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Dott.ssa Maura Livoli

Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo, Psicoanalista, Consulente tecnico

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Freud e il significato psicologico del Mosè di Michelangelo

Partendo dal presupposto che Freud si interessò del rapporto tra la psicoanalisi e l'arte, affermando una continuità tra il gioco infantile e la fantasia dell'adulto così scrivendo nell'opera del 1906 (a pag. 382) "Tanto l'attività poetica quanto le fantasticherie costituiscono una continuazione e un sostituto del primitivo gioco infantile".

Il bambino, come l'artista, si costruisce una propria realtà e, alla base delle sue motivazioni del gioco vi é il desiderio di " essere grande".

Tuttavia, i desideri infantili esistono anche negli adulti, in particolar modo, quando provano uno stato di insoddisfazione della propria esistenza. La diversità consiste nel fatto che il bambino non si vergogna dei propri desideri, l'adulto avverte uno stato di disagio.

Pertanto, dovendo l'uomo rinunciare al gioco, lo trasforma in attività, in una sorta di fantasticheria. Il meccanismo che consente la ripresa dell'attività infantile, é spiegato da Freud da "Il rapporto della fantasia col tempo", che é in genere molto significativo.

Si deve dire che una fantasia ondeggia tra tre tempi, i tre momenti temporali della nostra ideazione. Il lavoro mentale prende le mosse da un'impressione attuale, un'occasione offerta dal presente è suscettibile di risvegliare uno dei grandi desideri del soggetto (Freud 1906, pag.382).

Egli sintetizzò le regole fondamentali dell'analisi dell'opera d'arte, affermando che tale opera assumerà la forma di una sintesi dei desideri proiettata in un futuro di immaginazione. Pertanto, lo psicoanalista nell'analisi dell'opera d'arte deve:

1) scomporre l'opera nelle sue parti più piccole, descrivendola nella sua realtà e, questo é uno studio prettamente narrativo;

2) sottoporre ad esame ogni particolare, ricercando metafore ed allusioni presenti nei singoli dettagli;

3) ricercare l'elemento del presente che ha risvegliato il passato rimosso, attraverso l'ispirazione pura, la vera sorgente motivazionale, talvolta, sconosciuta allo stesso artista;

4) analizzare, quindi, il rimosso.

Lo studio fatto da Freud, nel Saggio sul Mosé di Michelangelo, posto nella Chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma, rappresentò il primo esempio di "tecnica psicoanalitica" applicata allo studio della scultura.

Questa statua, commissionata come tomba da papa Giulio II, si presentava come un grande complesso monumentale contenente tre statue, quella di Mosé, di Lea e di Rachele e Freud iniziò il suo saggio precisando subito che egli non era un esperto d'arte.

All'inizio, egli fece una "excusatio non petita", scatenando immediatamente polemiche di vario genere da parte di tutti gli esperti e studiosi d'arte di quel tempo.

Tuttavia, poiché - come egli scrisse: "l'intenzione di ogni artista deve essere accessibile all'analisi psicologica come ogni altro fatto della vita mentale", é proprio con questa premessa che si accinse a questo studio con un approccio psicoanalitico. Nella prima parte - prettamente descrittiva, cominciò a descrivere la posizione che Michelangelo diede a Mosé. La statua raffigura il profeta seduto, con il tronco teso in avanti, il capo con la barba possente e lo sguardo rivolto verso sinistra, il piede destro é poggiato al suolo, mentre quello sinistro é posto in modo da toccare il suolo soltanto con le dita. Il braccio destro é in contatto con le tavole e una parte con la barba, il braccio sinistro é poggiato sul grembo ( Freud, 1913 pag. 303).

