L’adozione come percorso di identità e appartenenza
L’adozione come percorso di identità e appartenenza
L’adozione è una storia d’amore che nasce dal desiderio di dare e ricevere legami. Ma è anche, per chi la vive, un cammino psicologico complesso, in cui il bisogno di appartenenza, le ferite dell’origine e la costruzione dell’identità si intrecciano profondamente.
Non basta “essere scelti” per sentirsi parte: l’adozione è un processo, non un evento.
Ogni bambino adottato porta dentro di sé due storie: quella che ha vissuto prima dell’adozione e quella che comincia dopo. Anche se piccolo, l’esperienza della separazione dalla famiglia d’origine lascia una traccia emotiva profonda, che può riemergere in diverse fasi della crescita.
Molti bambini adottivi si trovano, più avanti, a porsi domande come: “Da dove vengo? Chi sono veramente?”.
La psicologia dello sviluppo (Erikson, Bowlby, Fonagy) mostra che la costruzione dell’identità richiede la possibilità di integrare queste due parti: le origini biologiche e la nuova appartenenza affettiva.
Secondo la teoria dell’attaccamento di John Bowlby, la capacità di fidarsi e di creare legami dipende dalle prime esperienze di cura. I bambini adottati, soprattutto se hanno vissuto traumi, abbandoni o istituzionalizzazione, possono mostrare una difficoltà iniziale a fidarsi o a esprimere i propri bisogni.
La famiglia adottiva, in questo senso, svolge un ruolo di “riparazione affettiva”: deve offrire sicurezza, continuità e accoglienza anche quando il bambino mette alla prova il legame.
L’amore adottivo è, più di ogni altro, un amore paziente: deve tollerare l’ambivalenza, il rifiuto, il bisogno di controllo, e al tempo stesso continuare a esserci.
Durante l’adolescenza, il tema dell’adozione riemerge con forza. È il periodo in cui il giovane rielabora la propria storia e spesso riattiva le domande sull’origine e sul senso di sé.
Alcuni possono vivere sentimenti di rabbia o di colpa (“Perché sono stato abbandonato?”), altri possono idealizzare o rifiutare le figure genitoriali adottive.
È una fase naturale e, se accompagnata con sensibilità, può diventare un momento di crescita autentica.
Il compito della famiglia e dei professionisti è sostenere il ragazzo nel dare un senso coerente alla propria storia, aiutandolo a sentirsi figlio, ma anche individuo con un’origine unica e rispettata.
Nell’età adulta, molti figli adottivi raccontano di aver trasformato la propria esperienza in una fonte di empatia, resilienza e consapevolezza.
Aver affrontato il tema della perdita e dell’appartenenza fin da piccoli può renderli più sensibili al dolore altrui, più capaci di riconoscere le sfumature affettive, e più forti di fronte alle difficoltà.
La psicologia contemporanea parla di post-traumatic growth: la possibilità che dalla sofferenza nascano nuove risorse. L’adozione, se sostenuta e riconosciuta nella sua complessità, può diventare proprio questo — un percorso di crescita reciproca tra genitori e figli.
L’adozione è un atto d’amore che va oltre la scelta di accogliere un bambino: è la decisione di accogliere anche la sua storia, le sue paure e la sua differenza.
È una relazione che si costruisce giorno per giorno, in un equilibrio delicato tra cura e libertà, radici e futuro.
Dal punto di vista psicologico, essa ci ricorda che non si nasce solo dal corpo, ma anche dai legami: e che, a volte, la vera famiglia è quella che sa rispondere, con presenza e tenerezza, alla domanda più profonda di ogni essere umano “Posso fidarmi di essere amato?”
Psicologo, Psicoterapeuta - Lecco
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