LA VULNERABILITÀ NEI PROCESSI FORMATIVI: una linea di ricerca
Da alcuni anni, all’interno del Centro di Formazione di generazione in generazione, accogliamo i giovani psicologi che chiedono di svolgere il tirocinio curriculare per il conseguimento della laurea e il tirocinio professionalizzante necessario per l’esame di stato ai fini dell’iscrizione all’albo degli psicologi. Per tale motivo, dopo aver ricevuto il riconoscimento da parte dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia allo svolgimento di tali percorsi, abbiamo attivato alcune convenzioni con importanti Università della Lombardia, della Liguria e delle Marche. Ogni semestre un numero crescente di giovani psicologi chiede la possibilità di svolgere il tirocinio presso il Centro di Formazione di generazione in generazione.
La nostra scelta è stata di accettare solo tre tirocinanti per semestre. La motivazione di tale scelta viene dal fatto che la nostra proposta di tirocinio richiede un accompagnamento personale da parte del tutor e un ingaggio relazionale elevato.
Fino ad ora abbiamo avuto 45 domande di tirocinio e accolto 16 tirocinanti. Considerando che le ore dei tirocini curriculari (pre – lauream) variano tra le 100 e le 200 ore e che 500 sono le ore richieste per i tirocini professionalizzanti (post – lauream), abbiamo fino ad oggi svolto un totale di 5300 ore di formazione alla professione di psicologo che, per contratto con le Università, sono non retribuite.
La proposta di tirocinio che abbiamo formulato è suddivisa in formazione, esperienza pratica, osservazione in seduta, colloqui con il tutor. I tirocinanti sono inseriti in un gruppo costituito proprio per loro, che nel tempo ha preso il nome di gruppo di formazione relazionale. Il gruppo è condotto con i metodi dell’Analisi Transazionale Integrativa e i tirocinanti sono introdotti alla teoria e ai metodi
di base del modello relazionale integrativo. La proposta formativa ha una forte attenzione alla relazione, al corpo, alla dinamica di gruppo.
Le aree di apprendimento per cui abbiamo la convenzione con l’Ordine degli Psicologi della Lombardia sono tre: area della psicologia clinica, area della psicologia sociale e area della sviluppo. Ogni semestre si caratterizza per il focus su una di queste aree.
I contenuti di base che offriamo ai tirocinanti sono: il concetto di relazione, i principi filosofici del modello integrativo, il Metamodello, e un accenno agli otto modelli della personalità e ai metodi, riletti a partire dal corpo. Tali contenuti sono poi approfonditi in modi diversi a seconda dell’area clinica, sociale o dello sviluppo.
La proposta formativa di IANTI, in questi anni, ha seguito due direzioni: il counseling attraverso il corso di counseling Socio Educativo e i master di secondo livello per psicoterapeuti. L’opportunità di ricevere i giovani psicologi per lo svolgimento del tirocinio è un dono che ci permette di crescere su più livelli: ripensare la proposta formativa in continuità con i curricula delle facoltà universitarie; rendere visibile all’interno dell’Ordine degli Psicologi il modello relazionale integrativo; suddividere la proposta formativa per tappe evolutive; avviare una riflessione su come passare l’essenziale del modello dell’Analisi Transazionale Integrativo in modo che, qualunque sia la successiva opzione formativa dei giovani psicologi, resti il centro vitale, l’ossatura che per noi è un modo di stare in relazione e di offrire consulenza e terapia.
Molti hanno scritto sull’importanza del corpo nell’apprendimento in età evolutiva, solo recentemente alcuni ricercatori stanno offrendo le basi per una maggiore comprensione dei processi di apprendimento ad ogni età.
Le parole non esplicitano solo un significato ma muovono anche un’azione.
La teoria degli atti linguistici (John Langshaw Austin, 1955)[1] afferma che la maggior parte degli enunciati servono a compiere delle vere e proprie azioni in ambito comunicativo.
