Dott.ssa Laura Ravaioli

Dott.ssa Laura Ravaioli

psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista

Dissociazione → Strumenti di Valutazione

Attualmente esistono diversi strumenti di valutazione della dissociazione: tra i più importanti ricordiamo la Dissociative Experience Scale (DES), la Dissociative Disorder Interview Schedule (DDIS) e la Structural Clinical Interview for Dissociative Disorder (SCID-D).

Inoltre in molti studi la DES è stata messa a confronto con il Childhood Trauma Questionnaire, al fine di verificare una correlazione tra abuso infantile e disturbi dissociativi.
Tutti questi strumenti concettualizzano la dissociazione più come disturbo che come difesa: molti di essi, come la SCID-D o la DDIS fanno riferimento ai criteri per il disturbo dissociativo nel Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM-IV).

La DES è uno dei pochi strumenti che ingloba all’interno dei suoi items esperienze dissociative anche normali e che non è finalizzato alla diagnosi ma che propone di guardare la dissociazione non tanto quanto una patologia, ma come un continuum di esperienze.
Se vogliamo però valutare la dissociazione come meccanismo di difesa, dobbiamo rivolgerci non tanto a strumenti tipici della dissociazione, ma a scale e modelli dei meccanismi difensivi.
Soppiantata a fine ottocento dal più fortunato concetto di rimozione, la dissociazione difficilmente viene considerata un’operazione difensiva con caratteristiche sue proprie: viene ricordata come meccanismo principale nei disturbi dissociativi per assonanza di termini, ma per molti è ancora sinonimo di scissione, oppure “un incremento della rimozione e della scissione” (Brenner, 1994).
Tra i lavori che annoverano la dissociazione come meccanismo di difesa distinto, troviamo il modello di George Vaillant, la Ego Profile Scale, la Scala di valutazione dei meccanismi di difesa di Perry e la Scala del Funzionamento Difensivo (in Appendice B del DSM-IV).
Anche i test proiettivi, per la loro attenzione alle dinamiche intrapsichiche, ci possono essere molto utili per sapere se il soggetto utilizza la dissociazione come difesa: tra questi vedremo il Rorschach, dove recenti ricerche sulla siglatura hanno portato alla definizione di un “punteggio dissociativo” (Saunders, 1991).

1. Strumenti di valutazione specifici per la dissociazione.

Dissociative Disorder Interview Schedule (DDIS).

Elaborata da Ross, è un’intervista clinica strutturata; nella “versione DSM-IV” essa fa riferimento alle categorie diagnostiche del Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali.
Il soggetto è interrogato su diversi ambiti, che vanno a verificare la presenza di un disturbo di somatizzazione, di un episodio di depressione maggiore o di sintomi positivi della Schizofrenia, tutti items rilevanti per la diagnosi di disturbo dissociativo.
L’intervista è sommistrata solitamente in 30-45 minuti; le domande sono 132 e suddivise in 16 sezioni, ad ognuna delle quali è dato alla fine un punteggio.

Dopo alcune domande su dati anagrafici, nucleo familiare ed occupazione lavorativa, inizia l’indagine sui sintomi:

  • Sintomi Somatici
  • Abuso di Sostanze
  • Storia Psichiatrica: in cui sono indagate eventuali storie di ricovero psichiatrico, di trattamento per disturbi mentali o per problemi emozionali.
  • Episodio Depressivo Maggiore: il cui scopo è determinare se il soggetto soffre o ha sofferto di un episodio depressivo maggiore.
  • Sintomatologia Positiva della Schizofrenia.
  • Stati di Trance, Sonnambulismo, Compagno immaginario.
  • Abuso infantile: indaga se c’è o c’è stato abuso, da parte di chi e la modalità dell’abuso al fine di evidenziarne la severità. Diventano importante questi dati perché, come riporta Gabbard, “poiché ben oltre il 95% dei pazienti con MPD (ora DID) ha una storia di abuso fisico e/o sessuale”.
  • Caratteristiche associate al Disturbo Dissociativo dell’Identità: in cui ad essere indagati sono ritrovamenti in casa di oggetti (gioielli, vestiti, mobilio) di cui l’intervistato non ricorda la provenienza, fogli con una calligrafia che il soggetto non riconosce, situazioni ed incontri raccontati da altri che il soggetto non ricorda, etc.
  • Esperienze e culti del soprannaturale, possessione, esperienze extrasensoriali: in cui è chiesto al soggetto se ha avuto, per esempio, esperienze di telepatia, dejà-vu o di visione del futuro.
  • Disturbo Borderline di Personalità.
  • Amnesia Dissociativa.
  • Fuga Dissociativa.
  • Disturbo di Depersonalizzazione.
  • Disturbo Dissociativo dell’Identità.


