Agorafobia
Buonasera, cortesemente avrei bisogno del vostro supporto. I miei disagi sono iniziati un anno e mezzo fa e da li poi ho iniziato un viaggio per la guarigione il quale ancora non e' finito. Riassumo brevemente cio' che e' accaduto. Prima di compiere 21 anni (adesso ne ho 22, quasi 23) ero sano come un pesce, due mesi dopo i miei 21 anni ho avuto il mio primo attacco di panico notturno, poi ne sono seguiti altri e infine l'ansia non mi ha lasciato più per due mesi, fino a quando passavo le mie giornate in preda a continue dissociazioni da ambiente, cose, persone, sentimenti. La mia prima ''pillola di guarigione'' fu dopo due mesi di dissociazione: andando a lavorare su cosa mi aveva causato tutto questo ho contattato, canalizzato e fatto esplodere la mia rabbia contro mia madre la quale negli ultimi anni mi aveva escluso dalla famiglia poiché vivevo fuori (studente fuori sede) e in periodo di lockdown in quanto l'ho passato con la mia fidanzata a casa sua. La mie punizioni furono: non essere messo a conoscenza dello star male in modo grave di mio nonno, non essere considerato a priori per un viaggio di famiglia, un continuo farfugliare e denigrare la mia vita tra mia mamma e mia sorella e una generale esclusione anche nella quotidianità . Il mio sfogo comprese tutto ciò, rimproverai mia madre in maniera aspra per ciò che mi aveva fatto, per come mi aveva trattato, per l'affetto, l'interesse che era sempre mancato e per la crudeltà delle sue azioni. Successivamente andai a vivere da mio padre ed ebbi bisogno di un altro sfogo al telefono (in quanto continuava a non interessarsi della mia vita) per abbassare ulteriormente i sintomi e piano piano guarire. Da casa di mio padre fui invitato indirettamente ad andarmene da sua moglie perche' occupavo la stanza del mio fratellastro di 8 anni. Ho pensato che sua moglie volesse ''marcare'' il territorio e ho sentito che ero di troppo e di essermi appoggiato su una famiglia che ha vissuto da sempre senza di me. A mio padre dispiacque parecchio il tutto. Mia madre successivamente mi chiese scusa per tutto ciò che mi aveva fatto e da allora mi tratta con i guanti bianchi cercando di non sbagliare in niente e vedere cosa mi fa del male. Cosi decisi di ritornare a casa mia, da mia madre: non per volere ma per necessità. Avevo paura che potesse ferirmi ancora. Cosi sono passati 5 mesi da febbraio fino ad ora, nei quali non sono stato ferito ma purtroppo la visione idealizzata che avevo di mia mamma si e' frantumata, ho perso la stima nei suoi confronti, ho visto i suoi grandi limiti e li ho capiti, ho capito che vuole bene ''a modo suo'' ma disprezzo il suo modello educativo e il suo operato come madre tanto da promettermi di non riproporlo ad eventuali miei figli. In questo periodo in oltre ho curato con successo altre due mie parti: una parte che ha vissuto in maniera pesante il lutto del compagno di mia madre (avvenuto nel 2016) e una parte che spesso, da piccolo, veniva picchiata con aggressività da mia madre la quale un mese fa mi confermò che sfogava la sua rabbia su di me. -------- Il problema di adesso e' che ,passata l'ansia giornaliera, gli attacchi di panico, la dissociazione (anche se ancora in momenti di eccessiva stanchezza o stress si fa sentire leggermente) , non riesco a capire la natura del sintomo che mi accompagna e non mi lascia libero. Non so se si tratta di agorafobia ma provo a descriverlo: devo controllare il mio respiro per paura che mi manchi l'aria, per paura che non riesca più a respirare. Ormai riesco a controllare il sintomo, a distrarmi ma purtroppo la distrazione non e' una cura nel mio caso. Questo sintomo si e' fatto sentire per la prima volta quando vivevo a casa di mio padre e qualche sera a settimana tornavo a casa mia per vedere i miei fratelli assicurandomi che non ci fosse mia mamma ma una sera e' tornata per pura casualità. L'ho salutata e me ne sono andato, ma un'ora dopo messomi a letto a casa di mio padre e' arrivato questo sintomo accompagnato da paura e ansia nel caso non respirassi più. Per tre mesi il sintomo non si e' più fatto sentire, ma nel frattempo si e' scatenata in aereo e nel piano interrato di una gioielleria la paura che potesse succedermi qualcosa (impazzire, il respiro) , di rimanere li bloccato e soprattutto la paura che a chilometri di altezza o bloccato dalle porte blindate della gioielleria non esiste come scappare nel caso avvenisse quanto descritto prima. Il sintomo del respiro e' tornato dopo 3 mesi quando ho deciso di tornare a casa mia. Due ore dopo averlo comunicato a mia mamma e' iniziato. Da quel giorno vivendo con mia madre che a questo punto per me rappresenta un trigger, il sintomo ha avuto alti e bassi molto ravvicinati. In ultimo sentendomi meglio dopo aver recuperato quelle parti decido di prendere la macchina e fare 200 km con la macchina per vedere se ero guarito o meno. Evidentemente non ho ancora curato questo aspetto : ogni uscita dell'autostrada che mi permetteva di tornare indietro verso casa e che io non prendevo mi scatenava la paura di non poter più respirare, l'ansia e il controllo del mio respiro. Tutto ciò mentre guidavo. Avvicinandomi a casa pero' dopo 200 km fatti quel sintomo e' rientrato. Il mio terapeuta mi ha consigliato di andarmene di casa, ma non vedo come posso fare: ho 22 anni, sono al terzo anno di università e me ne mancano altri tre, non lavoro, ho due genitori che pensano molto agli affari loro, non posso farlo. Posso solo lavorare quel trigger per permettermi di vivere libero anche se vivo con mia madre a casa, ma non capisco su cosa lavorare. Per questo scrivo a voi, sperando che qualcuno possa darmi uno spunto di riflessione, un consiglio, qualcosa. So che e' difficile non conoscendomi e avendo a disposizione solo un piccolo riassunto ma non voglio perdere le speranze. Grazie e buona serata
Buongiorno Riccardo, grazie per la fiducia, mi dispiace profondamente e comprendo la difficoltà nel vivere una situazione così un complessa. L'agorafobia ci riporta a quelle situazioni imbarazzanti o dalle quali è probabilmente difficile allontanarsi, per svariati motivi. Vista la delicata situazione, ritengo fondamentale un consulto con uno Psicologo per approfondire alcuni aspetti, legati ai vissuti alle emozioni, soprattutto per trovare strategie nuove, per raggiungere nuovi obiettivi. Sarebbe utile lavorare sui pensieri rigidi o disfunzionali, affinché non mantengano una sofferenza che non da spazio al benessere, alla serenità che lei merita. Augurandole in meglio, rimango a disposizione.
Dott.ssa Ursula Fortunato Psicologa Clinica e Perinatale