L'Orbiting: l'archeologia digitale delle relazioni finite

L'orbiting - termine coniato da Anna Iovine nel 2018 - è il fenomeno per cui qualcuno con cui hai avuto una relazione (o quasi-relazione) sparisce dalla tua vita reale ma continua a interagire passivamente con la tua presenza online. È ghosting con finestra sulla vittima. È dire "non voglio più averti nella mia vita" mentre controlli cosa hai mangiato a pranzo.

Prima di Instagram, quando una relazione finiva, finiva davvero. Certo, potevi incrociare l'ex al supermercato e fingere di essere improvvisamente affascinato dall'etichetta dei ceci in scatola. Ma erano eventi rari, gestibili, con un inizio e una fine. Ora? Ora l'ex è ovunque e da nessuna parte contemporaneamente.

Negli anni '90, per sapere cosa faceva un ex dovevi diventare stalker analogico. Chiedere agli amici comuni, fare "casuali" passaggi sotto casa, frequentare i suoi posti nella speranza di un incontro "fortuito". Era stalking artigianale che richiedeva dedizione, benzina e una dignità da sacrificare. Ora basta un tap.

L'avvento di Facebook cambiò tutto. Improvvisamente potevi vedere l'ex che aggiornava lo stato relazionale (il momento più drammatico del 2008), pubblicava foto con nuove persone, check-in in posti che erano "i vostri posti". Ma almeno Facebook aveva la decenza di essere reciproco: se tu vedevi loro, loro vedevano te. C'era una sorta di Mutua Distruzione Assicurata emotiva.

Instagram ha perfezionato la tortura rendendola asimmetrica. Puoi guardare senza essere visto (stories con account fake), puoi interagire senza interagire (like "accidentali" ritirati dopo 0.3 secondi), puoi esistere nella loro vita senza esistere. È voyeurismo 2.0 con plausible deniability incorporata.

Ma perché lo facciamo? Perché manteniamo gli ex nell'orbita digitale quando nella vita reale attraverseremmo la strada per evitarli?

Prima di tutto, c'è la curiosità morbosa. Il cervello umano odia i finali aperti più di Netflix che cancella serie al cliffhanger. Vogliamo sapere come va a finire la storia, anche se la storia non ci include più. Stanno meglio senza di noi? Peggio? Uguale? Il nostro ego ha bisogno di dati per processare la perdita.

C'è poi il fenomeno del "confronto sociale ascendente". Guardiamo la vita dell'ex per assicurarci di stare meglio. Ogni loro foto triste è una piccola vittoria. Ogni segno di felicità è una pugnalata. È masochismo digitale mascherato da curiosità innocente.

L'orbiting soddisfa anche il bisogno di controllo. Non possiamo controllare il fatto che la relazione sia finita, ma possiamo controllare l'accesso alla loro vita digitale. È l'illusione di mantenere un collegamento, anche se unidirezionale. È come tenere la scatola dei ricordi, solo che la scatola si aggiorna in tempo reale.

Ma la ragione più profonda è che l'orbiting ci permette di evitare il lutto vero. Finché vediamo l'ex online, in qualche modo è ancora nella nostra vita. Non dobbiamo processare completamente la perdita. È denial digitale, con Instagram come enabler.

Le Instagram stories sono il capolavoro del sadismo sociale involontario. Durano 24 ore, creando urgenza. Mostrano chi le ha viste, creando ansia. Sono casuali abbastanza da sembrare autentiche, curate abbastanza da ferire.

Il momento in cui posti una story dopo una rottura è carico di significato. È la tua prima apparizione pubblica post-relazione. Devi sembrare felice ma non troppo (insensibile), triste ma non troppo (patetico), indifferente ma non troppo (stai fingendo). È calcolo emotivo che neanche la NASA.

E poi c'è The List. La lista di chi ha visto la tua story. La scorri con l'ansia di un detective che cerca indizi. L'ex è lì? In che posizione? Ha visto subito (ossessionato) o dopo ore (casual)? Non l'ha vista (ti ha bloccato dalle stories o genuinamente non gliene frega)?

La story dell'ex è ancora peggio. Ogni frame è analizzato come fosse il codice Da Vinci. Chi è quella persona nel riflesso degli occhiali da sole? Perché è in quel ristorante? È il nostro ristorante? Sta cercando di mandarmi un messaggio? O sto impazzendo?

