Dott.ssa Maria Rita Milesi

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Dott.ssa Maria Rita Milesi

psicologo, psicoterapeuta, sessuologo

Allacciate le cinture: arriva il cancro

Nella vicenda narrata da Ozpetek i due protagonisti, Elena e Antonio, vivono una vita routinaria, come quella di tante famiglie. La passione e l’amore iniziali sembrano lontani per questa coppia: occorre pensare ai due bambini, Elena ha un’attività che la coinvolge molto (un bar ben avviato), il marito non la aiuta nelle responsabilità quotidiane e i litigi si fanno sempre più frequenti. Ma tutto procede senza alterare troppo gli equilibri della coppia e della famiglia.

Elena, però, facendo dei controlli medici, scopre di avere un tumore al seno. E tutto cambia.

Al momento della diagnosi, come spesso succede, Elena vive un vero e proprio shock: ascolta le parole del medico, che le mostra le lastre della mammografia e le indica il percorso terapeutico più adeguato, senza realmente rendersi conto di ciò che sta succedendo, in quanto vive, dal punto di vista cognitivo ed emotivo, uno stato temporaneo di turbamento e disorganizzazione. Solo più tardi la portata di questo evento diviene consapevole e lascia spazio al dolore psichico, alla paura dell’ignoto, all’angoscia della morte.

Sul piano strettamente clinico-psicologico la natura del disagio emotivo del paziente malato di cancro va riguardato alla luce delle complesse e multidimensionali articolazioni tra malattia e malato, tra caratteristiche cliniche della neoplasia, caratteristiche personologiche, evolutive e sociali. Cerchiamo di comprendere il valore ed il significato psicologico di tale traumatica esperienza calandoci nella realtà della protagonista del film.

Innanzitutto occorre considerare il tipo di tumore e la fase (gravità) della malattia. Elena ha un tumore al seno: vanno dunque considerate le implicazioni psicologiche che il tumore al seno comporta per una giovane donna. Per la donna il seno è un elemento fondamentale, componente della propria immagine corporea, testimone tangibile della propria identità, risultante di molteplici esperienze di rapporto col proprio corpo che cambia nell’adolescenza e decade in età adulta, e con corpi altrui, oggetto di carezze e veicolo di scambio fisico ed emotivo. Dunque, il seno ricopre un ruolo fondamentale sul piano psico-emotivo-affettivo e la sua malattia o mutilazione provoca una grave ferita dell'immagine corporea e dell’Io ideale, ed una profonda modificazione del proprio senso di Sé. La donna affetta da cancro al seno vive non solo l'angoscia di una diagnosi che evoca nell’immaginario fantasmi di morte, dolore, di interventi demolitivi, ma anche e soprattutto sentimenti di vergogna legati a vissuti di debolezza, bruttezza, vulnerabilità e impotenza.

Inoltre, il tumore di Elena è in fase avanzata, infatti il medico indica la necessità di una chemioterapia - prima ancora dell’intervento chirurgico - per ridurre la massa tumorale. Elena si confronterà con le conseguenze psicologiche della perdita dei capelli, non solo relative alla modificazione dell’immagine corporea, ma anche allo stigma rispetto all’ambiente sociale: l’alopecia, infatti, è un segno inequivocabile che il paziente si sta confrontando con una malattia grave e letale.

Un altro aspetto importante da considerare riguarda l’età e il momento storico-evolutivo della vita del paziente. Elena è una donna giovane e bella, ha due bambini piccoli, sta progettando di fare nuovi investimenti in ambito lavorativo: è nel pieno della sua vita e il cancro porta uno sconvolgimento totale nella sua esistenza personale e in quella della sua famiglia.

E a proposito della famiglia, il paziente si confronta con il difficile compito di comunicare ai propri famigliari, in particolare ai figli, il fatto di essere malato di cancro. Quando una persona viene a sapere che è affetto da un tumore, tra i tanti pensieri che scaturiscono all’interno della mente c’è anche quello di “come comunicare agli altri” la malattia. Alcuni pazienti valutano anche l’assurda possibilità di evitare di parlare alla propria famiglia del cancro, nonostante si possa immaginare quanto una decisione simile possa essere molto difficile da sostenere quando si vive a stretto contatto.

Nel film di Ozpetek, Elena decide di riunire i famigliari per comunicare la malattia: il marito, la madre, la zia, l’amico-socio assistono con tensione crescente al racconto di Elena, che ripercorre passo passo i momenti delle indagini diagnostiche, del colloquio con il medico, della diagnosi, delle terapie: ma non riesce mai a pronunciare la parola “cancro”. Tutt’oggi, il cancro resta una malattia “indicibile”, per via delle profonde angosce di morte che evoca in ciascuno di noi. Nella nostra società vige il tabù della morte: la conseguenza di un tabù è la rimozione dalla coscienza, per proteggersi dalla sofferenza.

E i familiari, come reagiscono a questa notizia? La madre, che ha già perso un figlio in giovane età, non può assolutamente prendere in considerazione che anche l’altra figlia possa morire “è matematico!” esclama. Il marito tace, non sa esprimere il tumulto dei sentimenti che prova se non agendo fisicamente la rabbia prendendo a calci la prima cosa che gli capita a tiro. E si isola. Fugge dagli altri, fugge sulla sua moto, ma non può fuggire da se stesso.

