La gestione del conflitto

La gestione del conflitto

La gestione del conflitto è un tema sicuramente sentito per tutti noi, sia nella vita privata, sia in quella professionale. Qualche volta non è facile affrontare e soprattutto gestire il conflitto; sovente capita che non ci siano né i tempi, né le risorse per occuparsene in modo adeguato e questo può tradursi in notevoli costi e sgradevoli effetti collaterali.

In famiglia, ad esempio, potremmo intuire un certo malessere da parte del partner o dei figli, ma la routine quotidiana e la costante corsa contro il tempo, potrebbero fungere da deterrente rispetto all’agire, al prenderne atto e al parlarne. Anche perché “parlarne”, spesso significa aprire una porta che non sempre sappiamo quando potremmo richiudere, e quindi può sembrare più semplice ignorare la faccenda tout court.

Sul luogo di lavoro spesso accade che il dirigente (manager, capo, responsabile di area) sia effettivamente al corrente che tra i membri del suo team sono presenti tensioni, ma anche in questo caso diversi aspetti  potrebbero ostacolare un suo intervento attivo: mancanza di tempo, non sapere come gestire la situazione, la speranza che tutto possa risolversi in modo spontaneo.

Soluzioni illusorie.

Prendiamo in considerazione l’ambiente di lavoro: ignorare il conflitto potrebbe inizialmente potrebbe sembrare la soluzione ideale, ma lungo andare non farebbe altro che aggravare la situazione, determinando costi imprevisti ed elevati. Possiamo distinguere i costi del conflitto in personali e aziendali.

I costi del conflitto.

I costi personali.

Tra i costi personali possiamo riscontrare:

  • malesseri fisici, probabile somatizzazione (mal di pancia, male alla schiena, mal di stomaco, nausea…) 
  • problemi psicologici (ansia, stress, burnout, attacchi di panico, evitamento, angoscia…)

Queste problematiche esitano facilmente in assenze dal lavoro, periodi di malattia o inattività, e talvolta in dimissioni. È evidente che questi malesseri creano un disagio per la persona e presumibilmente per tutta la sua famiglia, o la coppia.

I costi aziendali.

D'altra parte, ignorare un conflitto determina anche costi aziendali elevati:

  • incremento dei costi assicurativi e legati all'assistenza sanitaria,
  • costi dovuti alla mancanza o riduzione della produttività, possibilmente riconducibile all’assenteismo e al turnover del personale. Infatti, se si creano le condizioni per organizzare sostituzioni, nuove selezioni del personale e la relativa formazione, è chiaro che si accumulano le spese (nuove attività sommate alla riduzione della produttività), spesso accade che in presenza di un conflitto, in particolare se cronico, i lavoratori si focalizzino più sul conflitto in atto (lamentele, critiche, biasimo, pettegolezzi, comportamenti passivo-aggressivi), che sul lavoro da svolgere.
  • clima teso: in cui non ci si sente liberi di esprimere la propria opinione o le proprie idee, questo non favorisce la creatività, abilità molto preziosa per la soluzione di problemi.
  • ripercussioni sul brand dell’azienda, che inizierà a essere conosciuta come ‘quel luogo di lavoro in cui non c’è attenzione per i dipendenti’, oppure come il luogo ‘in cui il benessere dei lavoratori non viene preso in considerazione’, sino ad arrivare a una possibile deriva negativa conseguente a episodi di aggressività, violenza o vandalismo.


I benefici di una corretta gestione del conflitto.

Oltre alla fine della crisi specifica, i benefici di una corretta gestione del conflitto sono innumerevoli sia per l’azienda, sia per la persona: entrambe le parti, infatti, possono acquisire risorse e competenze utili anche per il futuro.

Dal punto di vista personale osserviamo una migliore padronanza di sé stessi, una maggiore autostima e una migliore qualità delle relazioni.

A livello aziendale, in generale osserviamo migliori soluzioni ai problemi, nuove idee, rinnovata creatività, relazioni soddisfacenti e una maggiore produttività legata alla maggiore focalizzazione sul lavoro delle persone.

Non possiamo controllare il comportamento degli altri, ma con una comunicazione efficace possiamo controllare il modo in cui rispondiamo e non semplicemente reagiamo alle situazioni; possiamo influenzare le dinamiche del conflitto e aumentare le possibilità di esiti positivi.

Quali tipi di conflitto esistono?

