Dott.ssa Chiara Todaro

Dott.ssa Chiara Todaro

Psicologo, Psicoterapeuta

Adolescente

Buongiorno, Vi ringrazio dell'opportunità di esporre il mio dubbio, se così si può chiamare. Mi chiamo Desirè ed ho 50 anni, sposata con tre figli di cui 1 di 16 anni. R. è un ragazzo piuttosto tranquillo, diligente e bravo a scuola, i professori lo definiscono "dotato", ha amici e fino a qui tutto nella norma. A casa invece è taciturno, parla pochissimo, con me è scontroso e raramente mi parla, lo fa con il padre solo se sollecitato ma con lui scherza anche, con i fratelli a volte esce ed ha un legame molto stretto. Il problema sono io a questo punto. Da me si aspetta che gli prepari la colazione, tutto ciò di cui ha bisogno, se non sta bene si rivolge a me e a volte in silenzio viene nello studio in cui lavoro, se non mi sente o vede per un po', mi guarda sorride e basta. Mi parla in maniera scontrosa e solo se lo sollecito. Ho provato a capire cosa c'è che non va, dice che rompo e che sono troppo presente. Però è me che cerca se ha qualche problema o malessere. Gli ho proposto una terapia con me o famigliare per cercare di risolvere la situazione ma non ne vuole sapere. Questo atteggiamento è iniziato circa un paio di anni fa. Cosa mi consigliate? Grazie

Buongiorno Desirè,
grazie per aver condiviso con tanta sincerità la vostra situazione. È comprensibile che, come mamma, questo cambiamento nel modo in cui R. si relaziona con lei la faccia interrogare e preoccupare. Quello che descrive, però, rientra molto spesso in una fase fisiologica dell’adolescenza, soprattutto quando il ragazzo è sereno fuori casa, funziona bene a scuola, ha amici e mantiene legami affettivi interni alla famiglia. Fra i 14 e i 16 anni molti ragazzi vivono un periodo di ridefinizione delle distanze con la figura materna. La mamma rappresenta il porto sicuro, ma anche la persona da cui “differenziarsi” per diventare più adulti. Per questo capita spesso che: fuori casa siano collaborativi e sociali, in famiglia appaiano più chiusi, scontrosi o irritabili, cercano ancora la madre nei momenti di fragilità, ma nei momenti di quotidianità rispondano con bruschezza per affermare una nuova autonomia. In altre parole: non sta rifiutando lei, ma “praticando” il distacco emotivo necessario per crescere, senza però essere davvero pronto a farne a meno quando ha bisogno. Perché cerca proprio lei nei momenti difficili? Perché lei rimane la figura di attaccamento principale, quella che per lui rappresenta sicurezza.
Il fatto che venga nel suo studio, che la cerchi quando non sta bene, che la guardi e sorrida in silenzio è un segnale molto positivo: il legame è vivo, solo che come spesso accade a questa età si esprime in modo più contraddittorio. Ecco alcuni suggerimenti che spesso aiutano.

Ridurre la “presenza attiva”, mantenendo però una “presenza disponibile”, non chieda continuamente come sta, cosa ha, cosa fa.
Meglio dire: "Sono qui se hai bisogno, non ti faccio domande, ma ci sono."
Questo permette a lui di avvicinarsi senza sentirsi invaso.

Dare piccoli spazi di autonomia quotidiana, non è necessario preparargli ogni cosa: provi a delegare qualcosa (“Se vuoi la colazione è in cucina, arrangiati pure”) in modo gentile, non punitivo.
Questo lo responsabilizza e riduce la sensazione che lei sia “troppo presente”.

Spesso i ragazzi di quest’età rispondono male quando sentono aspettative emotive.
Funzionano meglio domande neutre, occasionali, e soprattutto senza aspettarsi una risposta elaborata. 

Se lui non sente un problema, non accetterà un aiuto esterno.
Ma potrebbe valutare lei un breve spazio di confronto familiare o genitoriale: anche poche sedute di consultazione possono dare strumenti utili e portare beneficio indiretto a tutta la famiglia. Quando viene nel suo studio, quando la cerca o le sorride, le sta dicendo: “Ci sei ancora per me?”.
Risponda con normalità, senza chiedere spiegazioni: questo abbassa molto la tensione. I segnali più importanti sono già positivi: rendimento scolastico alto, amicizie, legame con i fratelli, possibilità di scherzare con il padre.
Ci sarebbe motivo di indagare solo se emergessero: ritiro sociale anche fuori casa, calo drastico nel rendimento, aggressività marcata, rigidità relazionale con tutti i membri della famiglia. Ma dal suo racconto, questi segnali non ci sono. Non è “suo il problema”, come teme: è semplicemente la figura più significativa, e quindi anche quella con cui sperimenta la sua autonomia. Il suo comportamento è molto coerente con un percorso evolutivo normale, anche se emotivamente faticoso da vivere.

 

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