Convivenza interrotta: come affrontare il senso di colpa e l’ambivalenza emotiva?
Buongiorno, sono una donna di 42 anni. A fine maggio ho lasciato la casa in cui convivevo da dieci anni con la mia compagna coetanea. Eravamo insieme da dodici anni (10 di convivenza). Ho interrotto tutto in una notte, per esasperazione e sfinimento emotivo. Lei ha sempre avuto un atteggiamento remissivo, accondiscendente, mai apertamente conflittuale. Anzi mi sosteneva in tutto e con molte scelte di vita di coppia costruite nel tempo. La relazione negli ultimi mesi era diventata fragile e ambigua. Lei ha iniziato a rinfacciarmi molti aspetti del nostro vissuto: mi accusava di non averla sostenuta, di non averle dato abbastanza affetto fisico, di essere emotivamente assente e di averla data per scontata. Ammetto con fatica ma onestà che ho una gestione complicata delle emozioni: trattengo troppo, agisco male in preda alla paura, reagisco con rabbia e gelosia quando mi sento insicura. Ma io l’ho sempre amata. Anche quando non sapevo più come dimostrarlo. Negli ultimi mesi, notavo il suo progressivo distacco: uscite frequenti, bugie, distrazione, scuse per non stare a casa. Ho scoperto prenotazioni in hotel dove lei diceva di andare a “riflettere”. (ho scoperto anche che aveva iniziato un percorso di analisi per la remissività e accondiscendenza) Ma per me erano gesti che comunicavano una fuga, una chiusura, un allontanamento relazionale. Io reagivo male. Spesso con dolore, con rabbia, con una tensione profonda. Lei invece si chiudeva ancora di più. Anche quando faceva piccoli gesti fisici verso di me, non riuscivo ad accoglierli perché sentivo che mi stava nascondendo altro. Alla fine, per stanchezza e disperazione, ho lasciato tutto e sono tornata dai miei, nella mia zona d’origine, dove non ho rete sociale. Mi sento sola, persa, senza una direzione. Nel mese di pausa successivo, lei ha avuto comportamenti che mi hanno profondamente ferita. È apparsa libera, leggera, distante. Ha dichiarato di non voler più una relazione sentimentale. Ha manifestato un atteggiamento quasi fiorente, come se si fosse liberata da un peso. Io sento invece di aver perso tutto: lei, la vita costruita, la casa, gli amici, il nostro mondo. Mi è sembrato che la mia sofferenza non abbia avuto alcun valore per lei. Lei non mai agito con chiarezza se non a fine giugno nel sancire la chiusura senza dialogo e dandomi tutte le colpe. Lei si è completamente chiusa, ha mostrato freddezza, non ha voluto parlare, ha evitato ogni forma di confronto. Non so se il suo comportamento è una forma di difesa, di reazione o se davvero ora è in una fase libertina. Ma sento dentro di me una lacerazione, un senso di colpa bruciante per aver “portato lei all’estremo”. Come se la mia instabilità emotiva avesse distrutto in lei il desiderio di amare. Chiedo aiuto. Come posso distinguere ciò che è stato mio da ciò che è suo? Come posso guarire senza sentirmi responsabile per la trasformazione dell’altro? Come posso accettare che lei scelga libertà, mentre io sto cercando di sopravvivere? Grazie per l’ascolto
Ciao Maria Grazia, grazie per il tuo messaggio, così denso di emozioni, coraggio e verità. Raccontare tutto questo con tale chiarezza e profondità richiede una forza che merita di essere riconosciuta. Sei in un momento di grande dolore, sì — ma anche di passaggio, di trasformazione. Provo ad aiutarti a orientarti, punto per punto, con rispetto e realismo.
Il senso di colpa che provi è comprensibile, ma non è sinonimo di verità. Sentirsi responsabile non significa esserlo in toto.
Le relazioni sono co-create. Non esiste un solo responsabile della rottura: in ogni dinamica di coppia, ci sono due soggetti che portano il proprio contributo, le proprie ferite, i propri silenzi o eccessi.
