Dott.ssa Maria Grazia Antinori

Dott.ssa Maria Grazia Antinori

Psicologa, Psicoterapeuta

L'attacco di panico, un esempio clinico

Il terremoto dentro


L’emozione della paura espressa o implicita, accompagna spesso i racconti dei pazienti in psicoterapia.

Il vissuto della paura, individuale o collettiva, se giustificata da un evento ambientale, è un prezioso strumento di adattamento, infatti, lo stato d’allarme attiva l’organismo, rendendolo vigile e pronto a rispondere a ogni evenienza e necessità. Il timore può trasformarsi in zavorra disfunzionale quando non è motivato da un pericolo esterno, ma piuttosto da una preoccupazione interiore, un conflitto inconscio proiettato su oggetti esterni.

Nella pratica clinica, la paura prende spesso la forma dell’attacco di panico che è l’espressione “della paura di aver paura”, sostanzialmente una malattia della paura. Chi ne soffre tende ad associare e a spiegare il panico, ossia uno stato acuto di angoscia accompagnato da sintomi fisici quali tachicardia, difficoltà respiratorie ecc, con il luogo e le condizioni in cui questo accade.

Raccogliendo la storia di questi pazienti, è tipico come descrivano eventi, esperienze difficili e traumatiche della loro vita, con assoluta leggerezza come se non li riguardassero direttamente e spesso non riescono ad associare la situazione vissuta emotivamente, con il sintomo.
Chi soffre di attacchi di panico, vive in un mondo fobico, pieno di divieti, obblighi, percorsi già fissati che sono vissuti come immutabili. Si trova paradossalmente a essere prigioniero di una realtà che non gli piace e non gli appartiene, ma di cui non può farne a meno perché altrimenti si sentirebbe perso e spaesato. Non si può rinunciare alla protezione della prigione, ma la sua costrizione è allo stesso tempo intollerabile. Il paradosso, per sua stessa definizione, è irrisolvibile perché ogni scelta è perdente e quindi impraticabile. Il conflitto è così acuto da non essere esplicitato con le parole ma spostato sul piano somatico con l’attacco di panico.
E’ proprio l’assenza del pensiero che scatena l’attacco di panico, il poter riconoscere l’emozione disturbante, può diventare la chiave per liberarsi dalla paura.

