Dott.ssa Letizia Ciancio

Dott.ssa Letizia Ciancio

Psicologa, Specializzanda in Psicoterapia, Coach PCC-ICF, Preparatore mentale Federale FITP

Frustrazione di una madre

Salve, proverò a spiegare come mi sento. Sono una madre separata da 13 anni, ho 63 anni. Ho tre figli poco più che ventenni, maschi, desiderati e avuti a 40 anni. Purtroppo alla nascita degli ultimi fui licenziata da un buon lavoro. Con il padre decidemmo che restassi a casa con loro fino alle elementari, cosa che a me faceva molto piacere essendo tutti e tre molto piccolini. Inoltre la spesa per il nido sarebbe risultata davvero esosa. Tutto andò bene per qualche anno, pur con la difficoltà di gestire casa e figli praticamente da sola, perché il padre lavorava tutto il giorno. All'ingresso degli ultimi alle elementari iniziai a cercare lavoro, ma purtroppo trovai solo porte chiuse. L'età, 46 anni, e tre figli piccoli non erano un buon curriculum. Ho continuato a cercare, ma nel frattempo il rapporto con il padre si è incrinato, fino a deteriorarsi. Venivo accusata di essere troppo "rompiscatole", perché "pretendevo" attenzione e aiuto morale da lui. Siamo così arrivati alla separazione (voluta da me), anche perché lui aveva una relazione. Lui non l'ha digerita, perché voleva fare il "separato in casa". Mi ha accusato di avergli "rubato la casa", in quanto il giudice ha dato a me il collocamento nella casa familiare, di sua proprietà. La separazione è stata, ed è tuttora, conflittuale, sempre per lo stesso motivo, ma anche perché in questi anni ulteriormente trascorsi non sono riuscita a trovare lavoro. Per lui sono una "ladra e mantenuta". Ha più volte tentato di togliermi i figli per riottenere la casa, ma ha sempre perso i ricorsi. Detto ciò, il problema principale ora è questo: i ragazzi, sempre molto uniti a me e soprattutto da quando sono adolescenti sempre dalla mia parte, oggi pur continuando a disprezzare il padre per come mi tratta e perché dalla separazione quasi scomparso con loro (erano bimbi di 9-8-8anni), se non per il mantenimento, oggi mi trattano male. Come? Non mi ascoltano, nemmeno se parlo del tempo, non mi aiutano, non mi apprezzano, non mi dimostrano affetto. A volte alzano la voce scocciati. Solo se hanno davvero bisogno di me, sono tutte moine. È brutto dirlo, ma approfittano di me perché sanno che non riesco a dire loro di no e a essere arrabbiata per più di un minuto. In realtà solo i più piccoli, gemelli. Il grande mi rispetta e mi dimostra attenzione. So perfettamente che è una forma di "ribellione" alla presenza genitoriale. Ormai il loro desiderio è di vivere per conto loro e lo capisco bene. Ma con il padre non si comportano così, non reagiscono, non gli dicono ciò che pensano di lui, non mi difendono (tranne sempre il grande). Lo vedono per qualche ora 4/5 volte l'anno, lui elargisce soldi (è benestante), ma non c'è alcun tipo di rapporto affettivo o di confidenza. Con me sì, da sempre. Tuttora se stanno male è da me che vengono e si confidano. Ma poi, passato quel momento, divento invisibile. Ho come la sensazione che mi disprezzino, e penso perché in fondo a parte fare la madre non ho fatto altro. Io stessa mi sento in colpa, ma mi aspetto da loro amore. Sbaglio, lo so, ma tutto questo mi rende fragile e triste. Non so come affrontare la cosa, se ignorare o pretendere. Loro sono la mia vita e ho paura che si allontanino. Help. Grazie

Cara Mamma,

il “msetiere” del genitore, assieme a quello dell’insegnante (e dello psicologo), diceva Freud, sono i più difficili da sostenere. Perché in essi, ciò che offriamo è la nostra identità, la nostra persona nella sua interezza e integrità. Nel suo caso, perdere il lavoro in un’età così centrale della vita e in una fase così delicata, è sicuramente stato un trauma, un “lutto” sul piano psicologico, che magari non ha avuto né modo né tempo di elaborare appieno, ma che certamente ha influito sulla sua identità personale, permettendo ai giudizi provenienti dall’esterno di intaccare la sua autostima. In questo senso è come se si trovasse in una sorta di “impotenza appresa”: pur sapendo intimamente tutto ciò che ha fatto e dato in questi anni, allo stesso tempo ha come la sensazione che non sia abbastanza… o forse anche (ma questo lo può sapere solo lei) di non essere all’altezza. Dalle sue parole ho come l’impressione (ma premetto che potrebbe essere solo una MIA impressione) che di fondo ci sia un senso di colpa latente, come se in qualche modo ci fosse una sua resposabilità, non tanto per ciò che ha fatto, quanto per il suo modo di ESSERE. E qui torniamo al tema dell’identità… Noi tutti, specialmente noi donne, abbiamo vari livelli di identità: come Donne, come madri, come professioniste. L’integrità avviene quando tutte queste dimensioni dell’identità lavorano in sinergia e coerenza. Quando qualcuna di queste è in sofferenza, l’intera persona ne risente e si crea una sofferenza sorda e costante, che vela di grigio il nostro sguardo sul mondo. Si tratta di rimettere in ordine tutti i pezzi di sé, un passo ala volta, con amore e pazienza, affinché ritrovi il suo Centro e il quadro d’insieme si ricomponga. Posso immaginare, pur nella differenza delle situazioni di ognuno, quello che sta attraversando, avendo vissuto una condizione molto vicina alla Sua e ha tutta la mia comprensione. Non si perda d’animo e si rivolga a un professionista per farsi supportare. Se vuole, io ci sono.