Si procede quindi allo scoring, ed ogni eventuale diagnosi segue strettamente i criteri del DSM-IV. La DDIS è stata somministrata su oltre 500 soggetti ed ha mostrato una diagnosi di falso positivo riguardo al Disturbo Dissociativo dell’Identità del 1%; su 196 casi diagnosticati ha mostrato una sensibilità del 95.4% (Ross, 2001).


Structural Clinical Interview for DSM-IV (SCID-D).

E’ un’intervista semistrutturata di 200 items, modellata su analoghe interviste strutturate del DSM-IV; esplora la presenza di un disturbo dissociativo, il tipo di disturbo (Amnesia, Fuga Dissociativa, Disturbo Dissociativo dell’Identità) e cinque aree sintomatiche specifiche:

  • Depersonalizzazione.
  • Derealizzazione.
  • Amnesia.
  • Confusione sull’Identità.
  • Alterazioni dell’Identità.

Valutando se tali sintomi sono assenti, lievi, moderati o gravi. Draijer e Boon in uno studio del ’93 hanno messo a confronto DES e SCID-D da cui emerge che entrambi gli strumenti misurano il disturbo dissociativo in modo valido e attendibile (Draijer & Boon, 1993).


Dissociative Experience Scale (DES).

La DES è stata elaborata da Eve Bernstein Carlson e Frank W. Putnam; è una scala autosomministrata, composta di 28 items, completabile in dieci minuti ed altrettanto velocemente conteggiabile.
Gli items descrivono diverse esperienze dissociative (come sensazioni di depersonalizzazione e derealizzazione, disturbi nella memoria ed attenzione) molte delle quali non sono considerate patologiche, ed il soggetto deve indicare con quale frequenza tali esperienze gli accadono.

Un item della DES potrebbe essere questo:
“Alcune persone hanno esperienza di trovare nuovi oggetti tra le cose di loro proprietà che non ricordano di avere comprato. Segni sulla linea la percentuale che meglio indica le volte che tale esperienza Le accade”.
Nella prima versione la linea portava solo due riferimenti: all’estrema sinistra 0%, all’estrema destra 100%.
La nuova versione della DES ha già indicate le percentuali intermedie tra 0 e 100, ed il soggetto deve semplicemente cerchiare quella che ritiene più adatta; questa modificazione ha reso più veloce il conteggio finale, che si ottiene sommando il punteggio dei singoli items e dividendo per 28.
Otterremo quindi un punteggio che varia da 0 a 100; punteggi alti alla DES non provano che il soggetto abbia un disturbo dissociativo, ma consigliano un ulteriore accertamento clinico; la DES non è uno strumento diagnostico, ma è uno strumento di screening, tuttavia “più alto è il punteggio DES, più è probabile che il soggetto soffra di Disturbo Dissociativo dell’Identità” (Ross, 2001).

