Non trovo pace

Buonasera. Sono una ragazza di 30 anni che si è appena licenziata nonostante la crisi che stiamo vivendo (mi sento abbastanza in colpa). Sono seguita da una psichiatra ma mi sembra che non mi aiuti, vi descrivo cosa mi è successo: il lavoro nell'ultimo anno è stato duro, facevo turni che mi costringevano ad alzarmi prima delle 5.00. A febbraio sono stata a casa due settimane per burn-out, e ad aprile l'evento si è ripetuto. Forse molto irrazionalmente ho deciso di licenziarmi nonostante con i colleghi mi trovassi benissimo (vedevo solo loro oltre alla mia famiglia). La mia psichiatra non mi specifica che cosa io abbia, se sono depressa, bipolare o cosa.. lei dice che mi autosuggestiono molto.. però allo stesso tempo sto prendendo un antidepressivo. Sono da sola, non riesco più ad uscire in gruppo e socializzare. In questi giorni, dopo il licenziamento, mi divido tra cellulare e sigarette. I miei genitori non più giovanissimi non ce la fanno più, davanti a loro mi faccio vedere normale anche se dentro ho un vuoto alla pancia e una disperazione che mi fa malissimo. Mia madre è depressa da sempre, mi ricordo che da piccola la vedevo piangere mentre stirava o lavava i piatti, negli ultimi anni sembra stare meglio. Adesso che dovrei essere io a sorreggerli non ce la faccio, parecchie volte mi passa per la testa l'idea di morire, sento tanta sofferenza in me. Non so più come chiedere aiuto, la mia psichiatra dice che è solo autosuggestione

Salve Anna,

dalle parole che scrive traspare la sua sofferenza, ma anche il desiderio di poter trovare una via d'uscita, un modo per risollevarsi e ritrovare la strada verso il suo personale benessere.

Le parole della sua psichiatra sono di sicuro importanti per lei, hanno un certo valore non solo per la competenza professionale che lei può avere, ma anche come figura di riferimento che in questi anni le è stata accanto. Lei a fine testo dice una cosa molto importante:"non sa più come chiedere aiuto". Mi voglio soffermare sul come, perché mi dà l'idea di un impegno suo personale nel ricercare il miglior modo per far arrivare il suo disagio a determinate persone, forse in questo caso alla psichiatra.

Le propongo di fare un cambio: sostituisca il "come" con il pronome "chi". E la esorto anche a dare più ascolto e valore ed importanza a ciò che prova lei in questo momento. Sente sofferenza, un vuoto alla pancia ed una disperazione che le fa malissimo? Ecco, è questo quello che conta, non la spiegazione che un professionista può darle (ossia che è una forma di autosuggestione). Ciò non tanto per screditare la competenza ed il senso di ciò che la sua psichiatra le dice, ma piuttosto per far pendere l'ago della bilancia in una scelta che riguarda lei personalmente sul suo punto di vista, sul suo sentire.
D'altro canto, nessuno è più competente di sé stesso sulla propria persona.

Per cui, piuttosto che sforzarsi di trovare un modo per fare capire che sta male, cerchi una persona diversa a cui chiedere aiuto.

E si fidi di ciò che lei prova.