Psicologia Criminale → Autopsia psicologica

Credo di poter affermare che, nonostante ancora molto ci sia da fare, ormai è sufficientemente assodata l’importanza del ruolo della vittima nelle indagini su un crimine violento e che l’analisi del comportamento criminale violento ha senso soltanto se prendiamo in considerazione l’approccio sistemico alla coppia criminale e alle interazioni tra di loro per evitare un approccio parziale e riduzionistico.

Per quanto riguarda le vittime di un crimine si possono presentare due situazioni molto diverse tra di loro: il caso in cui la vittima è sopravvissuta e può testimoniare direttamente e il caso, purtroppo molto più frequente, in cui invece la vittima è deceduta a causa dell’azione criminale.

Del primo caso si occuperà la psicologia della testimonianza che cercherà attraverso le sue metodologie di analizzare da una parte l’attendibilità della testimonianza stessa per coglierne eventuali distorsioni cognitive che potrebbero, per esempio, portare a falsi ricordi e dall’altra per aiutare il testimone a ricordare.

Per quanto riguarda il secondo caso, cioè quando la vittima è deceduta, per molto tempo si è pensato che fosse di esclusiva competenza della medicina legale e della criminalistica mentre questo approccio di per sé va a considerare soltanto le tracce fisiologiche importantissime certo ma che tralasciano tutta una serie di informazioni psicologiche e psicopatologiche sulla vittima prima del decesso fondamentali assieme a quelle fisiche e biologiche per stilare un profilo completo e per arrivare a formulare delle ipotesi attendibili sulle dinamiche che hanno portato alla sua morte e per completare il profilo del soggetto ignoto che ha commesso quel crimine particolare ai danni di quella vittima particolare che è stata prescelta tra tante.

La disciplina che si occupa di questo si chiama ‘autopsia psicologica’, tecnica fondamentale anche nei casi di morte equivoca, cioè quei casi in cui non è chiaro se il decesso è avvenuto per omicidio, per suicidio o per un incidente.

L’autopsia psicologica, utilizzando la definizione di Shneidman, uno dei primi studiosi che se ne occupò, è la ricostruzione retrospettiva della vita di una persona scomparsa, ricostruzione necessaria per meglio comprendere la sua morte e le cause che l’hanno provocata. [Bonicatto B., 2006]

Bruno Bonicatto, inoltre, ci ricorda che l’autopsia psicologica come disciplina nasce verso la fine degli anni ‘50 negli Stati Uniti: in quell’occasione venne chiesto l’intervento del Centro Prevenzione Suicidi della città di Los Angeles per poter intervenire e spiegare una grande quantità di morti a causa della droga. [Bonicatto B., 2006]

Lo stesso Bonicatto [Bonicatto B., 2006] spiega nel suo lavoro sul tema che i pionieri che svilupparono la procedura di autopsia psicologica furono due psicologi statunitensi, Shneidman e Farberow, nel 1961. I due psicologi formularono sedici categorie sulle quali indagare retrospettivamente e che riguardano delle aree fondamentali di vita della vittima:

  1. Informazioni di identità (nome, età, indirizzo, sesso, stato coniugale, occupazione, religione).
  2. Dettagli della morte (rapporti di polizia).
  3. Storia personale (fratelli, malattie e terapie, tentati suicidi).
  4. Storia dei decessi in famiglia.
  5. Modelli di reazione allo stress.
  6. Tensioni e/o scontri recenti.
  7. Ruolo dell’alcool e/o delle droghe nello stile di vita e nella morte dello scomparso.
  8. Relazioni interpersonali.
  9. Fantasie dello scomparso.
  10. Sogni dello scomparso (o incubi)
  11. Pensieri e paure dello scomparso in relazione alla morte, agli incidenti o al suicidio.
  12. Cambio di abitudini, hobbies, alimentazione, modelli sessuali o di altre routines di vita immediatamente precedenti la morte.
  13. Informazioni relative la “visione” di vita del deceduto (obiettivi, aspirazioni, successi).
  14. Valutazione di intenzione ruolo dello scomparso nella sua propria morte).
  15. Tasso di relazione letale degli informatori relativa alla morte del deceduto.
  16. Commenti ed annotazioni speciali.