La storia di Carlo
Un esempio interessante di come si possano intrecciare e sovrapporre paure individuali e collettive, è la storia di Carlo, quarantaquattro anni, romano. Egli come tanti in città, ha sentito in piena notte, le forti scosse del recente terremoto con epicentro in Abruzzo, tanto da indurlo a scendere con la moglie, in strada, dove ha trovato un buon numero di vicini .
Trascorse un paio d’ore, tutto sembra tornato tranquillo, la coppia rincasa cercando di sfruttare le poche ore di sonno rimaste. Il giorno dopo, come tutti, scoprono la gravità del sisma abruzzese e soprattutto del suo drammatico carico di vittime e di danni che, per loro fortuna, non li ha toccati direttamente se non per il vissuto di grande angoscia.
La giornata successiva trascorre apparentemente, come tutte le altre, Carlo è contento della vita attuale, gli piace il suo lavoro e soprattutto è felice per il recente matrimonio. Fino a tre anni prima, viveva ancora con la mamma nell’appartamento di famiglia. Aveva avuto nel passato, altre fidanzate ma nessuna con cui sentisse il desiderio di convivere, gli dispiaceva e preoccupava lasciare sola la mamma, vedova da circa dieci anni.
Carlo finisce di lavorare presto, rientra nella sua casa e scopre “il buio.” L’appartamento vuoto, gli sembra diverso, si sente solo, piccolo e sperduto. E’ terrorizzato. Quello è il suo spazio familiare, ma incredibilmente proprio in questo luogo, sente crescere il terrore per le ombre. Gli manca il fiato, suda, brividi freddi salgono lungo tutto il corpo, il pensiero torna alle scosse della notte precedente.
Il buio e il terremoto diventano un tutt’uno improvvisamente si scopre spaventato di una notte che potrebbe portare la catastrofe, pensa alla possibilità di nuove scosse. Eppure durante il giorno si sentiva a suo agio con i colleghi, era il solito Carlo, con il gusto per la battuta facile. Si considera una persona serena, non riesce a spiegarsi lo stato di terrore, la sovrapposizione della paura del terremoto e del buio. Teme di restare solo in casa, non riesce a dormire, è profondamente angosciato e preoccupato. La sua parte adulta cerca, senza successo, di calmare il bambino spaventato che sente aleggiare presenze inquietanti in quell’appartamento che fino a poche ore prima, era il luogo più accogliente e sicuro.
Alla luce del sole, riesce a lavorare, anche se ha perso la sua solita allegria e tende, a tratti, a ritirarsi in se stesso. La notte è il momento più difficile, il sonno e disturbato e discontinuo. Lascia aperte le tapparelle, adotta drasticamente la posizione prona per controllare in piena libertà la stanza, a tratti si addormenta ma resta in uno stato di preallarme pronto ad alzarsi al primo accenno di pericolo.
Alla paura del buio si associa un’altra complicazione, sente la presenza di “qualcosa, di qualcuno”, uno spirito, magari il diavolo in persona. E’ un pensiero sconvolgente, è la prima volta nella sua vita che aleggia una simile fantasma che prende fattezze quasi concrete, arriva al punto di rinunciare ad andare in bagno per la preoccupazione di attraversare le stanze non illuminate. Il terrore lo perseguita, sente l’evidente contrapposizione tra il sé adulto riuscito che, in questa fase della vita, cerca di realizzare il desiderio di diventare padre, ed il bambino spaurito ed inconsolabile in cui si trasforma, appena spunta la notte.
Dopo circa una decina di giorni, l’angoscia diventa intollerabile, decide di rivolgersi a una psicoterapeuta a indirizzo psicodinamico.
E’ emozionato e teso al primo colloquio, racconta il motivo del suo disagio, è in evidente imbarazzo ma l’urgenza di trovare un aiuto, gli fa superare tutte le timidezze. E’ timoroso nell’utilizzare termini quali “diavolo, presenze” ma nonostante la preoccupazione di un giudizio sarcastico, affronta il tema della notte. Il suo racconto è molto emotivo e partecipato, quasi satura la stanza di terapia dei suoi speciali fantasmi al punto da esclamare: “Vede, ho i brividi anche adesso”.
Percorrendo la sua storia emergono delle interessanti coincidenze, egli appartiene a una famiglia di ceto medio, il padre era spesso assente per continui impegni di lavoro all’estero. Carlo con la sorella maggiore di qualche anno, vivevano oltre che con i genitori, con la nonna materna e soprattutto potevano contare su una famiglia allargata composta dagli zii paterni che si prendevano cura dei bambini assicurando la presenza di un nucleo famigliare affettuoso e accogliente, ammorbidendo così anche la severità della madre che, per sua stessa ammissione, doveva assolvere al ruolo di entrambi i genitori.
Carlo, racconta della sua paura attuale, ricorda episodi del passato che secondo lui, possano essere in qualche modo collegati al disagio attuale, uno di questi sembra un ricordo di copertura, si tratta di una speciale punizione decisa alla madre: chiuderlo in uno sgabuzzino buio. Era un ragazzino di otto-nove anni, vivace, non sempre gestibile, effettivamente il terrore che prova oggi nel buio della sua casa, gli ricorda l’angoscia senza nome sperimentata in quel piccolo bugigattolo, in compagnia delle scope e degli stracci per la polvere.
