Psicologo, Psicoterapeuta cognitivo comportamentale
Come gestire al meglio il rapporto con il mio nuovo psichiatra?
Gentili dottori, buonasera, vorrei sottoporre quanto riportato di seguito alla Vs. attenzione.
Sono seguita da circa un anno dal CSM della mia zona per depressione maggiore, attacchi di panico (iniziati nell'adolescenza) e, oltre a questo, fin dall'infanzia ho sofferto di forti esplosioni di rabbia che spesso sfogavo su mia mamma, e poi accompagnate da un leggero autolesionismo (queste sono molto diminuite da quando assumo i farmaci).
All'inizio mi era stato assegnato uno psichiatra che seguiva una parte del paese (dalla F alla M o P, se non ricordo male, il quale era suddiviso in 3 zone) dove abito, con il quale mi sono trovata benissimo, sia a livello professionale che umano.
Ciò di cui soffro è stato scatenato da degli eventi sia lavorativi che personali molto pesanti, di cui non parlerò in questa sede, che hanno fatto insorgere molto velocemente tutti i sintomi depressivi, facendo anche tornare gli attacchi di panico (prima mi venivano solo durante la guida).
Ho riferito tutto al mio medico di base che stava per prescrivermi un antidepressivo, ma non occupandosi solo di salute mentale, oltre ad aver chiesto a me se volevo uno psicologo o psichiatra, l'ho bloccato subito, chiedendogli di essere mandata da uno psichiatra (avevo già fatto un percorso di psicoterapia, da me interrotto per incompatibilità caratteriale tra me e la psicoterapeuta).
Così, dopo un forte attacco di panico avuto qualche settimana dopo, mi sono decisa a chiamare (fine maggio 2024), e mi hanno affidato il collega di cui ho scritto sopra. Alla fine della prima visita aveva detto che quello era il momento giusto per venire da lui, di avermi presa appena in tempo, cioè prima che il mio cervello si "spegnesse" essendo molto "sovraccarico". Le sue parole sono state: "dobbiamo evitare che si spenga" e che se avessimo aspettato altri 6 mesi avrebbe dovuto usare altri modi per "riprendermi" in quanto la depressione si sarebbe ulteriormente aggravata (credo si riferisse al ricovero o a trattamenti farmacologici più intensivi).
Mi aveva fatto capire che necessitavo di fermarmi e avere cura della mia salute mentale, cosa che era stata fatta male anni prima (gli avevo detto che alla psicoterapeuta precedente avevo chiesto di vedere uno psichiatra perché all'epoca erano aumentati sia gli attacchi di panico che gli scatti d'ira. Lei a questa mia richiesta non era mai stata d'accordo, in quanto riteneva i farmaci non necessari e che mi bastasse lei). A detta del medico, la dottoressa aveva fatto un lavoro pessimo e che, se solo quella volta mi avesse ascoltato, avrei evitato di "trascinarmi" certe cose fino ad oggi.
Preciso che prima di ammalarmi di depressione ero abbastanza soddisfatta della mia vita, anche se mi ha sempre accompagnato un profondo senso di tristezza del quale non sono mai riuscita a parlare per paura di non essere capita.
Inizialmente mi è stata prescritta vortioxetina al minimo dosaggio fino alla dose massima, poi cambiata per inefficacia con desvenlafaxina e diazepam (questo solo per un mese e poi al bisogno), siccome alla terza visita mi aveva visto particolarmente tesa e ansiosa. Infatti, quello stesso giorno, prima di farmi andare a casa, me ne aveva somministrato una dose con siringa sottolinguale.
Attualmente sono in cura con venlafaxina (mi è stata data dallo psichiatra di guardia, perché il secondo antidepressivo, essendo in compresse, faticavo a deglutirlo) a dosaggio quasi massimo e mezza pastiglia di mirtazapina per contrastarne gli effetti collaterali che nel mio caso erano inappetenza, insonnia ed eccessiva perdita di peso.
Ad oggi posso dire di stare abbastanza bene, anche se oltre alla farmacoterapia assocerò anche un percorso di psicoterapia che inizierò a breve come suggeritomi fin dalla prima visita.
Con il mio precedente psichiatra mi sentivo molto a mio agio e sicura perché, essendo "giovane" (classe 1982), è riuscito a capire meglio delle mie esperienze di vita, come il lutto di mia nonna essendo anche lui stato più male per la morte di una delle due, oppure il sentirsi "in crisi" su scelte importanti; nel suo caso non sapeva se continuare Medicina, così da ricorrere alla psicoterapia che l'ha aiutato a decidere il da farsi. Inoltre, seguendo molti ragazzi giovani, sa perfettamente come va il mondo lavorativo per noi.