Un altro autore, Young, sviluppò e ampliò il precedente protocollo includendovi ventisei ambiti di indagine retrospettiva:

  1. Storia del consumo alcolico.
  2. Note sul suicidio
  3. Scritti e diari.
  4. Libri.
  5. Valutazione delle relazioni interpersonali nel giorno prima della morte.
  6. Valutazione del rapporto coniugale.
  7. Umore, stato d’animo.
  8. Fattori di stress psico-sociali.
  9. Comportamenti pre-suicidi.
  10. Lingua.
  11. Storia del consumo di droghe.
  12. Storia medica.
  13. Esame riflessivo dello stato mentale, della condizione del deceduto prima della sua morte.
  14. Storia psicologica.
  15. Studi ed analisi di laboratorio.
  16. Rapporto medico legale.
  17. Valutazione delle motivazioni.
  18. Ricostruzione degli eventi
  19. Pensieri e sentimenti riguardanti la morte (preoccupazioni, fantasie).
  20. Storia militare.
  21. Storia delle morti familiari.
  22. Storia familiare.
  23. Storia lavorativa
  24. Storia scolastica.
  25. Familiarità del deceduto con i metodi di morte.
  26. Rapporti di polizia.

Come risulta chiaro il protocollo in questo caso è molto più approfondito. L’autore fu motivato dalla necessità di standardizzare più accuratamente le procedure di raccolta delle informazioni.


Terecita Garcia Perez e Raineri Rojas Lopez, coautori assieme a Bruno Bonicatto del volume “L’autopsia Psicologica”, ci ricordano che da un punto di vista storico un caso fondamentale che ha posto le basi per lo sviluppo dell’autopsia psicologica come tecnica peritale è stato l’omicidio del Tenente Jack Lester Mee, eroe della seconda guerra mondiale, ucciso dal suo amante nel 1947. L’avvocato difensore sollecitò la perizia per provare che la vittima aveva delle caratteristiche di pericolosità e di psicopatologia tali da giustificare l’omicidio commesso dal suo cliente. Si occuparono del caso due periti, Diaz Padron e Henriquez. I due esperti iniziarono ad analizzare le lettere, il diario personale e un libro di poesie scritto dalla vittima e fecero una revisione della sua storia clinica analizzando la documentazione della vittima presso un Ospedale Militare dove era stato recluso e da cui risultava che l’allora paziente soffriva di un frastorno della personalità particolarmente centrato sulla sua vita sessuale [ Dìaz Padron, 1947, cit. in T. Garcia Pèrez, R. Rojas Lòpez 2006]

Le autrici ci ricordano che il termine autopsia psicologica si deve a Litman, lo studioso che negli anni ’60 stabilì gli elementi essenziali del processo di investigazione nei casi di morte dubbia. Il metodo di Litman, scrivono gli autori, consiste nel ricostruire la biografia della vittima mettendo in risalto il suo stile di vita, al personalità, gli stress recenti, l’infermità mentale e l’enunciazione di idee orientate alla morte, in particolare negli ultimi giorni e nelle ultime ore della sua vita per definire il suo stato mentale in prossimità della morte. Tutte queste informazioni vengono raccolte attraverso documenti personali, rapporti medici, rapporti di polizia, pratiche giudiziarie, interviste ai familiari, agli amici, ai colleghi di lavoro, etc. [Litman, 1968, 1963, 1989, cit. in T. Garcia Pèrez, R. rojas Lòpez, 2006]

Le autrici, hanno analizzato molte di queste interviste, tanti modelli di intervento utilizzati nei casi di morte dubbia che sono risultati tutti poco strutturati e quindi molto aperti alla possibilità di errore nella raccolta di informazioni. Da qui la necessità di un modello molto più standardizzato e integrato che ha portato alla nascita del modello impiegato a Cuba e di cui parleremo in seguito.

Potremmo dire che il protocollo di autopsia psicologica è una sorta di anamnesi post-mortem della vita attraverso le informazioni che è possibile raccogliere dalle persone più vicine possibili al deceduto: familiari, amici, fidanzata, moglie, datore e colleghi di lavoro, vicini di casa, ex compagni di scuola, sacerdote, medico di famiglia, etc.

A volte si può presentare l’occasione di intervistare anche dei testimoni oculari che hanno assisti to in diretta alla morte o hanno ritrovato il cadavere: anche in questo caso è intuibile quanto la loro versione sia importante.

Vorrei aggiungere che un altro elemento da tenere in considerazione per la raccolta di informazioni retrospettive è l’analisi di materiale fotografico: sappiamo anche dall’esperienza maturata nella clinica psicoterapeutica quanto le fotografie possano catturare stati d’animo particolari che ad un osservazione attenta e scrupolosa possono rivelare molto della personalità del soggetto in esame e da un punto di vista sistemico sulla struttura e sulle relazioni familiari, affettive ed extrafamiliari.

Bisogna inoltre aggiungere che, vista la complessità e la responsabilità che comporta un lavoro peritale di questo tipo, l’intervento dovrà essere necessariamente affrontato da un’equipe interdisciplinare e multidisciplinare.