La DES ha dimostrato una buona validità, una buona attendibilità e consistenza interna (Bernstein & Putnam, 1986); ha mostrato di avere buone proprietà psicometriche (Ross), tra cui la capacità di discriminare il DID dal gruppo di controllo e da altri gruppi diagnostici, proprietà confermate anche dalla metanalisi di Van Ijzendoorn e Schuengel che ha preso in esame oltre 100 studi pubblicati sulla DES, e che coinvolge 11.914 soggetti (Van Ijzendoorn & Schuengel, in stampa). In uno studio di Ross & altri la Dissociative Experience Scale è stata utilizzata come strumento di screening per la dissociazione su una popolazione normale (non clinica) e affiancata dalla Dissociative Disorder Interview Schedule (DDIS), dal SCL-90 (Derogatis, Covi, Lipman 1973) e dal Millon Clinical Multiaxial Inventory (MCMI): è stata dimostrata la validità della DES e confrontandola con la DDIS è emersa una somiglianza tra gli items, specialmente nella sezione della DDIS dedicata alle caratteristiche associate al disturbo dissociativo dell’identità, per cui gli strumenti rappresentano due diverse modalità di misurare lo stesso fenomeno, uno tramite self-report, l’altro attraverso un’intervista strutturata.


2. Strumenti di valutazione dei meccanismi di difesa (che prendono in considerazione la dissociazione).


Ego Profile Scale


Elaborata da Semrad, ha alla base il concetto di difesa come cluster di comportamenti ripetitivi che mette in atto l’Io al fine di sopperire alla sua necessità oggettuale. Come concettualizza il modello di Vaillant, certi meccanismi normali nella fase di sviluppo infantile, diventano patologici e disadattivi se permangono nell’adulto. Per il suo ritorno a meccanismi primitivi, lo scompenso regressivo (causato da una perdita oggettuale inaccettabile e frustrante) è considerato quasi “un salto indietro nel tempo” ed il soggetto per tornare ad un livello di funzionamento sano dovrà ripercorrere la stessa strada che ha compiuto in fase di crescita, attraverso l’utilizzo di difese sempre meno patologiche.

La scala è composta di 45 items: ogni item ottiene un punteggio che va a sommarsi agli altri items che indicano lo stesso tipo di comportamento: abbiamo in totale nove modalità di comportamento, organizzati in tre gruppi:

  • i comportamenti narcisisti, che comprendono modalità di diniego, proiettive e di distorsione e rappresentano i comportamenti più primitivi;
  • i comportamenti affettivi, che comprendono meccanismi ossessivo-compulsivi, ipocondriaci e nevrastenici;
  • i comportamenti nevrotici, che rappresentano il polo “maturo” di difese messe in atto dall’Io, che comprendono modalità di dissociazione, somatizzazione e ansia d’allarme. La collocazione della dissociazione in questa categoria è giustificata dal fatto che “l’Io è in grado di chiedere agli oggetti una gratificazione” ed è “pronto a sacrificarsi non solo per l’omeostasi interna, ma anche per la costanza oggettuale” (Lingiardi e Madeddu, 1994).



Defense Mechanism Rating Scale (DMRS) di Perry.

E’ nata negli anni ottanta sotto la spinta delle ricerche sui meccanismi di difesa per creare l’asse aggiuntivo di valutazione degli stili difensivi nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali.
Nella DMRS sono elencati 27 meccanismi di difesa, ognuno di essi accompagnato da una definizione, dalla funzione che ha per il soggetto e dalla diagnosi differenziale con i meccanismi più simili; è indicato anche il metodo di valutazione, con esempi per verificare l’assenza/presenza del meccanismo. L’uso assente porta a punteggio 0, l’uso probabile a punteggio 1, l’uso certo porta a punteggio 2.
I meccanismi sono divisi in sette livelli, ed ogni livello ha un “peso” diverso, che corrisponde a un numero per cui ogni singola difesa verrà moltiplicata. (vedi griglia di valutazione, in Lingiardi e Madeddu, 1994).
La dissociazione viene indicata come appartenente al livello delle difese nevrotiche, insieme a rimozione, formazione reattiva e spostamento. (Per una versione italiana della scala, fare riferimento a Lingiardi e Madeddu, 1994).


Defensive Functioning Scale.


