Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo, Psicoanalista, Consulente tecnico
LA VERGOGNA NASCE TRA LE PRIME EMOZIONI
LA VERGOGNA NASCE TRA LE PRIME EMOZIONI
Se le emozioni primarie o di base vanno dalla rabbia alla paura, dalla tenerezza alla gioia, dal piacere al disgusto, presenti non solo nell’uomo, ma anche comuni a molti animali, la vergogna è un’emozione specifica prettamente umana, insieme al senso di colpa, all’orgoglio, alla superbia e tutte queste rientrano nel gruppo delle emozioni della “autoconsapevolezza” e dell’”autoriflessione”.
Già nel primo libro della “Genesi” dell’Antico Testamento della Bibbia, nel racconto della Creazione, la vergogna è dominante e centrale. In quel racconto, questa emozione compare nella successione di tre elementi fondamentali: nella disobbedienza a Dio da parte di Adamo ed Eva che li spinge verso la curiosità e l’ignoto, la curiosità che li conduce alla conoscenza e, a sua volta la conoscenza genera la vergogna (per un approfondimento specifico del testo Genesi cap.2 versetti 8 e succ.vi).
Proprio partendo da qui, si può comprendere questa emozione, la sua evoluzione e le sue espressioni. Infatti, mentre eventi semplici possono generare emozioni primarie, come ad esempio: un cattivo odore può dare disgusto, un rumore forte improvviso può generare la paura, un viso materno sorridente può suscitare gioia ecc., la vergogna nascendo dall’autoriflessione, che ha in sé autocoscienza, implica la formulazione di un processo di Sé spingendo al confronto con le norme ed i modelli interiorizzati, che porta poi all’assunzione del peso e delle responsabilità dei propri errori.
Esistono 4 specifici componenti della vergogna: il primo, riguarda i modelli e le regole che ci costruiamo durante tutta la nostra esistenza. Infatti, il bambino già a tre anni acquisisce valori nell’ambiente in cui vive che, in primis, li stabilisce la famiglia, poi la scuola e negli anni a seguire i modelli si ampliano, si costruiscono e si struttura un’idea del tipo di esistenza futura. Il secondo componente riguarda il giudizio su quello che abbiamo fatto, pensato, provato sempre in base ai valori prima indicati. Infatti, appena il bambino avrà acquisito certe regole di condotta comincerà ad adeguarsi ed a valutare il proprio comportamento. Il terzo componente riguarda la responsabilità, più precisamente se il comportamento adottato si risolve in un giudizio positivo o negativo rispetto a qualche modello interiorizzato. È anche possibile concludere che non ci sente responsabili di un eventuale fallimento, soprattutto se non si è l’unica persona entrata nel contesto specifico di come sia andata la storia riguardante un certo fatto o evento.
La negazione della responsabilità del fallimento è una variabile che consente di sfuggire alla vergogna, come per esempio, può accadere che un capo dia indicazioni errate ad un dipendente imputando esclusivamente a lui l’errore derivato.
Secondo alcuni studi, sembra che gli uomini siano meno disposti ad assumersi responsabilità dei propri fallimenti sia nel contesto familiare che lavorativo, e questo si aggancia al mito del “superuomo” nietzchiano ancora esistente.
Infine, il quarto componente o processo presente nella vergogna riguarda il modo in cui guardiamo a noi stessi, più precisamente se siamo disposti a darci un giudizio specifico o globale. Il giudizio specifico è centrato su una propria azione o qualità particolare, un giudizio globale riguarda il Sé nel suo insieme “io sono buono” o “io sono cattivo” o “io sono autentico” o “io sono falso” ecc.
Quindi, l’esperienza della vergogna si struttura nella globalità della valutazione adeguata o inadeguata e diventa perciò dolorosa, molto probabilmente la più dolorosa tra quelle che proviamo, nel caso di inadeguatezza ed essa è sempre la conseguenza di ciò che pensiamo del nostro comportamento,
Infatti, alla fine, chi prova vergogna desidera nascondersi, sparire, talvolta anche morire e tenta persino comportamenti autolesivi, talvolta suicidari.
Va precisato che mentre la vergogna scaturisce sempre da una valutazione globale negativa rispetto agli standard, il senso di colpa si differenzia perché deriva dalla persona che si attribuisce un singolo fallimento, ascrivendolo ad un compito specifico o ad uno specifico comportamento.
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