In viaggio con Ulisse e con Antonio Mercurio alla ricerca della Bellezza Seconda

 

 

           In viaggio con Ulisse e con Antonio Mercurio

                  alla ricerca della Bellezza Seconda

              

                 a cura del Dott. Antonio Scarcella, Psicologo Psicoterapeuta

 

 

 

La figura mitica di Ulisse è entrata nel nostro immaginario come colui che affronta situazioni difficili, ma che è tutto preso dal fare ritorno a casa, Itaca.

Nel libro “IPOTESI SU ULISSE” l’autore, il Prof. Antonio Mercurio, oltre a riconoscere questo fatto si immerge in profondità e formula stimolanti nuove ipotesi sul viaggio che Ulisse compie in 10 anni lungo il mare mediterraneo.

Voglio qui di seguito riportare alcuni passi originali del libro e alcune domande poste all’Autore  sulla figura di Ulisse nel corso di una intervista realizzata da Annalisa Montinaro per la manifestazione “Lo Sguardo di Omero” che si è svolta a San Foca (lecce) il 2-3-4 settembre 2011.

 (dalla Introduzione)

Sono profondamente convinto che Omero abbia composto l’Odissea per dire ai suoi contemporanei e ai posteri, secoli prima che lo dicessero i filosofi presocratici, che gli dèi non sono divinità immortali ma solo rappresentanti simbolici delle forze spirituali cosmiche e delle forze spirituali umane e che il senso della vita dell’uomo consiste nel compiere la fusione di queste forze per creare bellezza immortale per sé e per l’Universo intero.

Da questa fusione tra forze cosmiche e forze umane può nascere una bellezza che sia veramente immortale e al cui confronto la bellezza di Afrodite e quella di Ares sono solo una pallida ombra degna della derisione degli dèi.

Nella realizzazione di questa suprema bellezza, e non nella gloria militare come canta l’Omero dell’Iliade, consiste il senso della vita: il senso della vita del cosmo e il senso della vita degli uomini.

Per operare questa fusione delle forze cosmiche con le forze umane è necessario avere molto coraggio, più grande ancora del coraggio militare; per crearla bisogna affrontare e superare molti patimenti non da vittime ma da artisti che siano capaci di creare una bellezza che non esiste ancora, traendo energia dal dolore, dalla colpa e dalla continua trasformazione di se stessi.

Il travagliato ritorno di Ulisse ad Itaca è un’immensa metafora per descrivere in forma poetica il percorso spirituale alchemico che possono compiere l’uomo e la donna per fondersi “in un’anima sola” e quindi creare una forma di vita immortale che è di gran lunga superiore alla forma di vita terrena che tutti abbiamo.

Non è possibile raggiungere questa forma di vita superiore e immortale senza operare attraverso la forma di vita terrena che gli uomini hanno e gli dèi non hanno.

Non è solo l’essere umano a desiderare l’immortalità ma il cosmo intero; il cosmo, però, pur con tutte le sue possenti energie, senza la collaborazione dell’uomo e della donna, non potrà mai arrivare a creare l’immortalità a cui aspira.

L’uomo non avrebbe alcun desiderio di immortalità se non fosse stato il cosmo a infondergli dentro questa aspirazione.

L’immortalità che gli uomini e i poeti attribuivano agli dèi dell’Olimpo è un’immortalità fittizia che non regge alle insidie del tempo e perciò giustamente Ulisse rifiuta l’immortalità che Circe e Calipso, dee sovrane, gli promettono se acconsentirà a sposarle.

Alle forze spirituali positive, quelle cosmiche e quelle umane, si oppongono terribili forze negative che ostacolano in tutti i modi il cammino della fusione tra le energie cosmiche e le energie umane.

Il dio Poseidone da una parte (versante cosmico) e i Proci dall’altra (versante umano) sono simboli potenti a cui Omero ricorre per raffigurare le oscure forze negative.