Un atto linguistico consta di tre parti:
Ad esempio: con l'enunciato è tardi, ad una sola locuzione possono corrispondere diverse illocuzioni, ad esempio:
L'effetto dell'atto linguistico può a sua volta essere diverso a seconda del contesto (risposta o meno da parte dell'interlocutore, azione non verbale o meno sempre da parte di chi ascolta, magari con suo dispiacere o con sua approvazione).
Gli atti linguistici (in riferimento alla parte illocutiva, dunque in base alle varie funzioni comunicative) possono essere suddivisi secondo John Rogers Searle in cinque classi.
Tipo di illocuzione, e quindi di atto linguistico |
Intenzione alla base dell'atto linguistico |
Spiegazioni |
Rappresentativi/Assertivi |
sostenere, comunicare, annunciare |
Il locutore formula un enunciato in base alle conoscenze e alle sue credenze. |
Direttivi |
pregare, ordinare, consigliare |
Il locutore vuole che l'interlocutore compia (o non compia) una certa azione. |
Commissivi |
promettere, accordare, offrire, minacciare |
Il locutore si impegna ad un'azione futura. |
Espressivi |
ringraziare, salutare, augurare, denunciare |
Il locutore esprime il suo orientamento psichico per stabilire e mantenere contatti sociali. |
Dichiarativi |
nominare, rilasciare, battezzare |
Il locutore esercita un certo suo potere all'interno di un determinato ambito istituzionale. |
Un atto linguistico può essere diretto o indiretto. In un atto linguistico indiretto non si dice direttamente ciò che si intende dire. Così il parlante formula una domanda anche se intende ottenere una performance.
Mi sembra importante sottolineare, allo scopo di mettere in evidenza il filo rosso della nostra trattazione, che non solo gli enunciati servono a compiere delle vere e proprie azioni in ambito comunicativo e che, proprio per questo, sono azioni relazionali; possiamo anche considerare che le parole stesse di cui gli enunciai sono composti, hanno in sé una intenzione relazionale: esprimono l’intenzione del parlante; possiamo altresì affermare che tale intenzione raggiunge l’ascoltatore, suggerendo/modellando la particolare forma di esperienza che il parlante e l’ascoltatore stanno facendo insieme.
In altre parole: l’uso di alcune parole o di espressioni verbali descrive la relazione che intercorre tra i due soggetti in dialogo.
Ogni atto linguistico inizia nel corpo…
A tale proposito è molto interessante la ricerca di Giovanni Buccino e Marco Mezzadri (2013) sulle radici corporee del linguaggio. Il nucleo della teoria del linguaggio incarnato afferma che noi umani utilizziamo le stesse strutture neurali sia per fare esperienza della realtà, da un punto di vista motorio che sensoriale, sia per comprendere le parole (sostantivi, verbi, frasi) che descrivono le stesse esperienze. Dalle ricerche degli autori sembra che il coinvolgimento del sistema motorio nell’analisi linguistica non si restringa alle categorie grammaticali dei nomi e dei verbi.
La stimolazione magnetica transcranica effettuata durante la lettura di aggettivi che esprimono proprietà pragmatiche positive ad esempio morbido, e proprietà pragmatiche negative, ad esempio spinoso, in un campione di persone sottoposte alla ricerca, ha mostrato la modulazione specifica di due muscoli in relazione alle parole proposte.
Nello specifico il muscolo estensore comune delle dita era coinvolto con gli aggettivi con significato negativo, viceversa il primo muscolo interosseo dorsale con aggettivi positivi. Alla parola spinoso la muscolatura dorsale si ritrae, alla parola morbido la muscolatura delle dita si distende, come a disporsi ad un maggior contatto.
Riprendendo il filo rosso che ci guida possiamo, con sorpresa, verificare che la parola forma l’esperienza grazie al nostro sistema muscolare. Esso – il sistema muscolare – si modifica rispondendo alla sollecitazione verbale come se l’esperienza evocata sia concreta e presente. Il nostro sistema muscolare, attraverso un gioco di tensione e distensione, dialoga con l’intenzione comunicativa espressa dalla parola.
Sembra trovare una base neuroscientifica il modello di David Kolb (1988) il quale, riferendosi all’apprendimento degli adulti (andragogico), scrive che l’apprendimento “è la creazione della conoscenza attraverso la trasformazione dell’esperienza” (Kolb, 1988, p. 41).
