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Dott.ssa Maura Livoli

Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo, Psicoanalista, Consulente tecnico

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La nostra alimentazione dovrà cambiare

La nostra alimentazione dovrà cambiare                                                                      Secondo i dati comunicati dalla FAO in uno studio condotto nel 2014, nel 2030 il nostro pianeta sarà popolato da 9 miliardi di persone, di conseguenza, si dovrà provvedere all'alimentazione anche con l'allevamento di insetti. Da ricerche già effettuate "gli insetti" rappresentano un alimento sano e gradevole al palato, ma l'idea di masticare una cavalletta, un bruco o un ragno decisamente fa impressione e forse crea anche una sensazione di "schifo". Del resto, il disgusto é una risposta spontanea, biologica, una reazione istintiva presente. Se come osservò Freud nell'opera "Il disagio della civiltá" (1929) nel bambino i suoi escrementi non suscitano alcuna ripugnanza, anzi li percepisce come "qualche cosa" di prezioso, in quanto "parte di sé distaccata dal proprio corpo", sarà l'educazione, nel tempo, a spingerlo verso la ripugnanza.

Pertanto, é evidente come ha affermato anche Julia Peker nel 2010 nel saggio "Cet obscur objet du dégout" si tratta di una costruzione culturale dettata dall'ambiente in cui si vive. Il disgusto si manifesta anche con una smorfia, una espressione facciale, la cui mimica arriva ad un allontanamento dall'animale, quasi in preda alla nausea. In realtà, certi alimenti potrebbero essere addirittura gradevoli se non si sapesse la loro origine, il semplice fatto di saperlo ci determina il rifiuto di mangiarli. Se si pensa o si osserva uno scheletro si prova, ad esempio, una sensazione di paura, di spavento, non di disgusto, invece, di fronte ad un cadavere in decomposizione prevale quest'ultimo. La sensazione di "disgusto" di fronte a qualche cosa in putrefazione deriva, come ha ribadito Julia Peker deriva dal fatto che "sembra far intravedere l'effrazione terrificante della morte". La ricercatrice sostiene che il disgusto "segnala l'esistenza di escrezioni, anomalie, eccezioni di ogni genere, che eccedono l'ordine che le produce" presentando una funzione anche strategica che é quella di far riflettere a noi umani sul fatto che "tramite il putridume e la puzza non abbiamo la padronanza di tutto". Comunque, sulla natura organica degli alimenti di disgusto, quasi tutti sono di origine animale e, su questo si sono soffermati sia filosofi che psicologi, nonché alcuni antropologi.

Se il consumo di carne resta il cibo più accolto in tutte le culture, è anche quello più esposto a tabù e pregiudizi al punto che, per nasconderne l'origine, ci si esprime con termini diversi dalla realtà dell'animale. Infatti, il manzo ed il maiale diventano la bistecca, lo spezzatino, la costata, la salsiccia, il prosciutto. Tutto ciò distacca la nostra mente dall'animale e dall'idea che sia un animale ormai "morto". Pertanto, due tabù alimentari riguardano sia il rifiuto di mangiare animali come i cani, i gatti o le scimmie perché troppo vicini agli uomini, sia il rifiuto di ragni, lucertole o serpenti perché troppo lontani, troppi estranei da indurre sensazioni spiacevoli e disgusto. Infatti, l'ingerire qualche cosa di troppo diverso induce al rischio e alla paura dell'alterazione del nostro corpo, al contrario, l'ingerire la carne di un animale come i primi indicati (cani, gatti, scimmie) induce al pensiero della nostra decomposizione da cui si rifugge. Di fatto, sono diversi gli studiosi che affermano che il disgusto altro non é che la manifestazione del rifiuto della nostra condizione umana destinata comunque anch'essa a cessare. A tal proposito spiccano gli studi di Paul Rozin - antropologo - nella sua opera "Des gouts et dégouts" (1995). Fondamentalmente, il tutto si incentra soprattutto su una realtà culturale che annida le sue radici negli stereotipi e nei pregiudizi, nonché nella non familiarità di certi alimenti.

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