Questa scala fa parte dell’appendice B della quarta edizione del Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM-IV); è stata illustrata da Perry al 146° Congresso dell’American Pychiatric Association, e rappresenta la battaglia finale di una lunga “guerra” per l’inserimento di un Asse per la valutazione delle difese nel sistema DSM.
Nel 1977 Spitzer incaricò un gruppo di psicoanalisti di accordarsi su una lista di meccanismi di difesa da inserire nel DSM-III, ma non venne raggiunto un accordo. E’ solo nel DSM-III-R che questa lista, di 18 meccanismi di difesa, venne di fatto redatta ed inserita nel “Glossario dei Termini Tecnici”.
Tuttavia si era ancora lontani dall’introduzione di una scala per la valutazione dei meccanismi difensivi, e come ricordano Lingiardi e Madeddu lo stesso DSM-IV Option Book (APA, 1991) si dimostrava scettico su tale scala, che veniva considerata “troppo ingombrante” e troppo “psicodinamica” per essere utilizzata da clinici di altri orientamenti (Lingiardi e Madeddu, 1994).
Comunque nello stesso DSM-IV Option Book fu ospitata, in appendice, la Defensive Styles Rating Scale (DSRS), che si rifaceva alla scala di valutazione dei meccanismi di difesa di Perry e distingueva negli stili difensivi sette livelli di adattività.

Anche la Defensive Functioning Scale divide i meccanismi di difesa (diciotto) in sette Livelli Difensivi: dal livello 7: altamente adattivo, al livello 1: di cattiva regolazione difensiva. La dissociazione viene collocata al livello 6: il livello delle inibizioni mentali (formazioni di compromesso); accostata direttamente al meccanismo della rimozione come “difese isteriche”, è considerata allo stesso livello di isolamento, intellettualizzazione e annullamento retroattivo (“difese ossessive”), spostamento e formazione reattiva.
Tutti questi meccanismi condividono la caratteristica di escludere dalla coscienza “idee, sentimenti, ricordi, desideri o paure che possono rappresentare una minaccia” (Defensive Functioning Scale, APA, 1993).
Il funzionamento difensivo del soggetto è rappresentato dall’elenco delle sette difese che utilizza più di frequente (difese attuali), partendo dalla più rilevante, e dal livello difensivo indicato come predominante (le informazioni sul soggetto sono ottenute tramite colloquio clinico).


Defense Style Questionnaire (DSQ).


E’ stato ideato da Bond e colleghi e successivamente modificato da Bond, Vaillant ed altri e si è dimostrato nel tempo uno strumento valido e attendibile per la misurazione dei meccanismi di difesa (Romans, Martin et altri, 1999). Nell’ultima versione si presenta come un questionario autovalutativo di 40 items che presentano delle affermazioni a cui il soggetto deve indicare il suo grado di accordo/disaccordo in una scala a 9 intervalli.
I 20 meccanismi di difesa sono raggruppati in tre categorie:

  • Quattro difese mature.
  • Quattro difese nevrotiche.
  • Dodici difese immature (tra cui la dissociazione).


Per ognuno dei 20 meccanismi di difesa sono presentati due items, ed un punteggio alto indica un uso maggiore di difese mature (Romans, Martin et altri, 1999).
Nella prima versione, presentata da Lingiardi e Madeddu, il DSQ si presentava con un raggruppamento di quattro stili difensivi, ma non nominava specificatamente la dissociazione.


3. Strumenti di valutazione della personalità e dissociazione


I test proiettivi di personalità ci danno modo di guardare la persona nel suo insieme, di fare ipotesi sul suo funzionamento, secondo la sua reazione alle diverse tavole presentate.
I test proiettivi si basano sul meccanismo della proiezione, cioè l’attribuzione di caratteristiche, pulsioni del soggetto di fronte a situazioni o stimoli ambigui; al al soggetto viene fatta consegna che “nessuna risposta è giusta, nessuna è sbagliata”, per cui potrebbe dare un’infinita variabilità di risposte; si presuppone che il soggetto “ci metta del suo”, e che le sue risposte ci possano dire qualcosa della sua personalità.

I test proiettivi più “classici”, e per cui sono stati fatti un numero maggiore di studi, sono il test di Rorschach e il Thematic Apperception Test.
Essi vengono spesso somministrati insieme nelle batterie di tests, in quanto il Rorschach, presentando stimoli molto ambigui (macchie), ci consente di fare inferenze sul funzionamento più primitivo del soggetto, mentre il TAT, che presenta stimoli più strutturati (disegni) ci dà informazioni su come il soggetto affronta situazioni di vita quotidiana.


