Dott.ssa Chiara Todaro

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Psicologo, Psicoterapeuta

La passione per il crime: il bisogno di capire l’ombra umana

 La passione per il crime: il bisogno di capire l’ombra umana

Negli ultimi anni il genere crime è diventato un fenomeno culturale di massa. Serie televisive, documentari, podcast e libri sulla cronaca nera occupano un posto privilegiato nell’immaginario collettivo. Milioni di spettatori seguono con fascinazione casi di delitti, indagini e profili psicologici dei criminali.
Ma cosa spinge tante persone a interessarsi così profondamente al male?
La risposta non è solo curiosità morbosa: dietro la passione per il crime si nasconde un bisogno psicologico antico e universale quello di capire la nostra parte oscura.

Il fascino dell’ignoto e la mente dell’altro 

Osservare il male da vicino, ma a distanza di sicurezza, ci permette di esplorare i confini della mente umana. Le storie di crimini ci offrono una lente per comprendere ciò che normalmente resta nascosto: le motivazioni inconsce, le distorsioni cognitive, la perdita di empatia, la trasgressione delle regole.
La psicologia analitica direbbe che il crime ci mette a contatto con l’Ombra junghiana  quella parte di noi che raccoglie desideri, rabbie e impulsi rimossi.
Guardare un assassino sullo schermo significa, in fondo, confrontarsi con le possibilità estreme della mente umana, senza doverle vivere in prima persona.

La paura come controllo

Dal punto di vista evolutivo, la paura è un’emozione che serve a proteggerci. Guardare o ascoltare storie di crimini attiva questa emozione, ma in un contesto controllato: siamo al sicuro sul divano, eppure il cervello vive una simulazione di pericolo.
Questo paradosso genera piacere e sollievo: proviamo paura, ma possiamo spegnere lo schermo quando vogliamo. È un modo per esercitare il controllo sull’angoscia e, in un certo senso, “vaccinarci” contro l’imprevedibilità della realtà.

Molte persone non si identificano con il colpevole, ma con la vittima. Il genere crime diventa allora un terreno di empatia e di desiderio di giustizia.
Assistiamo all’indagine come a un rituale di riparazione: il disordine viene ricomposto, la verità emerge, il colpevole viene smascherato.
In un mondo spesso percepito come caotico e ingiusto, il crime offre una narrazione opposta: quella in cui la verità può essere scoperta e la colpa punita. È una forma di catarsi morale e sociale.

La realtà e i suoi limiti

Tuttavia, la fascinazione per il male non è priva di rischi. Il consumo eccessivo di cronaca nera può desensibilizzare, alimentare la paura dell’altro o generare un’illusione di competenza (“so riconoscere un colpevole”).
La mente umana tende a cercare coerenza e spiegazioni, ma la realtà del crimine è spesso più caotica di quanto le storie facciano credere.
Per questo, la psicologia invita a distinguere tra il bisogno di comprendere e il bisogno di controllare. Il primo è conoscenza; il secondo, difesa.

La passione per il crime rivela una tensione profonda della psiche contemporanea: il desiderio di conoscere il lato oscuro dell’essere umano senza esserne travolti.
In un’epoca in cui tutto appare esposto e visibile, il male resta uno degli ultimi misteri.
Studiare, raccontare e perfino “consumare” il crime è, in fondo, un modo per esorcizzare la paura e riaffermare il valore della coscienza.
Come direbbe Jung, “nessuno diventa luminoso immaginando figure di luce, ma rendendo consapevole la propria oscurità”.

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