Possiamo avere:

  • il conflitto di relazione: in cui le parti sono aggressive, critiche, utilizzano il biasimo o le accuse;
  • il conflitto di risorse: in cui le parti coinvolte lottano per accaparrarsi la risorsa limitata;
  • il conflitto di valori: in cui le parti sono in contrapposizione (poiché i valori sono parte integrante dellidentità degli individui lunica soluzione possibile in questo caso è un lavoro sul rispetto reciproco);
  • il conflitto di obiettivi: in cui gli obiettivi delle parti si escludono vicendevolmente o il raggiungimento di uno implica una limitazione per laltro;
  • il conflitto di compito: in cui i problemi legati allo svolgimento di un lavoro sono causati dalle differenze tra i membri del team


Quali sono le possibili soluzioni al conflitto?

Le possibili soluzioni al conflitto sono: la mediazione, il compromesso, la negoziazione, il problem solving e la creatività.

  • La mediazione consiste nell'intervento di una terza parte che si pone come obiettivo l’agevolare la comunicazione tra le parti coinvolte, con il fine di raggiungere un accordo.
  • Il compromesso si ha quando entrambe le parti sono disposte a cedere qualcosa a cui tengono con l'obiettivo di trovare un accordo.
  • La negoziazione implica il ricorso a una serie di tecniche volte a portare lavversario dalla nostra parte.
  • Il problem solving e la creatività si basano sul presupposto che più nuove idee sono libere di circolare, più sarà facile trovare nuove prospettive e nuove soluzioni ai problemi.

L’atteggiamento e la profezia che si autoavvera.

L'atteggiamento che assumiamo influisce sulla percezione e sull'interpretazione del conflitto. Per modificare il nostro atteggiamento dobbiamo innanzitutto averne consapevolezza.

Possiamo iniziare ponendoci alcune semplici domande come ad esempio:

  • “Penso che il conflitto sia inevitabile nel mio ambiente di lavoro?”,
  • “Quando penso al conflitto nel mio luogo di lavoro, quali parole mi vengono in mente per descriverlo?”,
  • “Ho avuto in passato esperienze conflittuali che hanno avuto esiti positivi?”,
  • “Che cosa ha influito sull’esito del conflitto?”
  • “In generale, qual è il mio atteggiamento verso il conflitto?”

Le risposte automatiche: fight, flight, freeze.

Di fronte a una minaccia, reale o percepita, nel nostro organismo si attiva un sistema di risposte automatiche che ha origine dall’amigdala, una delle parti più antiche del cervello, il cosiddetto “cervello rettiliano”. Questo tipo di risposta implica una determinata attivazione fisiologica che ci predispone a tre tipi di risposte comportamentali: fight, flight o freeze, tutte finalizzate alla sopravvivenza.

  • La prima risposta, fight, prevede la lotta, l’ingaggiarci cioè in un combattimento con l’avversario volto ad averne la meglio,
  • la seconda, flight, prevede la fuga e quindi l’evitamento della sfida,
  • la risposta freeze, prevede il ‘fingersi morti’, l’immobilizzazione, in attesa che il pericolo passi oltre.

Una visione negativa del conflitto genera in noi sentimenti ansiosi, rabbiosi o spaventosi e attiverà una risposta automatica di difesa che esiterà in aggressività, comportamenti passivo-aggressivi, critiche, biasimo o accuse, alla quale molto probabilmente l’altra parte risponderà in modo molto simile.

Si otterrà così una profezia che si autoavvera, data dall’atteggiamento.

L’atteggiamento è frutto di un sistema di credenze, quei pensieri rispetto al conflitto determineranno il modo in cui ci sentiamo e quindi il modo in cui ci approcciamo ad esso; l’altra parte reagirà al nostro modo di approcciarci attivando una risposta automatica, che probabilmente finirà per confermare i nostri pensieri a riguardo (ad esempio: “Ecco con lui non si può parlare!” oppure “ora che l’ho fatto presente al capo, non cambierà nulla come sempre!”).

Se sviluppiamo un’adeguata consapevolezza rispetto al modo in cui entriamo in un conflitto e a come lo viviamo, probabilmente sarà più facile scegliere il tipo di atteggiamento che vogliamo assumere.

Possiamo partire dal presupposto che il conflitto è inevitabile, in questo modo possiamo considerarlo un processo collaborativo finalizzato al problem solving e non una mera questione di sopravvivenza.

Considerazioni sul conflitto.

