Frustrazione di una madre
Salve, proverò a spiegare come mi sento. Sono una madre separata da 13 anni, ho 63 anni. Ho tre figli poco più che ventenni, maschi, desiderati e avuti a 40 anni. Purtroppo alla nascita degli ultimi fui licenziata da un buon lavoro. Con il padre decidemmo che restassi a casa con loro fino alle elementari, cosa che a me faceva molto piacere essendo tutti e tre molto piccolini. Inoltre la spesa per il nido sarebbe risultata davvero esosa. Tutto andò bene per qualche anno, pur con la difficoltà di gestire casa e figli praticamente da sola, perché il padre lavorava tutto il giorno. All'ingresso degli ultimi alle elementari iniziai a cercare lavoro, ma purtroppo trovai solo porte chiuse. L'età, 46 anni, e tre figli piccoli non erano un buon curriculum. Ho continuato a cercare, ma nel frattempo il rapporto con il padre si è incrinato, fino a deteriorarsi. Venivo accusata di essere troppo "rompiscatole", perché "pretendevo" attenzione e aiuto morale da lui. Siamo così arrivati alla separazione (voluta da me), anche perché lui aveva una relazione. Lui non l'ha digerita, perché voleva fare il "separato in casa". Mi ha accusato di avergli "rubato la casa", in quanto il giudice ha dato a me il collocamento nella casa familiare, di sua proprietà. La separazione è stata, ed è tuttora, conflittuale, sempre per lo stesso motivo, ma anche perché in questi anni ulteriormente trascorsi non sono riuscita a trovare lavoro. Per lui sono una "ladra e mantenuta". Ha più volte tentato di togliermi i figli per riottenere la casa, ma ha sempre perso i ricorsi. Detto ciò, il problema principale ora è questo: i ragazzi, sempre molto uniti a me e soprattutto da quando sono adolescenti sempre dalla mia parte, oggi pur continuando a disprezzare il padre per come mi tratta e perché dalla separazione quasi scomparso con loro (erano bimbi di 9-8-8anni), se non per il mantenimento, oggi mi trattano male. Come? Non mi ascoltano, nemmeno se parlo del tempo, non mi aiutano, non mi apprezzano, non mi dimostrano affetto. A volte alzano la voce scocciati. Solo se hanno davvero bisogno di me, sono tutte moine. È brutto dirlo, ma approfittano di me perché sanno che non riesco a dire loro di no e a essere arrabbiata per più di un minuto. In realtà solo i più piccoli, gemelli. Il grande mi rispetta e mi dimostra attenzione. So perfettamente che è una forma di "ribellione" alla presenza genitoriale. Ormai il loro desiderio è di vivere per conto loro e lo capisco bene. Ma con il padre non si comportano così, non reagiscono, non gli dicono ciò che pensano di lui, non mi difendono (tranne sempre il grande). Lo vedono per qualche ora 4/5 volte l'anno, lui elargisce soldi (è benestante), ma non c'è alcun tipo di rapporto affettivo o di confidenza. Con me sì, da sempre. Tuttora se stanno male è da me che vengono e si confidano. Ma poi, passato quel momento, divento invisibile. Ho come la sensazione che mi disprezzino, e penso perché in fondo a parte fare la madre non ho fatto altro. Io stessa mi sento in colpa, ma mi aspetto da loro amore. Sbaglio, lo so, ma tutto questo mi rende fragile e triste. Non so come affrontare la cosa, se ignorare o pretendere. Loro sono la mia vita e ho paura che si allontanino. Help. Grazie
Gentile Sig. Vera,
è comprensibile che oggi si senta fragile, delusa e in parte “non vista”, dopo avere investito così tanto nel ruolo di madre.
Quello che descrive riguarda almeno tre piani intrecciati:
la sua autorealizzazione personale (il lavoro perso, il sentirsi “solo madre”);
la storia di coppia e la separazione, ancora molto carica di rabbia e ingiustizia;
il rapporto con i figli, ora giovani adulti che stanno cercando la loro strada.
Quando tutto questo si somma, è davvero “troppo” per una persona sola. Per questo credo che il passo più importante non sia “ignorare o pretendere” dai ragazzi, ma prendersi uno spazio protetto per sé, con uno/a psicologo/a, dove poter finalmente mettere in parola vissuti tenuti dentro per anni: la colpa, il risentimento, il senso di fallimento, ma anche il bisogno legittimo di essere riconosciuta. Lavorare un pezzo alla volta aiuta a rimettere ordine.
Per quanto riguarda i figli, le loro reazioni possono essere anche un modo goffo di gestire ciò che hanno vissuto: la conflittualità tra i genitori, la lealtà divisa, la paura di ferire uno dei due. Con lei “osano” di più proprio perché con lei il legame è più sicuro. Questo non significa accettare qualsiasi mancanza di rispetto, ma provare a vedere dietro i comportamenti i loro bisogni – e, allo stesso tempo, cominciare a mettere confini chiari, senza pretendere che siano loro a ripagarla per tutti i sacrifici fatti.
Paradossalmente, il modo migliore per non perderli è tornare a mettere al centro anche la sua vita, oltre a quella dei figli. Un percorso psicologico potrebbe aiutarla molto in questa direzione.
Psicoterapeuta cognitivo comportamentale (in for) - Roma