Il fenomeno del "story-stalking strategico" è reale. Guardi la story da un account fake così non appari nella lista. Oppure aspetti che sia quasi scaduta sperando di perderti nella massa. O la guardi subito per sembrare indifferente. È game theory applicata al dolore emotivo.

Il like post-rottura è un campo minato semiotico. Ogni cuore rosso è carico di potenziali significati. Un like a una foto del tramonto può significare: "Vedo che stai bene e sono felice per te" o "Sono ancora qui se vuoi parlare" o "Ho bevuto troppo vino e sto likando tutto" o assolutamente niente perché era muscle memory del pollice.

Non mettere like può essere altrettanto significativo. È indifferenza performata. "Vedo i tuoi post ma scelgo di non interagire" è un messaggio potente quanto qualsiasi commento.

C'è poi il fenomeno del "like bombing dell'ex". Dopo mesi di silenzio, improvvisamente likano tutto. Ogni foto, ogni meme, ogni pubblicità di cibo per gatti che hai condiviso. È il submarine del like, emergono dal nulla con intenzioni misteriose.

I commenti sono ancora più complessi. Un emoji può essere interpretato in mille modi. 😊 è amichevole o passivo-aggressivo? 🔥 è supportivo o flirting? 💔 è empatia o manipolazione emotiva? È semiotica da guerra fredda.

Niente complica l'orbiting come l'apparizione di un nuovo partner. Improvvisamente il feed diventa un campo di battaglia a tre, dove nessuno ammette di combattere.

Il soft launch del nuovo partner è arte strategica. Prima appaiono mani misteriose nelle foto. Poi due caffè sul tavolo. Poi un'ombra sospetta. È thriller psicologico in formato stories. L'ex guarda, sa, ma non può dire nulla senza ammettere di guardare.

Quando il nuovo partner viene rivelato ufficialmente, inizia la fase del confronto ossessivo. È più bello/a? Più in forma? Più ricco/a? Ha più follower? Il cervello diventa un algoritmo di comparazione che non si ferma mai.

C'è chi fa l'errore fatale: stalking del profilo del nuovo partner. È aprire il vaso di Pandora della sofferenza. Improvvisamente vedi la tua vita che poteva essere, vissuta da qualcun altro. Stesse battute, stessi posti, stesse pose. Sei stato sostituito come un iPhone vecchio.

Il nuovo partner che inizia a seguirti è next level mind fuck. Perché? Curiosità? Marking territory? Genuino desiderio di amicizia? È il mistero del nuovo millennio. La maggior parte sceglie il block preventivo. Alcuni accettano e inizia una guerra fredda di stories passive-aggressive.

Le strategie di sopravvivenza emotiva

L'umanità si divide in tribù basate su come gestisce l'ex sui social. Ci sono i Bloccatori Totali che scelgono la nuclear option immediata. Block su tutto, ovunque, per sempre. Cancellano foto, tag, ogni traccia digitale. È witness protection program emotivo. Pro: pace mentale. Contro: sembri drammatico e l'ex sa di averti colpito.

I Diplomatici Digitali preferiscono l'unfollow ma non block. Rimangono "amici" ma non vedono nulla. È il compromesso adulto. "Non ti odio ma non voglio vedere la tua faccia ogni mattina". Permette reconnection futura senza l'umiliazione del "puoi sbloccarmi?"

I Masochisti Digitali continuano a seguire, guardare tutto, soffrire in silenzio. "Devo vedere per processare" si dicono mentre processano solo dolore. Sono gli stessi che rileggono vecchie chat alle 3 di notte.

I Performer della Felicità non solo tengono l'ex nei follower, ma postano specificamente per loro. Ogni story è curata per dire "guarda come sto bene senza di te". È exhausting ma alcuni trovano catartico.

Gli Strateghi del Soft Block limitano cosa può vedere l'ex senza bloccarlo. Stories solo per "amici stretti" che casualmente non includono l'ex. È passive-aggressive elevato a forma d'arte.

I Ciclici bloccano e sbloccano seguendo le fasi lunari emotive. Lunedì: "Sono forte, posso gestirlo". Martedì: "No, fa troppo male, blocco". Mercoledì: "Ma cosa starà facendo?". È exhausting per tutti i coinvolti.

