Non so neanche io
Buongiorno, ho 33 anni e da quasi 4 anni ho una relazione, con tanto di convivenza con un uomo di 19 anni più grande di me. Per noi la differenza di età non è un problema, lui dal canto suo ha alle spalle un divorzio e un figlio che a oggi ha 14 anni. La situazione più difficile che dobbiamo affrontare è il fatto che il figlio vive quasi esclusivamente con la madre, venendo da noi solo nei weekend che hanno stabilito con l'atto di divorzio quindi il mio compagno e io notiamo dei segni di maleducazione e inclinazione tipici della madre che lo mettono sempre in difficoltà facendo scendere ulteriormente la sua autostima. A novembre 2024 ho smesso la pillola e avevamo parlato di provare ad allargare la famiglia (ad oggi non ci stiamo provando perché io mio compagno sostiene che nell'appartamento dove viviamo a malapena ci stiamo noi e nella mezza camera in più suo foglio quei due weekend che viene da noi). A ciò si aggiunge che io ho i miei genitori a 1 ora e mezza di macchina da noi (negli ultimi anni sento pesantemente la loro lontananza), e da febbraio 2025 ho accettato una promozione lavorativa spostandomi in un altro negozio, dove faccio orario sempre spezzato e lavoro praticamente tutto il giorno tutti i sabati e due domeniche al mese da otto ore. Sto vivendo come in un limbo questi ultimi mesi, non so neanche io cosa mi condizioni e cosa mi spinga a rimanere come in una sensazione di galleggiare. E non so neanche io perché vi scrivo. Avevo forse solo bisogno di mettere nero su bianco tutto quello che negli ultimi mesi mi toglie il sonno e mi fa vivere male il quotidiano.
Buongiorno,
intanto ti ringrazio per aver condiviso qualcosa di così personale. Anche se dici di non sapere perché hai scritto, in realtà lo hai fatto con molta chiarezza: mettere nero su bianco è spesso un modo per ritrovare un centro quando dentro sembra tutto confuso. E quello che emerge dalle tue parole è proprio questo: un momento della vita in cui tante cose si stanno muovendo, ma senza che tu senta davvero di averle in mano.
La tua è una relazione che dura da anni, con una differenza d’età che dite di vivere bene, ma che porta con sé complessità concrete: una convivenza non semplice, la presenza di un figlio adolescente che richiede equilibrio e delicatezza, e una quotidianità condizionata da spazi che sembrano troppo stretti — fisicamente ma anche simbolicamente, come se tu sentissi di non avere abbastanza spazio per te, per i tuoi desideri, per crescere davvero dentro questa vita.
In tutto questo, il lavoro ti assorbe moltissimo, togliendoti anche i fine settimana, e i tuoi genitori — che immagini come un punto di riferimento affettivo — sono lontani. Il desiderio di allargare la famiglia si è scontrato con resistenze pratiche, forse anche emotive, e ti ritrovi a fluttuare in una quotidianità che ti stanca, ma non sai più se è la stanchezza o il disorientamento a pesare di più.
Questo “galleggiare” che descrivi — e che è una parola molto forte, anche se all’apparenza leggera — racconta bene una fatica sottile ma persistente: quella di stare in equilibrio su qualcosa che non senti più tuo fino in fondo, ma che ancora non riesci (o non puoi) cambiare.
Anche solo scriverlo è un atto di cura. E se mai volessi farlo diventare qualcosa di più — come uno spazio di riflessione più strutturato, uno scambio, o un lavoro su di te — sappi che hai già fatto il primo passo: riconoscere che c’è qualcosa che ti pesa e che forse non puoi (o non vuoi più) tenere tutta da sola.
Un caro saluto