La tua parte la riconosci già: descrivi con onestà le difficoltà emotive, la gestione della rabbia, l’insicurezza. Questa consapevolezza è già una forma di guarigione in atto.
Ma anche lei ha avuto una parte attiva: la remissività può sembrare “passiva”, ma è una scelta anch’essa, che nel tempo può diventare una forma di sottrazione o evitamento. Le bugie, il distacco, la mancanza di chiarezza fino all’ultimo, non sono colpe tue. Distinguere ciò che è tuo da ciò che è suo significa questo: assumerti la responsabilità delle tue reazioni, ma non dei suoi silenzi, delle sue fughe, della sua freddezza.
Provi amore e rabbia, senso di colpa e ferita, nostalgia e disillusione. E va bene così. Non c’è una sola emozione “giusta” in questo momento.
L’ambivalenza è una risposta naturale a una separazione improvvisa e dolorosa.
Il tuo gesto di andartene, sebbene impulsivo, è nato da una lunga esasperazione, non da leggerezza o cattiveria. È stato un segnale di esaurimento, non un abbandono. Ti sei lasciata alle spalle una situazione dove non c’era più possibilità di scambio autentico, dove anche i gesti d’affetto erano diventati sospetti. È umano aver ceduto.
Spesso chi appare subito “libero” dopo una rottura, non lo è davvero. Può essere una forma di negazione del dolore, di difesa, o una fase di rimbalzo.
È possibile che la tua ex stia sperimentando una sorta di sollievo temporaneo, ma questo non cancella né la vostra storia né il suo peso emotivo.
Tu sei rimasta dentro il dolore, lei forse lo ha messo fuori da sé. Ma non possiamo sapere cosa sente davvero.
Il fatto che abbia intrapreso un percorso analitico indica che ha iniziato un lavoro interiore, forse anche “tardivo” rispetto alla vostra relazione. Il modo in cui lei vive questa fase non è un indice del tuo valore, né una misura dell’intensità della vostra relazione. È solo la sua traiettoria, diversa dalla tua. Come si guarisce senza sentirsi colpevoli della metamorfosi dell’altro? È una domanda potentissima. La verità è che non siamo responsabili della crescita o del blocco emotivo dell’altro, per quanto possiamo influenzarci a vicenda.
Lei è cambiata, sì. Ma quel cambiamento era già in corso, e forse sarebbe avvenuto comunque.
Tu non puoi salvare né trattenere chi non vuole più condividere il cammino.
La guarigione avviene quando riconosci il tuo dolore senza lasciarlo diventare colpa. È il passaggio tra il lutto e l’accettazione. Non sei responsabile per il fatto che lei oggi cerchi altro. Sei responsabile di come scegli di attraversare questa perdita.
Cosa puoi fare concretamente adesso
Scrivi tutto. Come hai fatto qui. Scrivi lettere che non invierai, dialoghi interiori, parole che avresti voluto dire. Serve a chiarirti con te stessa.
Avvicinati a un percorso di sostegno psicologico. Anche se temporaneo. Non per “curarti”, ma per aiutarti a tracciare confini tra ciò che è tuo e ciò che appartiene all’altro.
Accetta il dolore come parte del processo. Non sforzarti di “stare bene subito”. Il dolore non è un errore, è il segno che hai amato davvero.
Ricostruisci una base quotidiana minima. Anche se sei senza rete sociale ora, puoi iniziare da piccoli riti: camminare, leggere, cucinare, parlare con chi può ascoltarti senza giudizio.
Fidati del tempo. Il tempo non guarisce da solo, ma ti darà modo di guardare questa storia con più lucidità e meno pena.
Hai vissuto una storia lunga, intensa, piena di significati e difficoltà. L’hai lasciata non perché non amavi, ma perché non riuscivi più a respirare dentro quella relazione. Questo non ti rende colpevole: ti rende umana. “Amare non è trattenere chi fugge, ma lasciarsi andare quando restare fa male a entrambi.”
Dott.ssa Antonella Bellanzon
Psicologo- Mediatrice familiare - Massa-Carrara