Il Test di Rorschach.


Ideato da Rorschach nel primo decennio del Novecento, questo test è composto di 10 tavole, ottenute inizialmente facendo cadere delle gocce di inchiostro su un foglio di carta, poi ripiegato su se stesso, e che hanno disegnato delle macchie quasi simmetriche. Alcune tavole sono in bianco e nero con contorni netti, altre in chiaroscuro, altre colorate.
I soggetti, interrogati su cosa vedono nella tavola, sono valutati in base alla localizzazione del percetto sulla tavola, a come tale percetto è stato visto e quali caratteristiche della macchia lo hanno determinato (il colore, la forma, il chiaroscuro) e in base al contenuto.
Come ho accennato prima, il test presenta stimoli ambigui, delle macchie, in cui non esistono risposte giuste o sbagliate, ma “tutto è possibile”, e a seconda delle risposte del soggetto si fanno inferenze sulla sua personalità.
Il Rorschach è stato fatto oggetto di numerosi studi al fine di verificare la sua validità scientifica che oggi è ampiamente documentata: alcune correlazioni tra risposte al Rorschach e tratti di personalità sono state altamente verificate (come la correlazione tra risposte al rosso e tratti aggressivi) mentre altre sono ancora indagate.

Le tavole Rorschach presentano stimoli molto vaghi, che favoriscono una proiezione massiccia della parti più profonde della personalità: rispetto agli altri test proiettivi è dunque il meno strutturato, e talvolta può essere disturbante per pazienti molto gravi.
Non esiste molta letteratura sulla capacità specifica del Rorschach di valutare la dissociazione, e spesso ciò che viene preso in considerazione è la dissociazione come disturbo clinico; Lerner fa una rassegna dei diversi lavori sulla valutazione del paziente dissociativo attraverso il test di Rorschach (Lerner, 2000).
Wagner, Allison e Wagner (1983) evidenziarono diverse caratteristiche dei protocolli Rorschach dei pazienti con personalità multipla, ovvero:

  • un numero elevato di risposte di movimento
  • almeno due risposte di movimento umano qualitativamente diverse
  • una percezione dell’oppressione (attacco, soggiogamento, costrizione) in almeno una delle risposte di movimento
  • almeno tre risposte di colore in cui la CF+C>FC
  • almeno un percetto di colore con connotazione positiva e un altro con connotazione negativa.


Il movimento è stato preso in considerazione anche da Saunders nella definizione dei suoi due punteggi per la dissociazione: il movimento atipico e il punteggio dissociativo.


Il movimento atipico si distingue da movimenti passivi e movimenti attivi per il fatto di essere la “disgregazione temporale di un’azione, che viene percepita e descritta come se fosse accaduta nel passato, o come se stesse per accadere nel futuro, o ancora, come se fosse congelata in uno stato di sospensione” (Saunders, 1991). Questo congelamento nella risposta al test può essere considerata una modalità dissociativa di interpretare gli stimoli, di far fronte all’ansia quando il soggetto ha davanti qualcosa che non conosce; la stessa modalità che permette al trauma di rimanere in uno stato tra la consapevolezza e il non ricordo, tra conscio e inconscio.
Il movimento atipico si distingue anche per il fatto di essere compiuto da un soggetto “anonimo”, definito in modo impersonale e che non compare nella tavola (per es. “qualcuno ha spruzzato vernice”).


Il punteggio dissociativoè formato da sei indici Rorschach:

  • cambiamenti estremi e insoliti nei percetti della medesima tavola
  • risposte insolite e spesso arbitrarie in cui le distanze sembrano esagerate o le combinazioni spaziali incoerenti
  • riferirsi a forme rovesciate o identificare percetti capovolti rispetto all’orientamento della tavola, senza che il soggetto senta il bisogno di girarla
  • forme viste attraverso mezzi oscuranti come veli o nebbie
  • una modalità particolare di vedere i percetti frammentati, che va oltre il dettaglio umano insolito o il dettaglio animale
  • frequenti vuoti di memoria che suggeriscono un’amnesia psicogena tra le risposte spontanee e l’inchiesta al test, oppure il passaggio da percetti elaborati, simili a flashbacks e a risposte convenzionali sia entro che tra le tavole (Saunders, 1991).