I due figli, nel film, non vengono esplicitamente informati della malattia della madre. Si pensa sempre che i bambini vadano protetti dal dolore e dalla sofferenza e si vorrebbe tenerli lontano da tutto ciò che non sono in grado di capire e sopportare. Eppure i bambini capiscono, sentono che sta accadendo qualcosa, che c’è qualcosa che non va, ma non sono in grado di capire se nessuno glielo spiega. E questo senso di incertezza genera in loro sentimenti di ansia e frustrazione, gli stessi da cui si voleva così tanto proteggerli. La scelta di non dire si rivela quindi ingestibile, soprattutto controproducente.

La maggior parte degli adulti e dei genitori ritiene che i bambini non sappiano cosa siano il dolore, la sofferenza e la malattia, ma soprattutto la morte. Tuttavia è ormai noto come già dal secondo- terzo anno d’età i bambini si pongano il problema della scomparsa delle creature viventi e costituiscano le loro idee in proposito. Mantenere all’oscuro i figli da tutto ciò che concerne il tumore crea perciò una sorta di buio comunicativo, una sensazione di vuoto che contribuisce ad alimentare ancora di più l’angoscia e la paura per un qualcosa che non si conosce, anziché evitargliela. Essi infatti hanno la capacità di percepire i messaggi non verbali dei genitori meglio di quanto si creda: la tensione, le preoccupazioni e magari anche il senso di impotenza e rabbia dovute al trovarsi di fronte a una malattia così difficile da accettare.

Infatti, sarà proprio la piccola figlia di Elena a parlare con la madre della morte. La piccola fa molte fotografie alla madre “per avere un ricordo quando non ci sarà più”. Ciò che è indicibile per l’adulto, una verità così spaventosa è comunicata dalla cruda sincerità della bambina.

L’incomunicabilità rispetto alla malattia e alle angosce che la accompagna affligge dolorosamente Elena e Antonio, che tacciono la loro sofferenza, le proprie paure: parlano dei piccoli problemi di gestione della famiglia e piangono, ognuno per conto proprio, prigionieri del “non detto”, nel tentativo assurdo di controllare le proprie paure e di proteggere l’altro, tanto amato, ancor più ora che lo spetto della morte e della separazione incombono minacciosi.

 Ma anche l’amore può divenire muto, rimosso, dimenticato, sepolto dalla routine, dai tradimenti, dalle incomprensioni, dall’incomunicabilità. Come succede ad Elena ed Antonio, così diversi, lui così chiuso, incapace di comunicare, ma molto sensibile, molto percettivo rispetto alle emozioni e capace di decodificarle con estrema precisione, nonostante la dislessia di cui è affetto. Ma sarà proprio Antonio a riavvicinarsi ad Elena, a riportarla al loro amore, con la sua sensibilità, fatta di gesti concreti e di poche parole.

Il film punta i riflettori anche sul tema della sessualità, uno degli aspetti più critici che la coppia affronta quando uno dei due membri è malato di tumore, soprattutto se l’organo colpito è legato alla sessualità (seno, prostata, utero). La paura di non risultare più desiderabile agli occhi del partner, di non essere attraente, a causa della non accettazione delle modifiche intervenute nel proprio corpo, è ben rappresentato dalla reazione di Elena quando Antonio le si avvicina: si sente sporca, si sente brutta, non si sente “donna”. Antonio esprime il suo amore per la compagna gravemente ammalata attraverso il contatto fisico con il suo corpo, diminuendo così le sue pene e il suo dolore, sia psichico che fisiologico, e dimostrandole che è lì per lei, e che lei è ancora importante per lui. La cura fisica della maggior parte dei malati di cancro viene affidata alle mani esperte, ma purtroppo spesso meccaniche, delle infermiere, mentre spesso figli e coniugi, in preda allo sgomento, si mostrano a disagio, talvolta addirittura un po’ disgustati, tanto che il malato si trova a vivere ed affrontare una terribile vergogna. Scegliendo invece di amare anche il corpo segnato dalla malattia, Antonio aiuta Elena a sentirsi una persona degna di essere amata,  allontanando la sua sensazione  di sentirsi solo un rifiuto o una cosa sporca.

A questo proposito, bisogna sempre ricordare che, sul piano dell’affettività, la morte psichica anticipa la morte fisica; essa si verifica quando il malato si sente abbandonato, inutile e quando  ha l’impressione di aver perso la dignità, la libertà e la responsabilità.

Elena, nella fasi più critiche della malattia, vivrà profonde angosce, che vanno dal senso di minaccia per la propria vita, al senso di annientamento come disgregazione del Sé corporeo e dell’identità dell’Io, all’angoscia di separazione dal mondo e dai rapporti affettivi e la paura di essere abbandonata – come raffigurato nella scena in cui Elena, fuggita dall’ospedale e rientrata nella propria casa - si immagina sostituita da un’altra donna accanto al suo uomo, abbandonata, dimenticata.

Il cancro, tuttavia, può divenire occasione di una “ri-scoperta” dell’altro, di se stessi, di ciò che veramente conta - quello che prima contava, improvvisamente perde importanza, di ciò che veramente dà un senso alla nostra vita. E la morte, la “buona morte”, è quella fornita di un senso, un senso per noi e per gli altri. Perché vita e morte sono indissolubilmente legate. Sentire che la morte si sta avvicinando induce a porsi delle domande sul senso della propria vita: per che cosa e per chi si è vissuto? Quali sono i valori dell’esistenza? L’essenza di una vita spesso si riduce ai momenti di felicità nei quali l’individuo ha trovato il coraggio di vivere e di spingersi oltre. Come hanno fatto Elena ed Antonio: così diversi, hanno avuto il coraggio di osare e di rischiare, in ragione del loro amore. Che ritrovano proprio nel momento più doloroso della loro vita.

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