Ma è un altro l’episodio centrale che lo commuove, con sua sorpresa, fino alle lacrime: all’età di undici anni, la madre lo incarica di domandare al padre di rinunciare al suo progetto di abbandonare la famiglia. Il Carlo ragazzino, senza chiedere spiegazioni, va dritto dal papà, lo abbraccia riferendo la supplica materna che è anche quella del bambino. La risposta è di accoglienza e di grande commozione, tanto che il padre, anche senza rinunciare alle consuete partenze, mantiene la promessa di restare in famiglia.
E’ un momento forte, che fa apparire, oggi a distanza di più di trent’anni, il Carlo undicenne disperato per la minaccia di perdere il papà. E’ un episodio che da allora, egli ha cercato di dimenticare, che non ha confidato a nessuno, neanche alla moglie con cui condivide qualsiasi altra cosa e che soprattutto, non ha mai rievocato neanche con gli altri protagonisti della storia.
Dal segreto di famiglia, emerge una nuova situazione, i genitori erano spesso in disaccordo, soprattutto durante l’infanzia di Carlo, egli ricorda frequenti litigi legati alle partenze del padre. Forse c’era qualche altra donna, ma non si tratta di un dubbio, piuttosto di una certezza. Molti anni più tardi, subito dopo la scomparsa del padre, Carlo aveva scoperto numerose lettere e fotografie indirizzate a donne diverse per nazionalità ed età, con cui il padre aveva relazioni anche di lunga durata, forse con la nascita di altri figli. Lo stesso paziente aveva nascosto le lettere in una libreria nella casa materna e lì apparentemente, dimenticate.
Com’è tipico di questa tipologia di segreti che lo psicoanalista Racamier, definisce incestuali, si tratta di una sorta di non-segreto, infatti, tutte le persone implicate conoscono la reale situazione, ma si raccontano una versione dei fatti che è sentita come più accettabile e funzionale a mantenere l’amalgama familiare, anche a costo della più sfacciata negazione e annullamento della realtà. L’aspetto essenziale del segreto, non è il contenuto ma la stessa funzione di mantenere isolati aspetti della storia familiare che in genere riguardano la sessualità, il denaro o la tutela del nome familiare. Il segreto, garantisce il legame, funziona da collante in famiglie come quella del paziente, caratterizzate dall’incestualità.
L’incestualità è un neologismo proposto da Racamier, che descrive una specifica condizione della vita psichica e relazionale dove l’incesto, non agito, aleggia nell’atmosfera emotiva di un paziente, di una famiglia o di un gruppo di lavoro portando come conseguenza confusioni generazionali e di ruolo, l’annullamento del tempo, il ricorso a meccanismi difensivi quali il diniego e la scissione.
Carlo, è molto legato alla madre ottantenne e alla sorella, nei loro frequenti incontri, evocano spesso la figura del papà come un uomo eccezionale, bravo, capace di fare tutto e risolvere ogni situazione e soprattutto, impegnato nella cura della famiglia. Tutti sembrano aver dimenticato quello che appare indimenticabile, ossia le sue lunghe assenze, i tradimenti continui, i costanti litigi coniugali, la presenza di molte donne con cui aveva relazioni importanti, lunghe anche decenni, una seconda se non terza famiglia, sparse per l’Europa.
In famiglia, la figura del padre ricordata con tratti mitici, è molto diversa dall’uomo che emerge dalle lettere scritte di suo pugno, minute di una fitta corrispondenza con altre donne. Al padre ricordato, raccontato in modo tanto concreto e realistico, è riservato ancora oggi un posto metaforico alla tavola familiare. Carlo, fino al fatidico momento del terremoto, dava il suo attivo contributo alla messa in scena collettiva: “Papà è sempre presente, mi accompagna, ci penso spesso”.
Carlo, come tutti gli altri, aveva isolato, allontanato e apparentemente dimenticato il segreto di famiglia, ossia che papà manteneva, non solo delle relazioni con altre donne ma delle vere e proprie vite parallele, proseguite quasi fino alla sua scomparsa. Nelle altre relazioni, impersonava un personaggio molto diverso dalla vita romana, ad esempio scriveva di essere medico, di lavorare per un’ambasciata coprendo incarichi pubblici prestigiosi; nella realtà, non aveva avuto l’opportunità di proseguire gli studi e il suo era un lavoro di artigiano eseguito con maestria e competenza, ma nulla a che vedere con il personaggio altolocato raccontato nelle sue missive.
Quando il padre partiva per i suoi lunghi viaggi, preparava due enormi valigie per portare con sé tutto il suo guardaroba compresi abiti da sera accompagnati da calzini laminati in oro e argento. Spesso, Carlo si era interrogato sulla funzione di quegli abiti apparentemente giustificati dalla necessità di far fronte a ogni possibile evenienza, forse anche a un ballo di gala all’ambasciata anche se, ripensandoci, era una possibilità poco coerente con l’attività di un artigiano.
Carlo, decide di rileggere le lettere che lui stesso aveva nascosto, circa dieci anni prima. E’ letteralmente sconvolto, è come mettere insieme il ricordo del papà amorevole che coltivava l’orto nella casetta in campagna, con l’uomo dalle molte vite e dalle diverse famiglie. Recupera le sue foto da bambino e da ragazzo, cerca di ricordare episodi dell’infanzia, progressivamente si affiancano le immagini apparentemente inconciliabili, del padre amorevole e quella dello sconosciuto delle lettere.

