Tradimento e senso di colpa

Salve, sono una donna di 38 anni, sono sposata da 14 anni con figli. Sto con mio marito da quando ne avevo 18, il nostro è stato un matrimonio di amore, sincerità, rispetto ma anche di passione e attrazione sessuale molto forte. Tre anni fa, mio marito viene licenziato. Da qui la nostra relazione cambia: si discute di soldi, lui si trascura e mi trascura (anche sessualmente) e cominciano litigi in cui mi definisce “pesante”, “brutta”, “poco di buono” perché penso solo al lavoro. Io lo accuso di non fare più il marito e il padre. Mi sento sola e stringo amicizia con un collega, sposato e con figli. Mi rendo conto che anche lui non sta vivendo un momento felice e parlare ci fa sentire bene. C’è un’attrazione molto forte, ma essendo molto innamorati dei nostri rispettivi, sappiamo che non supereremo mai certi limiti. Eppure dopo un po’ scappa un bacio. Da quel momento la tentazione è forte. Cerco di stargli lontano e provo a dare una scossa a mio marito, ma inutilmente, così mi ritrovo fra le braccia del mio collega. Da quel momento mi sento sdoppiata: da un lato, con l’amante, sono di nuovo bella, giovane, felice, poi a casa mi assalgono i sensi di colpa. Decido di troncare col collega, ma ogni volta che me lo ritrovo davanti non ci riesco: le sue parole, le carezze e i baci mi tentano ogni volta. Intanto, siccome è l’unica persona con cui posso parlare della situazione, lo investo con le mie ansie, gli spiego che la cosa mi fa star male. Così è lui a troncare la relazione dicendomi che vuole riprovare a far ripartire il suo matrimonio. Il mio orgoglio ne risente tantissimo: non riesco ad accettare che sia stato lui a chiudere e comincio a cercarlo, cerca di resistermi, ma ogni volta finiamo col fare l’amore. Farlo cedere mi eccita, ma il dopo è sempre una tortura perché essendo io a provocare, mi sento l’unica responsabile. Nel frattempo, mio marito si riavvicina. Non posso confessargli il tradimento (non capirebbe e non perdonerebbe) ma possiamo ricominciare a parlare. Decido di smettere di cercare il mio amante: il ruolo di cacciatrice che mi sono ritagliata mi fa sentire umiliata perché ciò che ottengo è solo sesso. I sensi di colpa però non mi abbandonano: non mi sento più la moglie perfetta che credevo di essere e non riesco a vivere bene l’intimità con mio marito. La cosa si potrebbe chiudere qui, ma dopo un po’ di tempo, oltre il danno subisco anche la beffa: utilizzando il computer del collega, infatti, scopro una chat con un'altra donna e ciò che mi fa più male è che la storia è simile a quella avuta con me. La signora in questione, infatti, ha problemi col marito e parlare con lui l’aiuta. Il fatto è questo: potevo giustificare la mia relazione extraconiugale quando io ero la moglie ferita e arrabbiata e l’altro un uomo stanco del suo matrimonio. Da codardi, avevamo deciso di consolarci a vicenda, ma fra di noi c’erano la fiducia e l’affetto che per un periodo nei nostri rapporti ufficiali erano mancati. Invece adesso so che l’uomo che mi aveva fatto sentire di nuovo bene, di nuovo donna, di nuovo bella è un farabutto. Sono arrabbiata e vorrei sfogare la mia rabbia rinfacciandogli tutto, ma decido che non ne vale la pena e così mi allontano in modo netto, limitandomi ai rapporti lavorativi. Ritrovo un po’ di serenità e nel momento in cui credo di esserne uscita, il collega si riavvicina: mi racconta che si sente molto in colpa nei confronti della moglie, soprattutto perché sente che quello che aveva provato fisicamente con me non riusciva a provarlo con lei. L'ho lasciato parlare, avevo bisogno di sapere fino a che punto poteva arrivare. La cosa è durata per circa una settimana poi ho vuotato il sacco. Naturalmente mi ha trovato una scusa (non sarebbe stato lui a chattare ma un altro collega), sapevo che era una bugia, ma ho finto di crederci. Lui ha ricominciato a fare complimenti e a corteggiarmi. I paletti però erano chiari: non dovevamo parlare di sentimenti profondi, ma potevamo ritagliaci attimi di felicità solo per noi. Ho preso tempo. Caratterialmente non amo essere presa in giro, in questa situazione ancora meno, perché il pensiero di aver tradito mio marito con una persona di così poco valore mi fa stare ancora più male. Così ho cominciato ad indagare scoprendo che non ero la prima donna con cui aveva tradito la moglie. È un bell’uomo, molto affascinante, da me ha già ottenuto quello che voleva, perché allora ha bisogno di riavvicinarsi? E se dovessi cedere, mi allontanerebbe non appena sarebbe sicuro di avermi riconquistata? Rinfacciargli tutto quello che so, servirebbe a tenerlo lontano da me? Premetto che razionalmente non ho nessuna intenzione di tornare con lui, ma devo ammettere che una piccolissima parte di me si sente ancora attratta da lui (più precisamente dall’immagine che ho costruito di lui all’inizio), sono infatti gelosa di non essere stata l’unica, come lui mi ha sempre fatto credere. Comunque c’è anche un altro disagio: ho lavorato tanto per aggiustare le cose con mio marito, (infrangere il limite della fedeltà mi ha fatto davvero temere di mandare tutto all'aria) e abbiamo parlato di come c’eravamo allontanati, di come le cose, dopo il licenziamento, non erano state facili, di come lui abbia riportato la rabbia, per quello che gli era successo, nella nostra relazione (nonostante nel giro di qualche mese fosse riuscito a trovare un nuovo impiego) e abbiamo ricominciato a ricostruire un rapporto. Non posso confessargli il tradimento, perché non capirebbe e perché non mi posso giustificare dicendo che ho cercato consolazione fra le braccia di un uomo che aveva i miei stessi problemi, che mi rispettava, perché mi sono lasciata raggirare da un manipolatore. Insomma non riesco a perdonarmi né la debolezza del tradimento, né la leggerezza nella scelta dell’altro, né il fatto di dover tacere adesso. Il rapporto con mio marito è addirittura migliorato: non solo lui, ma anch’io ho delle premure e delle attenzioni nei suoi confronti che prima non avevo. Ogni tanto però, quando ci coccoliamo o quando mi dice qualche parola affettuosa, mi sento malissimo e ho la sensazione di non meritare il suo amore (e mi chiedo se non sono invece più degna delle attenzioni del farabutto). La stessa cosa succede quando litighiamo: tendo a trattenermi perché sento che la mia colpa è più grande. Scusate se sono stata prolissa, ma essendo sempre stata una persona razionale, che non ha mai avuto colpi di testa, vorrei che qualcuno mi aiutasse a comprendere l’unico periodo della vita gestito con irrazionalità e superficialità.