Veniamo ora ad analizzare più in dettaglio i campi di applicazione dell’autopsia psicologica.

Iniziamo con il considerare la fenomenologia suicidiaria, perché come abbiamo già visto, proprio da qui l’autopsia psicologica affrontò le sue prime sfide.

L’importanza della metodologia e del protocollo operativo di autopsia psicologica nei casi di suicidio non consiste soltanto nel poter dirimere situazioni di morte equivoca o comunque dubbia, o per dare una spiegazione a questo comportamento autodistruttivo che possa aiutare a capire soprattutto i familiari, ma anche e soprattutto per poter operare delle fondamentali strategie di prevenzione che possano nel tempo far comprendere il fenomeno sempre più profondamente in modo da poter intervenire tempestivamente sulle personalità a rischio suicidiario.

E’ evidente che chi sarà chiamato ad intervenire come esperto di autopsia psicologica in un caso di suicidio o presunto tale dovrà anche conoscere approfonditamente la psicologia del suicida e del comportamento suicidiario e tutte le teorie che hanno cercato di comprendere da molti punti di vista questa condotta autodistruttiva.

Come scrive Bruno Bonicatto tutto questo accanto a tutte le informazioni raccolte necessarie a mettere in luce tutte le impronte che la vittima ha lasciato nella sua vita fanno parte di un processo investigativo complesso finalizzato alla costruzione di un profilo psicologico il più attendibile possibile sul suicida per poter definire il più accuratamente possibile la causa o le cause della sua morte.

Passiamo ora a considerare l’utilizzo dell’autopsia psicologica nei casi di omicidio. Lo stesso autore, in accordo con quanto affermavo all’inizio dell’articolo scrive che “lo studio delle vittime riveste una importanza fondamentale nelle investigazioni criminali. Dallo studio e dall’analisi delle caratteristiche delle vittime, dalla costruzione di un loro profilo, si possono trarre elementi utili per svelare la dinamica e la genesi dei fatti e, non ultimo, gettare le basi per la costruzione di un profilo dei criminali. [Bonicatto B., pag. 53, 2006]

Aggiungerei inoltre un aspetto che non mi sembra irrilevante: concentrarsi su quella specifica vittima, scandagliarne analiticamente la vita, arrivare ad un suo profilo psicologico attendibile, significa concentrarsi su quello specifico crimine, su quella specifica relazione criminale ignoto e vittima, che avrà delle caratteristiche del tutto peculiari rispetto ad altre; questa attenzione alle peculiarità del caso specifico esenta dal rischio di affidarsi troppo agli elementi statistici che possono fuorviare generalizzando troppo; inoltre un’attenta analisi della vittima attraverso un processo accurato di autopsia psicologica permetterà di poter cogliere attraverso l’analisi delle banche dati criminali eventuali analogie con altri casi dove fossero presenti vittime con caratteristiche fortemente simili tra loro per poter formulare dopo una severa valutazione magari l’ipotesi di una serialità omicidiaria. In questi casi è sempre opportuno che gli investigatori tengano sempre in considerazione, comunque, anche la possibilità di trovarsi di fronte a casi di staging.

Di conseguenza “la storia della vittima può dare […] importanti informazioni sugli antefatti, lo stile di vita e portare, attraverso queste informazioni, a dirigere i sospetti ed a indirizzare l’investigazione.” [Bonicatto B., pag. 53, 2006]

Per quanto riguarda gli incidenti mortali non staremo in questa sede ad analizzarne le psicodinamiche e quindi gli aspetti intrapsichici e tanti altri co -fattori determinanti nella loro dinamica, come l’abuso di alcol e droghe tra i giovani che pur sono elementi fondamentali e dovranno essere tenuti ben presenti dall’esperto.

Diciamo subito che anche in questi casi dovranno essere evitate le generalizzazioni perché come per il suicidio o per l’omicidio, ogni incidente stradale è un caso a parte la cui analisi dovrà essere di conseguenza mirata specificamente a quella particolare vittima e a tutti gli altri attori che intervengono nella scena di quel particolare incidente.