Alla fine, però, i Proci saranno sterminati e Poseidone dovrà arrendersi di fronte alle forze positive che sono all’azione. A ben considerare le cose, sia Poseidone sia i Proci, pur contro la loro volontà, giocano un ruolo di servizio a favore delle forze positive e sono necessari entrambi al raggiungimento della progettualità cosmica.

Le “nozze sacre” tra il cosmo e gli umani (rappresentate da Ulisse e Penelope) certamente si faranno e da queste nozze nascerà una nuova forma di vita che sarà dotata di vera immortalità e di bellezza imperitura.

Se i Misteri Eleusini e i Misteri Orfici, che pure miravano al raggiungimento della immortalità dei loro adepti, sono rimasti avvolti nel mistero e i loro riti segreti sono morti con la morte dei loro adepti, non sarà così per la via verso l’immortalità che segue Ulisse, perché essa è contenuta sotto il velo dei versi di Omero e bisogna solo leggerli e meditarli a lungo e poi questa via si svelerà e sarà a disposizione di tutti.

Zeus, il padre degli dèi e degli uomini, è l’asse del mondo e come tale è il depositario della saggezza cosmica e della intelligenza suprema che guida questo universo e gli uomini verso la meta che è la bellezza suprema da creare. Atena ed Ermes sono gli dèi che fanno da messaggeri tra Zeus e gli uomini.

Questa saggezza viene dispensata a tutti, anche a coloro che stanno per macchiarsi di un delitto (Egisto, per es.) e gli uomini sono liberi di accoglierla, persuadendo il loro cuore, o di rifiutarla, chiudendo il cuore. Se la rifiuteranno saranno essi, ed essi soltanto, ad essere i responsabili dei mali che pioveranno loro addosso.

Qui siamo di fronte a una visione del mondo, inedita per l’Oriente e per l’Occidente, dove non c’è nessun dio che premia o che castiga e nessuna entità karmica che costringe tutti a pagare per le colpe commesse nelle vite precedenti. Ognuno è responsabile della vita che gli è donata e deve solo decidere se viverla da vittima infelice o da artista della vita che è chiamato a contribuire con l’universo intero alla creazione della bellezza immortale.

L’Odissea non è un libro di avventure ma un libro sapienziale (ogni grande cultura ne possiede uno) a cui ogni uomo può ricorrere per conoscersi profondamente e per operare in vista della bellezza e della immortalità, quella sua e quella dell’universo intero.

È solo parzialmente vero che Ulisse è ostacolato da Poseidone nel suo ritorno verso Itaca; la verità per intero è che Ulisse è stato scelto da Zeus per essere sottoposto a “prove” continue per forgiare il suo coraggio e la sua determinazione a voler raggiungere la meta della fusione delle forze cosmiche e delle forze umane, a rischio anche della vita se necessario, in vista della bellezza da creare.

C’è un altro libro sapienziale, la Bibbia, dove si parla di un uomo di nome Giobbe che viene sottoposto dal suo dio alle peggiori sofferenze possibili, ma non si sa il perché questo avvenga. Il perché è avvolto nel mistero di un dio che non rivelerà mai all’uomo paziente che è Giobbe il perché di tante sofferenze. Cui prodest tanto dolore? Non si sa.

Ulisse, il paziente Ulisse, l’uomo dai mille patimenti, come spesso lo chiama Omero, verrà sottoposto a tante prove. Questo è detto nel proemio del poema e poi viene ripetuto nel penultimo canto, dove si dice che anche Penelope è chiamata ad affrontare le prove e non solo Ulisse. Il perché di queste prove non è un mistero e viene descritto di tappa in tappa lungo tutta l’Odissea. Basta solo saper leggere e saper meditare. Basta solo confrontare la propria vita con la vita di Ulisse e con quella di Penelope e la verità verrà a galla. Non c’è nulla che noi oggi viviamo che non si rispecchi, nella sostanza se non nel modo, in quello che hanno vissuto Ulisse e Penelope. Essi, però, ascoltavano attentamente la saggezza interna e la saggezza cosmica, rappresentata da Atena e da Zeus, e potevano sì concedersi ambivalenze o tentennamenti ma poi sapevano scegliere la strada giusta. Per questo sono diventati archetipi immortali per gli uomini e le donne di tutti i tempi.

