennato in precedenza, o di precluderci tutte le possibili forme di relazione e socializzazione, o di essere condannati ad una perenne inautenticità.

La ricerca dell’equilibrio tra il tentativo di non soffocare la nostra parte più vera e profonda e l’avvicinarsi all’altro, in una sorta di compromesso tra istinto e realtà, comporta sicuramente un lavoro lungo e complesso. Potremmo narcisisticamente nasconderci dietro una bella maschera che ci illuda di essere sempre e comunque come gli altri ci desiderano e di funzionare al meglio in ogni situazione. Oppure potremmo opporci con violenza a tutto ciò che ci circonda, regole, rapporti, contatti illudendoci questa volta di essere davvero noi stessi.

Oppure potremmo fermarci, riflettere su chi siamo noi, su chi è l’altro, su cosa occorre perché avvenga un contatto, pensare a cosa è possibile rinunciare per avere in cambio qualcosa, in un continuo scambio che porti ad un arricchimento reciproco e che non cementifichi le idee, i desideri, le speranze e tutto ciò che rende l’individuo dinamico e vivo.

Bibliografia

Galimberti U. Enciclopedia di Psicologia, Garzanti, Torino, 2004

Gardner H. Formae mentis, Feltrinelli, Milano, 1987

Laing R.D. L’Io diviso, Einaudi, Torino, 1969.

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