Nella valutazione finale al test di Rorschach, riveste particolare significato anche l’atteggiamento del soggetto al test, il suo comportamento e le verbalizzazioni durante la somministrazione: Armstrong propone un approccio al paziente dissociativo in cui “tutti gli aspetti divergenti del Sé sono invitati a partecipare alla valutazione. Vengono fatti tentativi di minimizzare le paure relative al trauma e la confusione relativa al Disturbo Multiplo di Personalità, facendo familiarizzare il paziente con le procedure testistiche e l’ambiente e sollecitandolo a fare domande” (Armstrong, 1991).


La somministrazione del test è preceduta da un’intervista clinica, e seguita da una seduta di follow-up per verificare il riscontro del soggetto al test. Quest’approccio, come afferma Lerner, “non è solo sollecito ed umano, è anche coerente con le consolidate pratiche di indagine testistica” (Lerner, 2000).
Un altro importante contributo di Armstrong nella definizione di meccanismi dissociativi attraverso il Rorschach è l’indice di contenuto traumatico, ovvero la somma delle risposte aggressive, morbose, sessuali, anatomiche e di sangue diviso il numero totale di risposte; i protocolli dei pazienti dissociativi presentano un alto numero di percetti che ricordano il trauma, per quel meccanismo di coazione a ripetere che dovrebbe permettere al soggetto l’elaborazione e il fronteggiamento attivo, mentre spesso diventa un circolo vizioso.
Lerner riporta il protocollo di una donna reduce da un incidente in cui delle 22 risposte che aveva date, otto erano riferibili al trauma: il contenuto comprendeva risposte di sangue in cui veniva negata la perdita del marito (“braccia serrate insieme”) e alcuni percetti morbosi come quello di “un cranio triste” venivano poi negati all’inchiesta, come modalità di difesa; “con questi pazienti, insieme ai contenuti grezzi, vi sono varie manovre difensive, come i vuoti di memoria e il ritiro in uno stato simile alla trance, che rappresentano altrettanti modi di escludere se stessi, nell’immediato, dal materiale testistico” (Lerner, 2000).


Il Thematic Apperception Test (TAT).



Il TAT è uno strumento proiettivo che consiste in diverse tavole, in bianco e nero, che rappresentano individui e gruppi in tipiche situazioni quotidiane; al soggetto viene chiesto di formulare una storia, sulla base del disegno, che abbia un inizio, uno svolgimento ed una fine. Alla base vi è sempre il meccanismo della proiezione, anche se, rispetto al Rorschach, il TAT presenta stimoli molto meno ambigui, e quindi una minore variabilità di risposta; la soggettività della risposta ed il meccanismo proiettivo non è tanto nella modalità di percezione della tavola, ma soprattutto nella formulazione della storia e nell’attibuzione ai personaggi di intenzioni, comportamenti, paure, che si può supporre facciano parte della vita interiore del soggetto.
“Si crede che le storie possano fornire informazioni cliniche sugli impulsi consci ed inconsci dell’individuo, sui suoi desideri, difese, fantasie, conflitti, e percezioni” (Alvarado, citato in Pica,2001).


La mancanza di un sistema universalmente riconosciuto di interpretazione delle risposte, ha costituito un problema nella definizione della sua validità ed scientificità, che ultimamente è stata messa in discussione.
Inoltre il fatto che i disegni abbiano una grafica molto “vecchia” e ritraggano personaggi in vestiti e pettinature tipici della metà del secolo, potrebbe ostacolare la proiezione dei vissuti, mancando per il soggetto una “identificazione” con i personaggi dei disegni; questi appaiono troppo lontani alla quotidianità, soprattutto per i bambini e gli adolescenti dei miei tempi.