Fatta questa premessa, ad aprile di quest'anno, all'ultima visita, mi dice che d'ora in poi mi seguirà un nuovo collega molto più giovane e bello di lui (è tuttora un bell'uomo), con cui ha studiato e conosce personalmente. Oltre a rassicurarmi e dirmi che voleva sapere da me come si concluderà il percorso, mi ha anche detto in modo velato di essersi affezionato a me, ed io gli ho fatto capire che per me era lo stesso (ho fatto di tutto per evitare ciò, ma i rapporti umani sono complessi).
Per adesso ho visto due volte il nuovo collega, che è quasi mio coetaneo: ha 31 anni (1994) mentre io 26 (1999), il quale ha voluto sapere da me quello che era successo, avendo letto poco la mia cartella, oltre al motivo per cui ho deciso di rivolgermi a psichiatria. Noto che lentamente si sta facendo ma lo vedo ancora teso ed insicuro. Nelle visite spesso capita che dopo aver finito di parlare ci siano dei silenzi abbastanza lunghi tra noi, dove, oltre a vederlo riflettere su quanto detto, mi guarda fisso negli occhi per circa 2 minuti, e devo sempre essere io ad interrompere questi momenti morti (con l'altro medico questo non succedeva, ma vantava anche 5 anni d'esperienza alle spalle), e questo mi mette parecchio a disagio.
Insomma, vedo che tra noi c'è tensione. L'ultima volta si è "smollato" solo quando mi ha chiesto delle ferie, facendomi il quarto grado, e se prendo ancora il diazepam. A questo ho risposto di no, e che per rilassarmi cammino oppure faccio lunghi giri in moto con mio papà, volendo poi sapere qualcosa in più.
In compenso, con lui ho affrontato più approfonditamente certi argomenti (come nella prima psicoterapia), che avevo solo accennato a quello precedente. Ammetto che, nel complesso, è anche un bel ragazzo (non bellissimo di viso, ma attraente), mentre per quanto riguarda me, dicono che sia carina (ho ripreso a truccarmi leggermente anche se fa caldo). Non si tratta di transfert, ma solo di un apprezzamento estetico sul nuovo medico.
Inoltre, in entrambe le volte ho notato che il suo modo di relazionarsi a me rimane sul "tiepido" (inteso come aperto e disponibile), mentre io continuo ad essere sul "freddo" (sono molto più distaccata perché faccio un po' fatica a fidarmi delle persone e non mi piace parlare di me). Forse, essendo entrambi giovani, credo dobbiamo ancora trovare il nostro "ritmo" (come in un ballo di coppia).
Comunque, in psicoterapia affronterò sia la questione lavorativa (sono disoccupata da circa 2 anni e finora ho fatto colloqui solo con gentaglia), sia quella legata allo studio, visto che vorrei studiare Medicina (è il mio sogno da sempre, perché ho frequentato l'ospedale fin dai primi giorni di vita, essendo nata prematura a 25 settimane, successivamente come caso di studio e adesso sto curando la broncodisplasia peggiorata dopo il Covid; inoltre, più studio le materie base di questo CDL, più mi appassiono). Mi è sempre interessato più l'aspetto organico che psicologico dell'essere umano.
Detto ciò, come mi consigliate di comportarmi durante questi momenti morti? Devo aspettare che riprenda a parlare lui? Inoltre, cosa posso fare per sentirmi più a mio agio e per evitare che ci sia tensione e imbarazzo da parte di entrambi?
Grazie a quanti dedicheranno anche solo 5 minuti del loro tempo per rispondermi!
Salve, mi spiace molto per la situazione che descrive poichè comprendo il disagio che può sperimentare e quanto sia impattante sulla sua vita quotidiana. Ritengo fondamentale che lei possa richiedere un consulto psicologico al fine di esplorare la situazione con ulteriori dettagli, elaborare pensieri e vissuti emotivi connessi e trovare strategie utili per fronteggiare i momenti particolarmente problematici onde evitare che la situazione possa irrigidirsi ulteriormente.
Credo che un consulto con un terapeuta cognitivo comportamentale possa aiutarla ad identificare quei pensieri rigidi, disfunzionali e maladattivi che le impediscono il benessere desiderato mantenendo la sofferenza in atto e possa soprattutto aiutarla a parlare con se stessa utilizzando parole più costruttive.
Credo che anche un approccio EMDR possa esserle utile al fine di rielaborare il materiale traumatico connesso ad eventi del passato che possono aver contribuito alla genesi della sofferenza attuale.
Resto a disposizione, anche online.
Cordialmente, dott FDL