Nel momento in cui Carlo pensa a sé come un uomo adulto che può diventare padre, l’evento casuale delle scosse reali del terremoto scoperchiano il sepolcro metaforico del segreto familiare con la conseguenza che egli si sente improvvisamente perseguitato da un diavolo-padre-cattivo che lo aspetta in agguato nelle ombre della casa.

A questa interpretazione, il paziente reagisce con un’immobilizzazione del corpo, un breve silenzio cui segue il commento: “Lo sto sentendo anche adesso”. E’ difficile rendere l’intensità e la concretezza di quell’attimo, anche la terapeuta lo avverte, è come se il tempo si fosse fermato e qualcosa che potremmo chiamare, il fantasma del padre, si è materializzato in modo inquietante, nella stanza.
La conseguenza di questa scoperta, è quasi immediata, il paziente ridimensiona la paura notturna, il sonno si regolarizza, anche se continua una certa inquietudine nel restare solo a casa o ad attraversare le stanze buie.
E’ stato sufficiente riconoscere e nominare il fantasma paterno per trasformare quello che Racamier definisce il “fantasma-non-fantasma”, ossia le conseguenze di una mancata elaborazione di un lutto, in “fantasma” cioè il precipitato dell’accettazione del fatto che qualcuno importante per noi, non c’è più e che quindi può essere pianto e lasciato andare dal mondo dei vivi.
Il segreto in primo piano, è comunque, secondo Racamier, un pretesto che nasconde la mancata elaborazione del processo del lutto originario, ossia di un processo psichico fondamentale, per il quale l’Io fin dalla prima infanzia, inizia a emergere rinunciando al possesso totale dell’oggetto, compiendo il lutto di un’unione narcisistica assoluta, temperando la seduzione narcisistica con la madre.
Tramite il lutto originario si fondano le origini del bambino, si opera la scoperta dell’oggetto e del sé. L‘uscita dal lutto originario, un lutto dell’onnipotenza, conduce progressivamente all’investimento di nuovi oggetti poiché fonda la fiducia di base in sé, sull’oggetto e nel mondo.

Il problema centrale del paziente, è quello di non aver elaborato il lutto per la morte del padre, la sua rappresentazione è rimasta come sospesa, in una sorte di limbo tra una condizione di vita e di morte. Si tratta di quello che Racamier, chiama “un lutto incistato”, congelato, che produce un’area di freddo, di chiusura, di perdita di energia libidica.
L’evento del terremoto, avvenuto in una fase speciale della vita del paziente che si preparava a diventare lui stesso padre, ha determinato un cortocircuito temporale, riportandolo violentemente, al suo lutto congelato.
Il pensiero del padre amorevole, si è trasformato nell’immagine del diavolo persecutorio che gli rimanda, come uno specchio deformante, i sentimenti ambivalenti provati dal bambino arrabbiato e preoccupato che temeva l’abbandono e il tradimento del padre idealizzato.
Apparentemente si tratta di una catastrofe attivata dalla paura del terremoto, ma la catastrofe non è attuale, piuttosto è avvenuta molti anni prima.
Il cortocircuito emotivo rappresentato dal sintomo degli attacchi di panico, diventa una preziosa occasione per elaborare quel lutto allontano e congelato che limita e danneggia la qualità della vita del paziente.
Egli sembra essersi identificato con la figura paterna ideale, quella ricordata in famiglia, il marito che avrebbe desiderato la madre. Il paziente si sente in colpa nel lasciare il ruolo del figlio-marito ideale, ruolo che si era impegnato a ricoprire, come “portatore” del lutto familiare, ossia assumendo la parte di colui che doveva mantenere l’illusione che nulla fosse cambiato, personificando il padre-marito che non c’era mai stato.


Bibliografia
Freud S. (1917) Lutto e malinconia in Opere vol. 8. Boringhieri, Torino, 1974
Racamier P. C. Gli schizofrenici. Raffaello Cortina Editore, 1983
Racamier P. C. Il genio delle origini. Raffaello Cortina Editore, 1993
Racamier P. C. Incesto ed incestuale.Franco Angeli, 2003

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