I giochi psicologici: la danza della ripetizione
Nelle relazioni quotidiane (di coppia, familiari, amicali e lavorative) capita spesso di ritrovarsi dentro a dinamiche comunicative ricorrenti, in cui si finisce per sentirsi frustrati, incompresi o in colpa.
Sono momenti in cui sembra che tutto accada "sempre allo stesso modo", nonostante cambino le persone e le circostanze.
In Analisi Transazionale, Eric Berne (1964) ha descritto questi schemi relazionali come giochi psicologici: sequenze ripetitive e prevedibili di comunicazione, che si concludono con una sensazione spiacevole per entrambi gli interlocutori.
Cosa sono i giochi psicologici
Un gioco psicologico è una forma di comunicazione, che contiene degli aspetti inconsci e manipolativi, in cui le persone interagiscono su due livelli:
Il gioco si svolge inconsapevolmente e termina con un "colpo di scena emotivo" che conferma le convinzioni profonde dei partecipanti e che spesso nemmeno loro conoscono. Berne (1964) definisce i giochi come "una serie di transazioni ulteriori, ripetitive, che conducono ad un risultato prevedibile e spiacevole".
Facciamo un esempio che molti riconosceranno nelle proprie conversazioni:
A: "Non so mai cosa fare?"
B: "Potresti fare un corso di yoga".
A: "Si, ma non mi piace molto".
B: "Prova uno sport più dinamico".
A: "Si, ma sono pigra".
B: "Ci sono dei bei corsi di uncinetto".
A: "Si, ma l'uncinetto non fa prorpio per me".
B: "Allora trovati una soluzione da sola!".
Questo è il gioco "Si, ma...": questi scambi possono andare avanti fintantochè A rimane nel ruolo di Vittima e B resta nel ruolo di Salvatore (Karpman, 1968). In apparenza sembra un dialogo in cui A cerca una soluzione, ma in realtà ha bisogno di essere aiutata e, allo stesso tempo, di confermare che nessuno può davvero farlo. La chiusura avviene in malo modo, cioè entrambi gli interlocutori rimangono insoddisfatti. E' probabile che A pensi "Nessuno mi vuole/può aiutare" e B "Alla fine non va mai bene niente".
Perchè giochiamo? I bisogni nascosti
Ogni gioco psicologico risponde a bisogni che, in parte sono universali - comuni a tutte le persone - e, in parte, specifiche, legate alla storia individuale di ciascuno. Sul piano sociale i giochi servono a strutturare il tempo, cioè a dare forma e ritmo alle interazioni quotidiane. Pensiamo al gioco "Si, ma..." in un contesto gruppale in cui più amici si trovano a chiacchierare davanti ad una tazza di tè: una persona espone un problema e gli altri cercano di offrire soluzioni, ma ogni proposta viene rifiutata. Dietro questi scambi apparentemente innoqui si nasconde un bisogno più profondo: la "fame" di riconoscimento, il desiderio di essere visti, ascoltati, accuditi e accettati.
Questo bisogno ha origini antiche. Gia Spitz (1945) osservò che i neonati privati a lungo di cure emotive tendevano a sviluppare una forma di depressione potenzialmente fatale. Da adulti, questa stessa necessità di essere riconosciuti continua a guidarci nelle scelte che facciamo. I giochi, in tal senso, permettono di mantenere il ruolo relazionale che più appartiene alla persona, secondo Karpman (1968) sono i seguenti:
Nonostante ciascuno abbia un ruolo preferito è normale passare dall'uno all'altro nelle numerose interazioni umane.
Sul piano più profondo, i giochi hanno lo scopo di confermare le convinzioni inconsce che si hanno su sè stessi, sugli altri e sul mondo. Tornando all'esempio sopra riportato, la persona che inizia la conversazione può avere la convinzione che nessuno riuscirà davvero ad aiutarla, questa sua credenza viene confermata alla fine degli scambi quando B ci rinuncia infastidita e con un senso di impotenza.
I giochi rafforzano la posizione esistenziale, ossia l'atteggiamento verso sé stessi e gli altri. Le quattro posizioni sono:
I giochi si originano nell'infanzia, come tentativi di ottenere attenzione o controllo in contesti imprevedibili. Da adulti, sono riproposti inconsciamente per ricreare scenari emotivi familiari, confermando la posizione di vita ("io non sono ok, tu sei ok" ecc.) e mantenendo il copione che fa sentire al sicuro in quanto già collaudato, anche se fa soffrire.
Tipi comuni di giochi relazionali
Berne (1964) e in seguito i suoi successori ha identificato numerosi giochi, alcuni molto diffusi nella vita di tutti i giorni, di seguito ne elenco alcuni:
Come riconoscerli
Riconoscere uno schema comunicativo disfunzionale richiede consapevolezza e osservazione dei propri stati interni. Alcuni indizi possono essere i seguenti:
Interrompere la ripetizione
Quando si interrompe il meccanismo ripetitivo dei giochi ,le relazioni diventano più autentiche, profonde e si percepisce una maggiore armonia. Come scrive Berne (1964) "l'autonomia si conquista quando si liberano o si recuperano tre capacità: consapevolezza, spontaneità e intimità".
Bibliografia
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