Salve Melissa,

 il periodo della vita che lei pensa di avere gestito con “irrazionalità e superficialità” giustifica le  personali   e fondamentali  esigenze di essere amata, considerata, rispettata e valorizzata nella relazione di coppia come donna e come persona.

La considerazione, il rispetto, la sincerità, la trasparenza nella comunicazione sono valori che le appartengono, aspetti di se stessa che le consentono di vivere in modo completo e soddisfacente la sessualità unita alla passione e all’attrazione fisica.

Dunque, il brutto periodo della  vita considerato come “gestito con irrazionalità e superficialità”  in quanto si è gettata tra le braccia di un altro uomo, è stato condizionato dalla mancanza di complicità, di comunicazione, di rispetto e di considerazione  reciproci tra lei e suo marito, mancanze che vi hanno costretti entrambi a percorrere strade diverse per ritrovare un equilibrio emotivo ed esistenziale per riprendere una considerazione positiva di se stessi:  lei Melissa ha percorso la strada con  un uomo che l’ha nuovamente valorizzata facendola sentire  bella, affascinante, donna; suo marito invece ha ritrovato il lavoro, una esigenza che probabilmente è per lui fondamentale per raggiungere un proprio equilibrio esistenziale ed una propria serenità, necessari questi ultimi per poter esprimere emozioni, sentimenti, la sessualità e l’amore in famiglia.

Allora, per trovare l’equilibrio emotivo ed affettivo in famiglia, consideri il “colpo di testa” una esperienza positiva della propria vita che ha confermato il valore della relazione con suo marito e   ridato energia e vigore alla relazione coniugale e non  un “fallimento personale” vissuto con irrazionalità e superficialità  all’insegna della mera debolezza  e  leggerezza.

Cordiali saluti

 

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Dott.ssaMaria Zampiron

Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo - Roma - Padova

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