Kolb concettualizza l’apprendimento in un processo ciclico che attraversa quattro fasi: Esperienza Concreta (EC), Osservazione Riflessiva (OR), Concettualizzazione Astratta (CA) e Sperimentazione Attiva (SA). Il passaggio attraverso queste fasi mette lo studente in un continuum esperienziale che investe due dimensioni principali: Concreto-Astratta e Riflessivo-Attiva.
La prima si sviluppa su di una linea che ha ai due estremi l’EC e la CA, la seconda si sviluppa sulla linea i cui estremi sono la SA e l’OR.
Nella prima fase (EC) compito dell’insegnante è quello di coinvolgere l’allievo in un’esperienza e questo attiva il piano sensoriale-emotivo; nella seconda fase (OR) compito dell’insegnante è permettere all’allievo di riflettere sull’esperienza fatta. Nella terza fase (CA) l’insegnate usa la teoria per permettere all’allievo di formalizzare in giudizi quanto appreso attraverso le fasi precedenti. Nell’ultima fase (SA) l’insegnate invita l’allievo a usare le conoscenze acquisite come base per nuove decisioni e per la risoluzione dei problemi concreti.
|
Compiti dell’insegnate |
Compiti dell’allievo |
Elementi di processo |
EC |
Proporre un’esperienza |
Lasciarsi coinvolgere |
Attivazione sensoriale-emotiva |
OR |
Riflessione |
Concettualizzazione ed elaborazione del pensiero |
Connessione con il sapere già presente |
CA |
Riformulazione teorica |
Condivisione di saperi diversi |
Cambiamento/insight |
SA |
Focalizzazione su nuova conoscenza |
Attualizzazione |
Valutazione/efficacia |
Schema del processo di apprendimento secondo Kolb |
In questo processo relazionale l’allievo è invitato ad assumere la responsabilità rispetto al processo stesso di apprendimento, passando da attore ad osservatore e nel contempo è invitato a mutare il suo atteggiamento, da emozionalmente coinvolto a distaccatamente oggettivo (Kolb, 1984).
Riprendendo ancora il filo rosso del nostro percorso, la nuova esperienza, generata attraverso il processo di apprendimento, viene stabilizzata in una riorganizzazione degli schemi muscolari e motori.
…e ritorna al corpo
Della Giovanpaola S. in Le radici esperienziali corpoee del linguaggio (2019)[2] riporta alcune ricerche sperimentali che evidenziano la matrice corporea del pensiero linguistico e il ruolo della tensione muscolare nel processo di attribuzione di significato ai suoni linguistici modulati dalla grammatica e dalla sintassi.
Nella decodifica linguistica, lo stimolo sonoro, fatto di suoni, pause, intonazione…, come ogni altro stimolo, trova nell’apparato muscolare un sensore particolare, che genera un processo di decodifica imitativa. Il sistema muscolare raccoglie non solo le caratteristiche denotative dello stimolo (volume, intensità, spazialità, tempo…) ma anche le caratteristiche connotative che attivano l’asse piacere-dolore, permettendo così il colore emotivo dell’esperienza.
Un esempio, riportato dall’autrice, è il seguente: ai soggetti sperimentali veniva chiesto di pensare ad alcune frasi valutando la fluidità del pensiero. Veniva chiesto ai partecipanti alla ricerca di immobilizzare alcuni distretti del corpo (mani e polsi, la bocca, il bacino e le cosce) in corrispondenza della frase: riesco ad afferrare questo concetto.
Ecco cosa accade: immobilizzando mani e polsi i soggetti non potevano immaginare la frase. Immobilizzando il distretto oro-labiale non era possibile immaginare di assumere un atteggiamento, immobilizzando il bacino e le cosce non era possibile concepire alcun programma!
In sintesi: il corpo è coinvolto non solo nella decodifica della parola, ma è altrettanto coinvolto nella produzione stessa della parola. Allo stesso modo il corpo, in particolare le tensioni posturali, determinano la rappresentazione di ciò che la parola evoca e generano nell’ascoltatore le medesime tensioni posturali di colui che parla.
