Dott. Stefano Pischiutta

Dott. Stefano Pischiutta

Psicologo, Psicoterapeuta

Precariato → La precarieta

La precarietà nel mondo di oggi

La precarietà è un tema molto sentito nel mondo di oggi, a livello globale, planetario ma, mentre per le nazioni meno sviluppate questo è sempre stato un tema all'ordine del giorno, solo ultimamente lo si avverte in modo sempre più pressante nei paesi ricchi, quelli più industrializzati e avanzati, di cui l'Italia è un rappresentante. Paradossalmente, proprio ora che abbiamo raggiunto standard elevati di benessere e di salute, si comincia ad avvertire di più questo tema. La precarietà è avvertita rispetto al lavoro, all'abitazione e talvolta anche rispetto agli affetti. Viene da chiedersi se sia essa stessa un prodotto del benessere, se ne sia una conseguenza necessaria oppure se derivi dal ripiegarsi dell'uomo su sé stesso e dal non saper cogliere i segnali del cambiamento. Di fatto la precarietà, che venga percepita o no, è reale. Molte persone non riescono a vivere decorosamente in un Paese avanzato come il nostro, il che equivale a dire che vivono una condizione di disadattamento; molti giovani non hanno la possibilità concreta di progettare il proprio futuro e restano sospesi in un limbo che limita fortemente le loro capacità generative. Inoltre, aumenta il divario fra ricchi e poveri.

Effetti primari e secondari

Tra le conseguenze di uno stato di precarietà protratto nel tempo vi sono effetti che potremmo definire “primari”, in quanto sono quelli più immediati, dettati dalla reazione emotiva negativa di rifiuto della condizione stessa, e quelli “secondari”, che maturano nel tempo e sono basati sulla reazione emotiva di sfiducia o fiducia nel cambiamento. Tra gli effetti primari, possiamo citare: impotenza, paura, rabbia, disorganizzazione, apatia, disperazione, comportamenti aggressivi e criminali, depressione, disturbi psicologici. Tra gli effetti secondari nella direzione della fiducia, possiamo includere: rafforzamento di legami affettivi, riscoperta di valori legati alla solidarietà sociale e verso il vicino, logica del “mal comune mezzo gaudio”, riavvicinamento alla religione e tendenza a coltivare i valori più alti della vita. Tra gli effetti secondari intrisi di sfiducia, vi sono: perdita di fiducia in sé stessi e negli altri, in particolar modo nei confronti delle istituzioni, rafforzamento dell'indifferenza verso le necessità altrui, avidità, attaccamento ai propri possessi, idee e convinzioni, comportamenti che giustificano iperlegalismo, diffidenza verso il diverso, tendenza ad avere un giudizio superficiale.

Aspetti psicologici connessi

La precarietà mette di fronte al senso di impotenza, alla paura di perdere la sicurezza. La paura porta a regredire, a tornare a sensazioni ed emozioni già sperimentate, forse nella prima infanzia, quando si era totalmente dipendenti dall'ambiente, quello familiare. Nell'adulto, la precarietà genera dipendenza dall'ambiente, è come se non si percepisse più la capacità di incidere su di esso, o fossero vani gli sforzi di riuscirvi, proprio come il bambino, prima sicuro perché sentiva l'appoggio affettivo della famiglia, quando lo perde per un qualsiasi motivo, si sente disorientato, smarrito, perde la sicurezza di base che è anche quella che lo fa sentire vivo, curioso e interessato alla vita, desideroso di scoprirla e di crescere. Nel bambino, se la situazione di precarietà affettiva persiste troppo a lungo, ciò ha effetti devastanti sulla successiva crescita emotiva e affettiva, ma anche cognitiva. Studi neuropsicologici attestano che bambini deprivati affettivamente possono sviluppare ritardo mentale e motorio, nonché nell'acquisizione del linguaggio e nella capacità di leggere le proprie e le altrui emozioni. Tutti, in misura minore o maggiore, hanno sperimentato il senso di precarietà nell'infanzia. Anche coloro che hanno attraversato un'infanzia felice, infatti, hanno sperimentato, direttamente o indirettamente, il pericolo della perdita, e ciò ha portato alla loro coscienza sicuramente l'emozione della paura e, in molti casi, la rabbia. Gli studi psicoanalitici si spingono oltre affermando che ogni essere umano, nella primissima infanzia, ha sperimentato il dolore come reazione alla perdita della fusione con la madre. Quindi, di fatto, ognuno di noi conoscerebbe l'aspetto della precarietà della vita fin dalla culla. E dunque, la precarietà riporta alle emozioni primarie, quelle provate nella prima infanzia.
Nell'individuo adulto, però, la struttura emotiva è più complessa rispetto a quella del bambino; durante la crescita successiva, infatti, sono state messe a punto delle strategie per difendersi dalle emozioni negative, per controllarle e direzionarle, compensandole con emozioni positive e imparando a rassicurarsi. Dunque, la reazione alla precarietà nell'adulto potrà non essere così devastante, ma ciò dipende da molti fattori o condizioni, non facilmente prevedibili e descrivibili. Una lettura degli effetti psicologici della precarietà nell'individuo è facilitata se facciamo riferimento alla teoria dei bisogni di Maslow, uno dei massimi esponenti della cosiddetta psicologia umanistica, iniziatore e ispiratore della psicologia transpersonale. La struttura della personalità, secondo Maslow, si costruisce in base a una gerarchia di bisogni e motivazioni, alla cui base vi sono i bisogni fisiologici e di sicurezza, poi quelli di amore, affetto e appartenenza, poi quelli di stima e infine quello di autorealizzazione. I bisogni emergono con la crescita in modo progressivo. In base a tale visione delle motivazioni, la precarietà incide sulla persona nella misura in cui minaccia il bisogno che per quella persona è più rilevante in quel momento. Pertanto, non necessariamente la precarietà economica, che mina la soddisfazione dei bisogni di base, diventa una minaccia in una persona che è orientata verso l'autorealizzazione. Per questa infatti, potrebbe essere più precario vivere in un contesto personale e sociale che impedisce la soddisfazione dei suo bisogno.

Precarietà e creatività

In alcune persone, soprattutto quelle spinte dall'urgenza di soddisfare il bisogno di autorealizzazione, la precarietà potrebbe addirittura stimolare la creatività; come afferma il detto popolare, “la necessità aguzza l'ingegno”. Se volessimo ricercare un significato della precarietà a livello planetario, potremmo forse vederci il bisogno di risvegliare nelle persone la necessità di crescere e svilupparsi nella direzione dell'essere anziché dell'avere, quindi il fatto di cambiare abitudini, modi di pensare, lavorare, relazionarsi agli altri e all'ambiente non sono solo necessari perché non c'è o non ci sarà più petrolio, o perché la Cina e l'India hanno cominciato a mangiare, e che l'obiettivo dell'uomo è di perpetuare questo modello di sviluppo all'infinito, mantenere gli standard attuali di consumo, ma anzi, è proprio il contrario, l'uomo deve consumare di meno perché non ha senso consumare tanto, più del necessario, e si deve dedicare allo sviluppo dell'essere, non dell'avere, e promuovere un modello di vita dove il lavoro serva all'uomo, perché a lui è finalizzato, un uomo però che sia in grado di utilizzare il suo tempo in modo costruttivo e creativo verso sé e verso gli altri, un uomo proiettato verso l'interesse e il bene universale, anziché quello particolare, personale, della sua famiglia, della sua categoria o comunità ristretta.

commenta questa pubblicazione

Sii il primo a commentare questo articolo...

Clicca qui per inserire un commento