L'etimologia: la parola conflitto deriva da “conflictus” che significa urto, scontro, un derivato di “confligere”: scontrarsi insieme (strategie, idee, valori).

Abbiamo un conflitto quando le parti sono in disaccordo rispetto a qualcosa che preme a entrambe; viceversa se una delle due parti non è interessata, avremo solamente una differenza di opinioni, idee, strategie, valori.

Talvolta si può avere un conflitto quando qualcuno non soddisfa le nostre aspettative, e questo è piuttosto inevitabile perché siamo tutti diversi per personalità, percezioni, idee, valori, credenze, esperienze, culture, religioni, ambizioni, obiettivi.

Queste differenze possono essere gestite grazie allo sviluppo di una buona competenza emotiva che ci permette di scegliere tra comportamenti costruttivi e distruttivi.

È importante sviluppare consapevolezza rispetto al modo in cui noi entriamo e viviamo il conflitto; ad esempio ponendoci domande come: “Che cosa ho detto?”, “Quale tipo di linguaggio ho utilizzato?” “Quali sono state le mie azioni e le mie reazioni?” “Durante il conflitto come è cambiato il mio comportamento?”, “Il mio atteggiamento e la mia risposta comportamentale cambia a seconda del tipo di persone che mi trovo davanti?”.

L’obiettivo di queste domande è riportare il focus dell’attenzione su di me, perché il conflitto è una delle poche circostanze in cui siamo più focalizzati all'altro.

Trigger points.

È molto importante è conoscere i propri trigger points, quei tasti che se premuti ci fanno scattare. Ognuno di noi sarà più suscettibile su un aspetto piuttosto che su un altro; conoscerli ci aiuta a non essere presi alla sprovvista.

Se ad esempio, sono consapevole che la mancanza di puntualità genera in me una reazione di rabbia, il fatto stesso di esserne consapevole mi permette di non farmi cogliere impreparata, qualora un evento simile si dovesse verificare. Questa consapevolezza chiaramente non risolve il problema, però mi aiuta in qualche modo a regolare le emozioni e, la regolazione delle emozioni è un aspetto fondamentale nella gestione del conflitto.


Le emozioni.

La competenza emotiva si basa sul presupposto di saper accogliere l’emozione che proviamo, saperle dare un nome (labelling) e attribuirle un grado di intensità.

Riconoscere le sfumature emotive è possibile se possediamo il linguaggio adeguato per poterlo fare, va da sé che un impoverimento del linguaggio determina un impoverimento emotivo.

La ruota delle emozioni è uno strumento che può esserci molto utile per riprenderci le emozioni perdute.


La validazione.

La validazione è una strategia comunicativa basata sull’empatia, che ha come obiettivo la valorizzazione dell’esperienza emotiva dellaltro; questo si contrappone alla svalutazione alla negazione. Anche se non siamo d’accordo con la posizione dell’altra persona, possiamo prendere atto di ciò che dice e considerarlo vero, perché quella è la sua posizione, la sua esperienza, la sua verità.

Non possiamo negare ciò che una persona ci dice di provare. Non è rispettoso sminuirla, né criticarla.


La regolazione delle emozioni.

La regolazione delle emozioni è la capacità di una persona di essere consapevole del proprio stato emotivo e di regolarlo in maniera funzionale e adattiva. Saper modulare le proprie emozioni ci permette di mantenerne l'intensità a un livello tollerabile e non esserne sopraffatti. Di conseguenza sarà più semplice dare risposte adeguate all’esterno ed evitare eccessi di impulsività. La nostra capacità di regolare le emozioni è in parte attribuibile a fattori biologici (temperamento) e a fattori ambientali (le esperienze vissute, in particolare nei primi anni di vita).


La distribuzione dell’attenzione.

Ci sono due tecniche di regolazione delle emozioni molto semplici che possiamo applicare quando avvertiamo un crescendo della tensione: la distribuzione dell’attenzione e la rivalutazione.

  • la distribuzione dell’attenzione ci permette di direzionare intenzionalmente la nostra attenzione altrove rispetto alla fonte di tensione, richiamando alla memoria un piacevole ricordo o semplicemente pensando a qualcosa di bello.
  • la rivalutazione ci porta a considerare una prospettiva diversa, a attuare uno sforzo per provare a dare un’interpretazione diversa alle circostanze.


Il respiro.