Il sesso, dice Omero, non è peccato se non reca violenza a nessuno mentre è una grave colpa accettare di restare invischiati nell’incesto intrauterino e in una simbiosi perversa con la madre divorante e castrante. Così pure è una grave colpa restare preda dell’odio rimosso, dell’avidità, dell’invidia, della hybris e dell’arroganza, della volontà omicida e suicida e della vita come furto: sono tutti veleni che distruggono la vita, quella propria e quella altrui.

Ho formulato queste ipotesi man mano che andavo vivendo situazioni dolorose per fatti della vita e intanto che andavo creando la Cosmo-art e man mano che scoprivo la piena corrispondenza che c’era tra la visione antropologica e cosmologica della Cosmo-art e quella stessa di Omero.

*************

Domande poste all’Autore  sulla figura di Ulisse nel corso di una intervista realizzata da Annalisa  Montinaro per  la manifestazione  “Lo sguardo di Omero” che si è svolta a San Foca  (Lecce)  il 2-3-4 settembre 2011.

 

Prima domanda

 Qual è lo sguardo di Omero su Ulisse e come Omero trasforma il personaggio mitico, su cui si era sbizzarrita la fantasia del popolo greco, in un personaggio poetico? Cosa vuol dire essere un personaggio poetico?

 Ulisse, in quanto personaggio omerico, non combacia esattamente con il personaggio creato dalla mitologia greca. Le versioni del mito di Ulisse sono numerose e Omero nel creare l’Odissea ne ha scelto alcune e ne ha tralasciate altre.

Se si considerano attentamente quali versioni sono state scelte e quali altre sono state scartate,  allora si riesce a intuire qual è il pensiero filosofico di Omero che sottende e guida queste scelte e come esse presentino una visione della vita totalmente inedita rispetto ai suoi tempi e rispetto a quello che era Ulisse nell’Iliade.

Jung direbbe che Omero ha dato a Ulisse un taglio archetipico e, in quanto tale, esso è valido per tutti i tempi e per tutte le culture. Un personaggio che sia solo poetico è rinchiuso dentro una forma che è difficilmente modificabile. Non è così per un personaggio archetipico che può rivelare sempre nuovi contenuti che vengono estratti dall’inconscio collettivo.

Quello che non ha fatto Omero, l’hanno però fatto molti studiosi frettolosi di Omero che hanno ridotto Ulisse a un cliché stereotipato che parla solamente di un uomo dalle molte astuzie e dai molti inganni.

Il pensiero innovativo di Omero riguarda per prima cosa la natura degli dèi, poi la qualità del rapporto degli dèi con gli uomini e poi ancora la progettualità degli uni e la progettualità degli altri, e come le due progettualità siano strettamente legate insieme. Quanto alla natura degli dèi, due sono i punti fondamentali per Omero che contrastano con il pensiero dei suoi contemporanei.

Anticipando di gran lunga i presocratici, Omero afferma che gli dèi non sono esseri immortali ma non lo afferma in maniera esplicita lo dice in maniera astuta, certamente per non fare la fine di Socrate. Quando la dea Calipso chiede a Ulisse di sposarla e in cambio gli promette di renderlo immortale, Ulisse rifiuta con fermezza questa immortalità e questo è un fatto inaudito e incomprensibile in tutta la mitologia greca. Ulisse, e Omero con lui, sa che questa immortalità non è vera e perciò deve essere rifiutata. Gli dèi non sono esseri immortali ma sono forze cosmiche sotto forma antropomorfa.

Secondo punto fondamentale, e questo è detto esplicitamente nel proemio, gli dèi non sono esseri vendicativi e non sono punitivi. Essi ci sono per dispensare saggezza a tutti, anche a quelli che stanno per compiere un omicidio (come è il caso di Egisto, l’amante di Clitemnestra).

Gli uomini, sono liberi di ascoltare i saggi consigli che vengono dagli dèi e sono liberi di rifiutarli. Ma se decideranno di non ascoltarli, i mali che ne seguiranno dopo, sono causati dagli uomini che non hanno seguìto le “leggi della vita” e non sono punizioni degli dèi.