Il problema fondamentale è che nell'era digitale, il clean break è impossibile. Anche se blocchi ovunque, ci sono sempre vie traverse. Amici comuni che postano foto di gruppo. Tag in vecchi post che rispuntano nei "ricordi". Google Photos che ti ricorda "3 anni fa eri felice, eccoti le prove".

C'è sempre qualche piattaforma dimenticata. Bloccato su Instagram ma non su LinkedIn. Spotify ancora condiviso dove vedi che ascolta "la vostra canzone". Netflix che suggerisce serie "perché tu e [ex] l'avete guardata insieme". È impossibile cancellare completamente qualcuno nell'era dei big data.

I metadati sono il nuovo album dei ricordi. Ogni foto ha coordinate GPS, timestamp, tag nascosti. Cancelli la foto ma l'informazione persiste da qualche parte nel cloud. Siamo haunted dai fantasmi digitali delle relazioni passate.

L'orbiting crea una strana economia dell'attenzione. Ogni view, like, commento diventa currency emotiva. L'ex che guarda tutte le tue stories sta "pagando" attenzione. Tu che non guardi le sue stai "risparmiando" energia emotiva.

C'è inflazione emotiva: all'inizio ogni like dell'ex causa terremoti emotivi. Dopo mesi, diventa white noise. Il cervello si abitua, richiede stimoli sempre maggiori. È assuefazione da orbiting.

Alcuni monetizzano letteralmente l'orbiting. Diventano influencer del breakup, documentando la loro "glow up journey". L'ex diventa contenuto. "Day 47 without toxic people" con selfie strategico. È capitalism emotivo.

Con la realtà aumentata e i social sempre più invasivi, l'orbiting può solo peggiorare. Immagina notifiche tipo "il tuo ex è nel raggio di 500 metri" o "il tuo ex ha guardato il tuo profilo 47 volte questa settimana". È stalking gamificato.

L'AI potrebbe prevedere orbiting patterns. "Basato sui dati, c'è l'87% di probabilità che il tuo ex ti contatti entro 7 giorni". È Minority Report delle relazioni finite.

O forse evolveremo oltre. La Gen Alpha, cresciuta con questa realtà, potrebbe sviluppare anticorpi emotivi all'orbiting. O normalizzarlo completamente. "Certo che seguo tutti i miei ex, chi non lo fa?" diventerà la norma.

Filosoficamente, l'orbiting pone domande interessanti sulla natura delle relazioni moderne. Se continui a esistere nella vita digitale di qualcuno, la relazione è davvero finita? È Schrödinger's relationship: simultaneamente morta e viva finché non apri Instagram.

Baudrillard avrebbe detto che l'orbiting è simulacro di relazione - copia senza originale. Manteniamo l'immagine della connessione senza la sostanza. È hyperreality emotiva.

I buddhisti direbbero che l'orbiting è attaccamento che causa sofferenza. L'incapacità di lasciare andare manifestata in forma digitale. Instagram come samsara personale dove sei condannato a vedere l'ex reincarnarsi in nuove relazioni per l'eternità.

L'orbiting è qui per restare. È il prezzo della connettività infinita, la tassa emotiva del vivere online. Non possiamo tornare ai tempi pre-digitali quando l'ex spariva davvero. Ma possiamo imparare a gestire meglio queste orbite digitali.

La chiave è la consapevolezza. Riconoscere che guardare ossessivamente le stories dell'ex non ti aiuta a guarire. Che mantenere l'orbita prolunga il dolore. Che la closure non arriverà da un like o una visualizzazione.

Ma anche accettare che siamo umani. Che la curiosità è normale. Che ci vuole tempo per lasciare andare. Che a volte guarderemo, e va bene così. L'importante è non rimanere intrappolati nell'orbita per sempre.

Forse la vera saggezza sta nel riconoscere che l'orbiting è sintomo di qualcosa di più profondo: la difficoltà di lasciare andare in un mondo che rende tutto permanente. Ogni relazione lascia tracce digitali indelebili. Siamo archeologi delle nostre stesse vite passate.

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Dott.Francesco Giampaolo

Psicologo - Roma

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