Anche in questi casi l’autopsia psicologia si presenta come lo strumento migliore per mirare a queste finalità: l’utilizzo del suo rigoroso protocollo “ci aiuta a ricostruire retrospettivamente la storia della vittima, per stabilire se il suo ruolo fu attivo o passivo nel provocare o, viceversa, subire l’incidente. L’autopsia psicologica sarà utilizzata anche nei casi di morte dubbia, casi in cui non è facile dare un’interpretazione di quanto è successo: se si tratti in realtà di un incidente o piuttosto, di un suicidio mascherato. Non solo, quindi, negli incidenti stradali ma anche per quanto riguarda gli incidenti domestici si potrà avvicinare la verità, la reale sostanza di quanto, in un primo momento può apparire come imputabile alla sola tragica fatalità. […] Esistono poi nelle cronache, casi più singolari e tragicamente ‘unici’, dove l’unica possibilità di spiegazione è il ‘destino’, la tragica causalità e dove, viceversa, riteniamo sarebbe opportuno approfondire la storia della vittima e/o del responsabile per giungere a scoprire la genesi e la dinamica dei fatti (es. la vittima aprì la porta dell’ascensore ed entrò non avvedendosi che la cabina dello stesso non era al piano; il conducente, facendo manovra di retromarcia con la propria autovettura, non si avvedeva della presenza di un bimbo, a volte del figlioletto dietro l’auto e, di conseguenza, il piccolo veniva travolto e ucciso).

L’autopsia psicologica ci consente di avvicinare la verità, superando l’apparenza, non solo per definire le responsabilità penali e /civili ma anche per alimentare il dibattito sui temi dell’organizzazione psico-sociale e per sollecitare tutti gli interventi possibili e finalizzati ad una concreta prevenzione, vista l’inefficacia delle sole norme repressive e/o punitive. [Bonicatto B., pagg. 69-70, 2006]

Purtroppo, come lo stesso autore citato afferma, l’autopsia psicologica a tutt’oggi rappresenta ancora un tema di interesse troppo marginale tra gli addetti ai lavori. In Italia è ancora molto teorizzato ma poco applicato nonostante le ricerche in merito a livello internazionale abbiano provato che possa dare degli ottimi risultati e dei contributi non marginali al processo investigativo.

Uno dei paesi, invece, in cui si è maggiormente sviluppato il protocollo di autopsia psicologica è Cuba. A tal proposito seguiamo ancora Bonicatto:

“A partire da revisioni multiple dei modelli, delle scale di valutazione, delle guide e dei formulari tratti dalla letteratura specializzata e dai lavori precedenti, si è creato un modello proprio ed originale che è stato inizialmente denominato MAP (Modelo de autopsia psicologica), successivamente ed incorporando altri items durante la validazione dello stesso, applicandolo nello studio delle vittime di suicidio, omicidio e di incidenti, si è giunti al modello, attualmente utilizzato e perfezionato, chiamato MAPI (Modelo de Autopsia Psicologica Integrado).

Il MAPI a differenza di tutti i modelli utilizzati in precedenza è completamente strutturato e sistematizzato in maniera tale da ridurre al minimo il margine di errore.

Tutti coloro che applicano questo protocollo sono tenuti a realizzarlo nello stesso modo, dovendosi attenere alle indicazioni di un manuale che contempla e richiede risposte prestabilite, al fine di evitare l’inclusione di elementi soggettivi nella valutazione di ogni caso e rendere verificabile e riproducibile da terze persone il risultato della ricerca.

La metodologia scientifica utilizzata per la validazione del MAPI è stata sviluppata dal Ministero della salute pubblica di Cuba e in particolare dall’Istituto di Medicina Legale della Città de La Habana attraverso tre investigazioni realizzate tra gli anni 1990 e 1996 su vittime di suicidio, omicidio e incidenti (soprattutto stradali), investigazioni che dimostrarono che ricorrere a terze persone per ottenere informazioni sul caso di morte risulta affidabile, che il metodo è percorribile e che lo strumento, il MAPI, è, di conseguenza, applicabile e generalizzabile.

L’applicazione del MAPI attualmente si estende ad altri paesi latinoamericani, già dalla fine del 1994, e si impiega con successo nella soluzione di casi civili e penali in Messico, in Cile (soprattutto nello studio dei suicidi), in Honduras Che ha introdotto, attraverso la Direzione di Medicina Forense, questa tecnica nel 1988 nei casi civili e penali, specialmente per la soluzione dei casi di morte dubbia e/o equivoca e nell’investigazione in generale, con la peculiarità di incorporare gli assistenti sociali in qualità di periti), in Costa Rica (includendo tale modello tra le tecniche a disposizione del Pubblico Ministero per l’investigazione sugli omicidi). [Bonicatto B., pag 16, 2006]

L’autore auspica che anche nel nostro paese possa essere costruito un Modello di Autopsia Psicologica Integrato che possa essere applicato alla nostra realtà socio culturale e alle nostre peculiari casistiche.


BIBLIOGRAFIA

Bonicatto B., Garcia Pèrez T., Rojas Lòpez R. (2006), L’autopsia Psicologica, Franco Angeli, Milano

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