Dott.ssa Elena De Franceschi

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Dott.ssa Elena De Franceschi

Psicologa

Le radici invisibili della rabbia Neurobiologia, esperienze precoci e la funzione protettiva di un'emozione fraintesa

Il grido antico della rabbia

Alcune emozioni si annunciano con fragore. La rabbia è tra queste. Ci attraversa con forza, ci rende tesi, taglienti, rapidi. A volte, è così immediata da non lasciarci neanche il tempo di capire cosa abbiamo davvero provato prima: un senso di esclusione, un'ingiustizia sottile, una paura che non abbiamo osato riconoscere.

La verità è che la rabbia, quando appare “sproporzionata” o “fuori contesto”, raramente parla del presente. Più spesso, è il riflesso di una risposta appresa, scolpita nel nostro sistema nervoso in anni in cui le emozioni non venivano spiegate, regolate né accolte.

Neurobiologia della rabbia: un sistema di allarme iperattivo

Il cuore neurologico della rabbia è il circuito limbico, in particolare l’amigdala, responsabile dell’identificazione rapida delle minacce. Quando l’amigdala si attiva, innesca una cascata di risposte (via ipotalamo e asse HPA) che preparano il corpo alla difesa: aumento del battito, tensione muscolare, concentrazione focalizzata.

Tuttavia, l’attività dell’amigdala è plasticamente modulata dalle esperienze relazionali precoci (Tottenham & Galván, 2016). Se il bambino cresce in un ambiente in cui l’imprevedibilità, la svalutazione o l’ipercontrollo sono la norma, il sistema limbico impara a rispondere in modo esagerato. Lo sviluppo della corteccia prefrontale, che normalmente svolge una funzione di modulazione e regolazione, può risultare indebolito (Davidson et al., 2000).

In parole semplici: alcuni adulti scattano non perché sono impulsivi “per natura”, ma perché il loro cervello ha imparato a vivere in allerta.

Rabbia come difesa dell'identità

Un’emozione non nasce mai nel vuoto. La rabbia, in particolare, emerge per proteggere qualcosa che sentiamo minacciato: il nostro valore, il nostro bisogno di essere rispettati, la nostra integrità.

Quando da piccoli non ci è stato permesso di sentire paura, tristezza o vulnerabilità senza essere ridicolizzati o ignorati, abbiamo imparato a rimpiazzare le emozioni più fragili con quelle più “forti”. La rabbia è una maschera perfetta. Rende inattaccabili. Inaccessibili.

Nella pratica clinica, è frequente incontrare pazienti che esplodono per inezie: il tono di voce del partner, un ritardo, un messaggio non ricevuto. Ma sotto quelle esplosioni si nasconde spesso una memoria corporea di ansia abbandonica, un dolore antico che la coscienza non riesce (o non vuole) più sentire. La rabbia, in questi casi, ha la funzione di coprire l'ansia, perché l’ansia ci fa sentire vulnerabili e impotenti, mentre la rabbia ci fa sentire forti, capaci, protetti.

Due esempi clinici

  • Chiara, 42 anni, è madre di due figli. Prima di ogni partenza, diventa nervosa, ipercontrollante, facilmente irritabile con il marito. L’ansia da disorganizzazione, che da bambina viveva nel passaggio tra casa e casa dopo il divorzio dei genitori, si presenta sotto forma di rabbia. La rabbia le consente di non sentire il panico infantile che ancora la abita.

  • Marco, 51 anni, dirigente, si arrabbia furiosamente se qualcosa gli sfugge di mano. Cresciuto in una famiglia che puniva severamente l’errore, ha associato ogni fallimento a un collasso del valore personale. La rabbia diventa così il tentativo disperato di riacquisire controllo..

L’emozione che chiede di essere ascoltata

La rabbia, quindi, non va demonizzata né addomesticata, ma compresa nella sua funzione difensiva. Solo allora possiamo riconoscere in essa il grido del bambino che siamo stati, che ha imparato a diventare forte per sopravvivere.

La psicologia contemporanea non ci invita a “non arrabbiarci più”, ma a dare un nome all’emozione sottostante, accettare il bisogno che la innesca, restituire al corpo e alla mente la possibilità di sentirsi al sicuro — anche senza alzare la voce.

Come ha scritto Sue Johnson, “non ci arrabbiamo mai per davvero con chi non ci importa. La rabbia è la forma distorta con cui cerchiamo connessione quando abbiamo paura di perderla”.

Bibliografia

  • Davidson, R. J., Putnam, K. M., & Larson, C. L. (2000). Dysfunction in the neural circuitry of emotion regulation—a possible prelude to violence. Science, 289(5479), 591-594.

  • Schore, A. N. (2012). The Science of the Art of Psychotherapy. W. W. Norton & Company.

  • Tottenham, N., & Galván, A. (2016). Stress and the adolescent brain: Amygdala-prefrontal cortex circuitry and ventral striatum as developmental targets. Neuroscience & Biobehavioral Reviews, 70, 217–227.

  • Panksepp, J. (1998). Affective Neuroscience: The Foundations of Human and Animal Emotions. Oxford University Press.

  • Johnson, S. (2008). Hold Me Tight: Seven Conversations for a Lifetime of Love. Little, Brown Spark.

  • Siegel, D. J. (2010). The Developing Mind: How Relationships and the Brain Interact to Shape Who We Are. Guilford Press.

  • Fonagy, P., & Luyten, P. (2009). A developmental, mentalization-based approach to the understanding and treatment of borderline personality disorder. Development and Psychopathology, 21(4), 1355–1381.

💎 La consapevolezza è il vero lusso che ci cambia la vita!  

Dr. Elena De Franceschi - Psicologa clinica  - e.defranceschi@psicoaosta.com - info@psicoaosta.com - 

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