Quando siamo coinvolti direttamente non è facile guardare le cose da una diversa prospettiva, in questo caso può essere utile preparare a priori delle affermazioni che ci possono aiutare a prendere tempo e riflettere; ad esempio se sentiamo salire la rabbia possiamo proporre una pausa caffè, enfatizzando il fatto che la questione è importante e che merita la giusta attenzione.

Possiamo utilizzare alcune semplici strategie di respiro per calmarci, fare chiarezza e ritrovare la centratura.

Una delle modalità più semplici per calmarci è inspirare come se stessimo annusando il profumo di un fiore, ed espirare come se soffiassimo via una foglia secca.

La tecnica dei 3 (o 5) secondi prevede un’inspirazione lunga tanto quanto il tempo per contare mentalmente fino a tre, il trattenere il respiro per un tempo pari a quello necessario per contare mentalmente sino a tre e un’espirazione lunga, tanto quanto il tempo necessario per contare mentalmente fino a tre.


L’ascolto attivo.

L’ascolto attivo è una competenza che presuppone un reale e autentico interesse nei confronti di quello che l’altra persona sta dicendo; prevede attenzione, rispetto, incoraggiamento a parlare, empatia e accettazione.

Per ascoltare in modo attivo è necessario ascoltare senza interrompere e focalizzarsi sulla comprensione (“non ascolto aspettando che venga il mio turno per parlare e per dire la mia opinione, ma mi concentro sul tentativo di comprendere realmente l’altro”).


La consapevolezza dei propri bisogni.

Ascoltando in modo attivo l’altra parte, saremo in grado di comprenderne i bisogni, ma prima è necessario sviluppare consapevolezza rispetto a quelli che sono i nostri bisogni. Uno strumento utile che abbiamo a disposizione è la piramide dei bisogni di Maslow, che pone nel suo libro gradino più basso i bisogni fisiologici, nello scalino superiore i bisogni di sicurezza, poi quelli di socialità, di autorealizzazione e infine di spiritualità. Una volta che si siamo collocati rispetto ai bisogni saremo in grado di meglio gestire aspettative, emozioni e comunicazione.


Fare una critica.

Per qualcuno di noi fare una critica può essere molto difficile, perché ci mette in imbarazzo, ci crea disagio, pensiamo di non riuscire a trovare le parole giuste. La tentazione in questi casi è quella di tenerci tutto dentro, ma questo non fa che aumentare in noi il disappunto, il fastidio e l'irritazione, che potrebbero trasformarsi in risentimento.

Prima di fare una critica è importante ricordarsi quattro passaggi essenziali:

  1. cominciare l’interazione con qualcosa di positivo, ad esempio un apprezzamento sentito e autentico di un punto di forza o di una abilità dell’altra persona. Questo passaggio ha l’obiettivo creare un ponte ed evitare atteggiamenti difensivi. Ad esempio: “Mi piace molto il modo in cui riesci a far sentire il cliente a suo agio raccontandogli aneddoti divertenti…”
  2. Il secondo passaggio prevede una chiarificazione di quelle che sono le motivazioni della nostra critica, ovvero perché riteniamo importante portare l’attenzione su quel aspetto e su quali conseguenze potenziali sono implicate.
  3. espongo la mia critica
  4. provo a fornire una soluzione o un modo diverso per affrontare la situazione, un outcome desiderabile in sostituzione del comportamento che ho criticato.

Durante tutte queste fasi è bene tenere a mente autenticità, semplicità, trasparenza e onestà.

Ricevere una critica.

Quando riceviamo una critica, sia essa personale o professionale, tendiamo a irrigidirci, a metterci sulla difensiva e a spiegare e giustificare il nostro operato. Questa reazione, del tutto spontanea, potrebbe distrarci dall’ascolto rischiando così di perdere preziose informazioni.

Quando qualcuno ci fa una critica, ascoltiamo, respiriamo, ringraziamo per il feedback ricevuto (sia esso positivo o negativo) e infine poniamo domande per capire in modo specifico che cosa intende l’altra persona e chiediamo indicazioni o aiuto per migliorare su quell’area.

Il conflitto è parte della nostra vita, imparare a gestirlo può essere una sfida, ma ne vale certamente la pena. Si comincia dalla conoscenza di sé stessi per arrivare alla scoperta dell’altro.

La consapevolezza è il vero lusso che ci cambia la vita.

Dr. Elena De Franceschi 👩‍🎓Psicologa clinica 📧e.defranceschi@psicoaosta.com 📨info@psicoaosta.com www.psicoaosta.com https://linktr.ee/dr.defra

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