Chiarite le radici corporee del linguaggio e la relazione tra intenzione comunicativa e decodifica imitativa, possiamo soffermarci sulla diversa esperienza evocativa, corporea e perciò relazionale che i termini insegnare e formare generano nel formatore e nell’allievo.
Su questo aspetto è utile l’etimologia delle parole che usiamo. Essa ci aiuta a collegare la parola all’intenzione comunicativa che la parola stessa porta con sé. Abbiamo visto come la parola infatti sia performativa – vale a dire – che evochi, di per se stessa, l’esperienza che descrive.
Il termine insegnare deriva dal latino insignare, composto dal prefisso in e dal verbo signare, con il significato di segnare, imprimere e che a sua volta riconduce al sostantivo signum, che significa marchio, sigillo. Insegnare quindi significa imprimere segni.
Il termine, quindi, evoca un atteggiamento relazionale di trasmissione del sapere che consiste nel "segnare" la mente del discente, lasciando impresso un metodo di approccio alla realtà, che va ben oltre lo studio.
Il termine formare traduce il termine latino fōrmare che significa dare forma o prendere forma. Il che significa che il materiale che prende forma o a cui offriamo la possibilità di prendere una forma è già presente, è visibile e ha lacune sue specifiche qualità.
Queste brevi sottolineature ci offrono subito un’immagine relazionale… ma su questo torneremo più tardi.
All’interno dell’ultimo convegno IANTI del 2018 dal titolo “Il valore della vulnerabilità: dolore e processi relazionali per l’integrazione del Sé”, ho condiviso una linea di ricerca che mi accompagna da alcuni anni e che riguarda la vulnerabilità nei processi formativi oggi nella formazione degli psicologi.
Il punto di partenza è che La competenza professionale è promossa dall’Integrazione del Sé, dei Domini della Personalità e delle Teorie… che nella prospettiva relazionale comprende tre aspetti:
1) la prospettiva intrapsichica e corporea (relazione di sé con sé),
2) gli aspetti intersoggettivi e interpersonali (relazione di sé con l’altro),
3) gli aspetti psicosociali, culturali, politici (relazione di sé col contesto storico e presente) (Guarrella E.M., 2014).
La domanda che anima la mia ricerca è la seguente: su quale matrice relazionale si appoggia la modalità di trasmissione del sapere? E quindi da quale posizione relazionale si pone il trainer?
Credo che la posizione in cui si pone il trainer è fondamentale per il gruppo di formazione, per la modalità di organizzazione del training, per l’apprendimento e per i processi di cambiamento che pone in essere.
Nel workshop ho proposto una breve esperienza che ora descrivo. Ho chiesto ai partecipanti di disporsi in coppia, uno di fronte all’altro, e di scegliere concordemente di assumere i due ruoli impegnati nella relazione tra trainer e trainee. Ho chiesto, poi, a coloro che nella coppia avevano il ruolo di trainer, di “incarnare” la parola INSEGNARE e in un secondo momento di “incarnare” la parola FORMARE.
Per ciascuno stimolo ho suggerito di entrare in contatto con la distribuzione delle tensioni muscolari nel corpo di entrambi, di ascoltare quali distretti corporei erano maggiormente coinvolti, di prendere contatto con le emozioni e con il pensiero su di sé e sul trainee.
L’esperienza all’interno del workshop è stata molto coinvolgente e ha rilevato aspetti significati che mi hanno offerto lo stimolo a continuare nella ricerca.
Il risultato è stato che tutti i partecipanti al workshop hanno riportato analoghe risposte alle due situazioni stimolo:
E’ stato molto interessante ascoltare l’esperienza che hanno riportato le persone che nella coppia avevano scelto il ruolo di trainee.