Il TAT come misura della dissociazione è stato esaminato, tra gli altri, in uno studio di Pica (Pica, Beere, Lovinger, Dush; 2001); i ricercatori hanno confrontato le risposte al TAT di diciannove pazienti dissociativi con quelle del gruppo di controllo, composto di diciannove pazienti psichiatrici con diagnosi diversa da quella di diturbo dissociativo, sulla base di quattro indici:

  • L’Emotionality Index (indice di emozionalità): “un punteggio sviluppato (...) per verificare la frequenza dei riferimenti emozionali fatta dai partecipanti”; gli autori indicano come riferimenti emozionali, “le affermazioni dei sentimenti, includendo ma non limitandosi al sentirsi felici, arrabbiati, tristi, impauriti, sorpresi, etc.”.
  • Il Trauma Index (indice del trauma): definito attraverso la presenza nel test di “risposte narranti violenza fisica, omicidi, torture, violenza domestica, di bambini molestati, abbandono, abusi etc.”.
  • Il Dissociation Index (indice di dissociazione): in cui le risposte di dissociazione sono ritrovate tra quelle “in cui un personaggio o diversi personaggi (del test) sono descritti avere esperienze di dissociazione, esperienze fuori dal corpo, entrare in trance, avere esperienze di flash-backs, e la presenza di alters che prendono il posto dei personaggi”.
  • L’ Object-relations Index (indice delle relazioni oggettuali): dove il punteggio indica la presenza/assenza di relazioni oggettuali nelle storie narrate; questo indice comprende due tipi di risposte “risposte narranti l’interazione tra personaggi (parlare, abbracciare, lottare, lavorare insieme, fare uno scherzo, etc) e risposte che indicano il senso di intimità tra i personaggi (sentirsi vicino, attaccato, intimo, innamorato, distaccato, isolato. disinteressato, etc.)” (Pica, Beere, Lovinger, Dush; 2001).



Ciò che gli autori si aspettavano di trovare nelle storie del TAT era:

  • un minor numero di riferimenti emotivi in pazienti dissociativi rispetto al gruppo di controllo (secondo l’Emotionality Index).
  • un maggior numero di risposte traumatiche nei pazienti dissociativi rispetto al gruppo di controllo (secondo il Trauma Index).
  • un numero maggiore di risposte dissociative rispetto al gruppo di controllo (secondo il Dissociation Index).
  • una maggiore distanza interpersonale tra i personaggi nei pazienti dissociativi rispetto alle storie del gruppo di controllo (secondo l’Object-Relations Index).



I risultati hanno mostrato la capacità del TAT di discriminare tra il gruppo di pazienti dissociati e il gruppo di controllo; in particolare “i pazienti dissociativi raccontano storie su personaggi che sono soli nel mondo, il cui mondo è segnato da traumi, e che sperimentano fenomeni simili a quelli dissociativi.
Mostrano inoltre la tendenza verso il soprannaturale”; dal punto di vista del comportamento di fronte alle tavole presentano “reattività alle tavole, cambiamenti di stato, ed amnesia durante l’intervista”(Pica et al., 2001). Interessante è la reazione di questi pazienti di fronte a queste tavole: 6GF, 7GF, 8BM, 12M e 14, in cui si sono verificati episodi di trance, risposte di trauma e dissociazione, oppure le tavole sono state chiamate “diaboliche”o “disgustose” e gettate sul tavolo; tali tavole sono solitamente interpretate come indicative del rapporto con i genitori.
Trovo questo studio interessante, specie per mostrare l’uso del TAT come misura della dissociazione, tuttavia i risultati non si possono generalizzare, per la bassa numerosità e la predominanza di pazienti donne del campione.




La dissociazione come meccanismo di difesa - Dott.ssa Laura Ravaioli

L’articolo vuole esemplificare i diversi aspetti in cui si può considerare la dissociazione: come disturbo clinico identificabile nella categoria dei Disturbi Dissociativi secondo il DSM-IV, come fenomeno facente parte delle esperienze normali di un individuo e come meccanismo di difesa; in particolare è ...continua

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