Quanto alla progettualità degli dèi, essi non vivono  di solo pane (i Greci direbbero: di nettare e di ambrosia) ma di pane e di bellezza però di un tipo particolarissimo di bellezza che può essere frutto soltanto della fusione di forze umane e di forze cosmiche e questa è l’impresa che deve realizzare Ulisse, nell’Odissea, con l’aiuto costante di Atena e di Zeus.

Neanche gli uomini possono vivere di solo pane e anch’essi sono alla ricerca costante della bellezza. Non di una bellezza effimera come è quella di Elena ma di una bellezza che è immortale, perché ha incontrato la morte e l’ha trasformata in una nuova forma di vita, che, una volta creata, non deve più subire la morte.

Dove e come creare questa bellezza, che in natura non esiste, Omero l’ha descritto e l’ha condensato in tutto l’agire di Ulisse e di Penelope. Ma l’umanità non è ancora pronta per vederla né tanto meno sceglierla come scopo della vita.

 

Seconda domanda 

L’Odissea, come lei stesso afferma, non è un libro di avventure ma un libro sapienziale. Quanta luce fa e farà ancora l’Odissea di Omero nella nostra vita?

 Che Ulisse sia il rappresentante della sapienza di Omero, l’aveva già capito Dante Alighieri quando pone in bocca a Ulisse i celebri versi: “Fatti non foste a viver come bruti ma a seguir virtute e conoscenza”. Ma se questo è il merito di Dante, il suo demerito è che lo condanna a stare all’inferno, nel girone dei fraudolenti e poi, tutto preso com’è dalla sua ideologia cristiana, lo fa morire affogato con tutti i suoi compagni, per aver osato attraversare le Colonne d’Ercole.

Quello di Ulisse era “un folle volo” perchè non aveva,  come Dante, la grazia divina  per poter arrivare sino all’empireo. Perciò doveva morire e finire all’inferno. Dante non ha capito e non poteva capire, tutta la portata del personaggio di Ulisse  perché il testo intero dell’Odissea arriva in Europa solo nel 1500, dopo la caduta dell’impero di Costantinopoli.

Tuttavia gli studiosi di Omero, dal 1500 in poi, vedono tutti le astuzie e gli inganni di Ulisse e non vedono mai quanto a lungo Omero parli di Ulisse come dell’uomo dai mille patimenti né del perché egli debba affrontare così tanti dolori e così tanti patimenti.

Quando parlano della sete di conoscenza di Ulisse, capiscono solo che Ulisse voleva conoscere genti e città e non pensano quanto Ulisse volesse conoscere profondamente se stesso e quanto volesse trasformarsi per poter diventare un artista della sua vita e creare nuova bellezza. Ma è proprio in questo cammino di conoscenza e trasformazione che è condensata tutta la sapienza di Omero. Egli non è soltanto un sommo poeta ma è colui che ha saputo capire quali sono i grandi problemi dell’uomo e come arrivare a risolverli.

A mio parere, il racconto dell’odissea di Ulisse è il racconto della personale odissea di Omero, affrontata con arte, con dolore e con saggezza nella sua stessa vita e poi trasferita nel personaggio di Ulisse, anche se con modalità diverse.

Ai monaci cristiani questo non sta bene e perciò distruggono a martellate i blocchi marmorei che parlano di Ulisse ed erano posti nella villa di Tiberio a Sperlonga. Sono esempi pagani e dunque pericolosi. Etruschi e Romani, invece, ne traevano spunto per guidare la loro vita, come appare dai molti reperti archeologici che io stesso ho potuto ammirare in una esposizione a Roma, nel 1996. Oggi il cristianesimo va scomparendo sempre di più in Europa e i valori cristiani non hanno più attrattiva.

Con quali valori si nutriranno i giovani di domani? Negli insegnamenti della SOPHIA UNIVERSITY OF ROME, Omero e Ulisse  sono messi al primo posto.