Questa breve esperienza è stata molto interessante ed è continuata nella seconda parte del workshop in cui, all’interno del gruppo, ciascun partecipante ha condiviso il proprio vissuto: è stato sorprendente il livello crescente di disponibilità, di apertura che i partecipanti hanno espresso in particolare nel condividere la percezione che reciprocamente avevano l’uno dell’altro. Questo aspetto, non richiesto dallo stimolo che avevo offerto, ha suscitato nel gruppo una concatenazione di riflessioni circa le ricadute che questi termini – insegnare e formare – generano nel modo di disporsi alla relazione, quali aspetti di sé mettono in circolo nel campo relazionale, come dispongono all’apprendimento.
La ricerca è ancora in corso ed è affascinante verificare che queste brevi indicazioni ricevute dallo stimolo proposto durante il workshop siano confermate e ampliate.
Il workshop aveva lo scopo di condividere una linea di ricerca e di mettere maggiormente in evidenza la vulnerabilità nei processi formativi, oggi, nella formazione degli psicologi.
La conclusione che traggo e che accenno solo per completezza di trattazione è che la formazione degli psicologi oggi offre molte informazioni ed insegna molte teorie ma si disinteressa quasi del tutto all’esperienza, producendo così una distanza tra la teoria e la pratica. Faccio solo un esempio: le neuroscienze, fortemente presenti nei curricula degli studenti di psicologia, spiegano l’importanza e il coinvolgimento del corpo nei processi di metallizzazione, ma non offrono la chiave per accedere a questo livello di esperienza; i programmi formativi delle facoltà di psicologia hanno un ampio ventaglio di modelli teorici, ma non offrono l’esperienza relazionale che ciascun approccio offre. In sintesi l’esperienza di apprendimento cognitivo non è collegata all’esperienza emotiva e corporea per il fatto che non vengono offerte esperienza pratiche guidate che mettano lo studente in situazione.
Ringrazio ciascuno dei partecipanti al workshop per il generoso coinvolgimento e la feconda condivisione che ha offerto al gruppo.
L’esperienza di solida collaborazione tra IANTI e di generazione in generazione è un dono ulteriore per lo sviluppo di una modalità formativa che, ho la speranza possa crescere a favore dei giovani e di quanti si mettono in cammino sulla via della cura delle ferite relazionali. Considero infatti questa via una straordinaria opportunità di toccare il cuore delle persone e di vedere nascere e rinascere tante vite.
Bibliografia
Buccino G. e Mezzadri M. (2013) La teoria dell’embodiment e il processo di apprendimento e insegnamento di una lingua, Enthymema VIII 2013
Della Giovanpaola S., 2019, Le radici esperienziali corporee del linguaggio, Psicoterapia Analitica Reichiana, 2019 n°1
Erskine R. G, 2011, Challenges of change and growth, Institute of Integrative Psychothetherapy, 2011
Guarrella E. M, 2014, Il training in Analisi Transazionale Integrativa. Breve storia di un training con riflessioni ed esperienza personali, quaderni IANTI 2014
Kolb D.A. (1984) Experiential Learning, Prentice, Hall, 1984
Searle J, 1969, tr. it, Atti linguistici. Saggi di filosofia del linguaggio, Bollati Boringhieri, 2009
Maria Luisa De Blasio, psicologa, psicoterapeuta, psicomotricista, Analisi Trasazionale Certifica EATA (CTA) e Psicoterapeuta Integrativa Certificata IIPA (CIP), Formatore e Supervisiore Integrativo IIPA (CIIPTS), direttore del Centro di Formazione alla Relazione di generazione in generazione. Mavora a Milano, Roma e Albino (BG).
[1]) Nel 1955 John Langshaw Austin tenne una lezione all'Università di Harvard dal titolo How To Do Things With Words, che tuttavia fu pubblicata postuma nel 1962. Il vero responsabile della divulgazione della teoria degli atti linguistici è stato John Searle, che con il suo libro Speech acts, del 1969, sistematizza in maniera più efficace sotto alcuni aspetti il pensiero di Austin, anche se modificandolo parzialmente.
[2]) Della Giovanpaola S. (2019), Le radici esperienziali corporee del linguaggio, PsicoterapiaAnalitica Reichiana, 2019 n°1
Psicologi e psicoterapeuti - Bergamo - Roma - Milano
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