La critica del tempo fu volta a sottolineare, non tanto l'idealizzazione di un carattere, ma la descrizione di un preciso momento storico della vita di Mosè che é narrato nella Bibbia. É il momento in cui egli incontrò il Signore sul Monte Sinai e gli consegnò le Tavole della Legge. Anche Freud fu concorde a questo tipo di interpretazione, ma volle ricercare dei particolari più significativi. Il professore cominciò con il guardare attentamente le dita della mano destra che, secondo alcuni critici giocava, secondo altri afferrava la barba. Per Freud, fu prioritario scoprire che cosa facessero quelle dita, prima di essere così impresse nel blocco marmoreo. L'osservazione di Freud attraverso una spiegazione diacronica e con l'ausilio dei disegni di studio michelangioleschi lo indusse a credere che l'artista non voleva ritrarre Mosè un momento prima che la sua ira si trasformasse in violenza, come comunemente fino a quel momento era stato interpretato, ma con uno sforzo, quasi sovrumano, egli fermò la sua rabbia per salvare le tavole che stavano scivolando da sotto il braccio. Se si accoglie l'osservazione che tutta la forte muscolatura del Mosè non sia quella di colui che sta per scattare nella finalità di aggredire, ma di colui che, bruscamente si frena, bloccando il corpo, ogni altra ipotesi resta priva di fondamento.

Nella seconda parte del saggio, Freud coglie l'umanizzazione di questa "importante" figura biblica scrivendo é possibile "soggiogare la propria passione a vantaggio e in nome di una causa alla quale ci si é votati" (Freud 1913, p. 232).

Inoltre, la scelta di un personaggio proprio come Mosè da collocare nel mausoleo di Giulio II da parte di Michelangelo, voleva essere una chiara e manifesta espressione di richiamo, di rimprovero a questo papa dal carattere violento, impetuoso, autoritario ed autorevole che, potrebbe, secondo alcuni punti di vista, avere una similitudine con la figura storica di Mosè in cui, entrambi con finalità e tempi diversi, avevano avuto, comunque, una missione simile da compiere.

In conclusione, Freud affermò che nella scelta di questa statua da parte dell'artista vi era il messaggio che Mosè aveva sacrificato la sua natura, i suoi istinti, i suoi sentimenti in nome della verità di cui era portatore. Nella terza parte del saggio, che avrebbe riguardato il rimosso infantile, Freud avrebbe dovuto conoscere un episodio portante della vita di Michelangelo che gli avesse consentito di collegare il presente con il rimosso, purtroppo, però egli non riuscì a trovare una documentazione sull'infanzia dell'artista ed in una lettera indirizzata al suo amico Edoardo Weiss il 12 aprile 1933 scriveva "... tutti i giorni, durante tre settimane del settembre 1913, sostai in chiesa davanti alla statua, la misurai, studiai, disegnai, finché giunsi a quella conclusione di essa che osai esprimere in modo solo anonimo nel mio lavoro. Soltanto più tardi legittimai questo figlio non analitico".

Cosa voleva significare tutto questo?

L'ipotesi che spinse Freud a questo interesse verso il Mosè facendogli trascorrere delle ore intense di studio e di riflessione innanzi ad essa, fa ipotizzare che ci fosse una relazione con il ricordo di qualche suo vissuto infantile, rimosso e conservato a lungo in qualche sua parte dell'inconscio.

Infatti, Freud raccontò un episodio in cui, una volta, il padre - figura conciliante, generosa e molto tollerante - gli apparve nel volto arrabbiato, quasi adirato, quando scoprì che lui era entrato all'improvviso nella camera dei genitori senza prima bussare, e lo invitò in modo brusco ad uscire.

Freud, nel racconto precisò subito che i genitori non stessero facendo nulla in quel momento, ma il fatto desta in sé notevole dubbio. Dunque, l'episodio che egli non trovò nell'infanzia della vita dell'artista, lo ritrovò nella sua e, intuitivo com'era, non gli poteva essere sfuggito. Tutto ciò può condurre a quella terza parte del saggio non completata e, inoltre, quella "excusatio iniziale" non voleva essere una giustificazione della sua incompetenza nell'arte, ma un nascondere il suo peccato d'orgoglio celato, nell'identificazione con il Mosè.

Riporto a tale conferma quanto scrisse a Ferenczi il 17 ottobre 1912 in riferimento alle problematiche interne alla Società di Psicoanalisi (da lui fondata) "La situazione dominante oggi a Vienna mi rende più simile al Mosè storico che a quello Michelangiolesco".

Infine, "questo figlio non analitico" come scrisse a Weiss, altro non era che l'intuizione sul complesso di Edipo riconosciuto proprio nello studio di questa statua in quanto, aveva riportato alla luce quell'episodio dei genitori nella camera da letto. 

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