 Terza Domanda

Lei non crede, come gli altri studiosi dell’Odissea che Ulisse sia attraversato dalla nostalgia del ritorno. Da che cosa è attraversato allora?

 Ulisse ha combattuto un’aspra e lunga guerra a Troia, s’è ricoperto di gloria e si è guadagnato un ricco bottino. Menelao s’è ripresa la bellissima Elena. Ma ben presto questa bellezza sarà guastata dal tempo e sarà rapita dalla morte. A che è servita una guerra così atroce e piena di lutti?

Ulisse parte da Troia ed ha questa domanda in testa: cosa fare per trovare una bellezza che non tema la morte? Ulisse, quindi, non ha nessuna intenzione di tornare a Itaca se prima non avrà trovato la risposta alla sua domanda.

Con buona pace di tutti coloro che si sono fissati sulla nostalgia di Ulisse per il “nostos”, io sento di poter dire con Omero che lo scopo principale del viaggio avventuroso e drammatico di Ulisse ha come finalità la conoscenza e la trasformazione di se stesso, da predone che è, in un artista della vita capace di scoprire il segreto di come creare una bellezza che sia immortale per sé e per gli altri.

C’è un altro mito, ancora più antico di quello di Ulisse, il mito di Gilgamesh che va per mari e per monti senza fermarsi mai sinchè non avrà trovato il segreto dell’immortalità. Certamente Omero conosceva questo mito e lo sviluppa nell’Odissea con grande originalità.  Tutti , se vogliono, possono imitare Ulisse, nessuno può imitare Gilgamesh.

 Quarta domanda

 Quali progetti Ulisse porta nel cuore per sé e per Penelope?

 Cominciamo col ribadire che in due punti fondamentali dell’Odissea, dove si parla del ritorno si parla subito della sposa, cioè di Penelope: Nel Proemio, al verso 13 si dice: “Ulisse sospirava il ritorno e la sposa”. Nel dialogo di addio tra  Calipso e Ulisse, libro V, vv. 209 e 210, la dea dice che Ulisse è “tanto bramoso di rivedere la sposa  e sempre la invoca ogni giorno”.

Ecco due passaggi importanti: come mai tutti vedono il ritorno e nessuno vede la sposa? Come mai tutti vedono “l’uomo ricco di astuzie” e nessuno vede, come è scritto già nel libro I, al verso 4:  “molti dolori patì in cuore sul mare”? E chi si domanda qual è il nesso tra i dolori  e il ritorno dalla sposa?

Tutto questo non voler vedere quello che c’è e vedere quello che non c’è, a me dice che Omero è letto con molta superficialità e questo non è senza motivo, perché ciò che propone Omero è molto difficile da accettare.

Il progetto che Ulisse porta in cuore per sé e per Penelope è descritto mirabilmente nel dialogo che avviene tra Nausicaa e Ulisse: “Marito e casa ti diano gli dèi e la concordia gloriosa a compagna. Niente è più bello e più prezioso di questo quando con un’anima sola dirigono la casa l’uomo e la donna. Molta rabbia ai maligni ma per gli amici è gioia e loro han fama splendida.” (libro VI, vv. 180-185).

In queste parole, a lungo pensate e meditate nei sette lunghi anni passati nella prigionia di Ogigia, è racchiuso tutto il senso della vita che Ulisse ha scoperto come essenza del progetto stesso della Vita in senso universale e del Cosmo in cui noi viviamo in particolare.

Fondere in un’anima sola l’Io e il Tu di un uomo e di una donna.

Fondere in un’anima sola l’Io dell’uomo e il Tu dell’Universo intero.

Questa è l’alchimia che crea la sintesi degli opposti e da questa sintesi può emergere una bellezza nuova e una nuova forma di vita che sia immortale per sempre. Questo è il senso della vita di cui ci fanno dono Omero e Ulisse e di esso ho parlato a lungo nel mio libro “IPOTESI SU ULISSE”.                     

 

 

commenta questa pubblicazione

Sii il primo a commentare questo articolo...

Clicca qui per inserire un commento