Per un uso più consapevole degli psicofarmaci

*Premessa: è indispensabile e professionalmente corretto, visto il tema trattato, avvisare tutti i lettori che non sono un medico, ma uno Psicologo - Psicoterapeuta*

Questo contributo nasce con l'intento di fare un pochino più di chiarezza sull'uso degli psicofarmaci. Sarà un articolo particolare, in quanto la (sintetica) bibliografia è presente all'inizio lettura, anziché come di consueto al margine dell'articolo.
Eccola:

- I Farmaci Antidepressivi: il crollo di un mito, di Irving Kirsch, Tecniche Nuove, Milano, 2012;
- Indagine su un'epidemia, di Robert Whitaker, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2013;
- Le pillole più amare, di Joanna Moncrieff, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2020;
- Il cervello del paziente, di Fabrizio Benedetti, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2011
- Effetti placebo, di Fabrizio Benedetti, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2021.

Vorrei anche fare altre due importanti precisazioni per il lettore:
1) la somministrazione di qualsiasi farmaco è di pertinenza esclusiva del personale medico. Anche il cambio di posologia va fatto solo loro previa consultazione, e non vanno mai ascoltati e seguiti pareri ed indicazioni di altri professionisti che non esercitino questa professione. Nemmeno gli psicologi-psicoterapeuti possono intervenire in questo ambito, è bene ricordarlo e ricordarlo agli assistiti, qualora si eserciti questo mestiere.
2) Con questo scritto non è mia volontà rifiutare categoricamente l'intervento psicofarmacologico negli interventi di cura della salute psichica. Sostengo invece che il loro uso vada sempre adoperato con logica terapeutica e abbinato sempre ad una psicoterapia. 

Nella pratica clinica che mi vede impegnato dal 2004 nel settore della salute mentale, mi sono accorto che tante, troppe persone ricorrono a calmanti, antidepressivi, antipsicotici con relativa facilità, spesso appoggiati da personale medico non favorevole o reticente all'uso della psicoterapia.
Il cervello, organo bersaglio di questi farmaci, non è un organo come il cuore, il polmone, la milza. È un sistema complesso, ben protetto da virus, batteri e altre sostanze che possano entrare nelle loro delicate strutture cellulari. Il cervello fa parte del Sistema Nervoso Centrale, che nasce e si è evoluto per trattare ed elaborare in forma complessa le informazioni che provengono dall'ambiente e dall'interno del corpo.
La cura per il cervello - se non abbiamo davanti patologie che compromettono a livello strutturale e anatomico i suoi componenti, come demenze, tumori, neuropatie varie - si distingue dalla cura degli altri organi umani. Se abbiamo un'infezione alle vie respiratorie, per esempio, la cura si articola nella somministrazioni di particolari sostanze atte a debellare l'infezione in atto: si avvertono dei sintomi disfunzionali (tosse, raucedine, febbre...), si va dal medico che prescrive eventualmente degli esami diagnostici per approfondire la conoscenza della causa e poi viene data la cura, spesso sotto forma di pillole (antibiotici, antinfiammatori, ecc.)
Il paziente poi è autonomo in tal senso: torna a casa, prende quanto prescritto e valuta dopo qualche giorno se tornare dal dottore. Quando guarisce l'iter procedurale finisce lì. Dovesse continuare a stare male, il dottore rivaluterà e vedrà se cambiare terapia.

Non funziona così nel campo della salute mentale. Non basta andare da un medico, riferire lui i sintomi (esempio: ansia, insonnia...), farsi dare dei calmanti o dei sonniferi e poi chiudere lì la cosa. Spesso accade che il medico di base prescriva degli ansiolitici in gocce e dia al paziente una posologia (esempio: prenda 10 gocce alla sera per addormentarsi). Il paziente però potrebbe ragionare in questo modo: "Ieri le ho prese, ma stanotte vorrei dormire un'ora in più. Cosa mi costa se anziché prenderne 10 ne prendo 12?". Oppure al momento dell'auto-somministrazione il conteggio non è proprio perfetto... Posso essere 12, anche 15 - soprattutto poi se la boccetta è quasi alla fine. In questo modo si crea un'assuefazione dal punto di vista del cervello che risulta essere non tanto semplice da togliere, per una serie di motivi legati all'aspetto biochimico del funzionamento della nostra testa. 
Pensateci un attimo: se il medico vi dice di prendere una compressa da 1000 mg di paracetamolo per far sì che la febbre scenda, quanti di voi si sognerebbero di prenderne un terzo in più - senza consultarlo prima - per far sì che faccia più effetto? 
Con gli psicofarmaci questo accade di frequente.

Quando una persona sta male perché sopraffatta dall'ansia, dalla depressione, da qualche ossessione che non la lascia vivere serenamente, il ricorso agli psicofarmaci sembra essere la via più semplice per la risoluzione dei tormenti:
"...non dormo, vado dallo psichiatra, mi da qualcosa, la prendo, torno a casa e starò meglio per un po'...e se sto ancora male tornerò da lui..."
La pillola, o le gocce, però, non ti ascoltano. Ti rendono sordo per un po'. Ma poi il tormento riprende. L'ansia riparte. Gli attacchi di panico, la mancanza di respiro, il timore di impazzire, sono sempre lì, dietro l'angolo. Guai a dire in giro che ti sembra di stare su un altro pianeta, che ti senti come "estraniato" dal corpo, guai: se lo dici al partner o al collega di lavoro inizia a guardarti male. Ti suggerisce di fare un salto in psichiatria, che è la parolina rivista che è andata a sostituire quel brutto termine di "manicomio". 
In poche parole, ti prendi lo stigma di "pazzo", stigma difficile poi da togliere.
Allora è più conveniente andare di tanto in tanto dal medico in tutta autonomia e discrezione, farsi rivedere i farmaci e continuare così. Anno dopo anno.
In questo modo non stiamo combattendo contro l'ansia. Stiamo solo prolungando l'agonia.

Soluzione? È più difficile all'inizio rivolgersi dai "dottori dei matti" (si, ahimè, veniamo visti ancora così, credetemi...), e intraprendere un percorso assieme. Una, due volte alla settimana per cinque, sei mesi. A volte sono necessari più mesi. Nella mia pratica clinica non vado oltre gli otto di media, perché è nell'interesse del cliente ridiventare autonomo, anche dallo psicoterapeuta.
La psicoterapia è risaputo da decenni che aiuta a stare meglio. Fonti: i libri esposti ad inizio articolo. In alcuni casi la psicoterapia risulta essere più efficace degli psicofarmaci, e l'uso combinato di questi con la psicoterapia è in assoluto il modo migliore per uscire da certe problematiche.
Certo, ci vuole impegno, costanza, perseveranza, e dolore, perché la psicoterapia significa anche questo, dolore. Ma non un dolore evocato per stare male, così, ma molto più simile a quello di quando subiamo un intervento chirurgico: in quel caso il chirurgo è costretto a tagliare un pezzo di tessuto, ma poi sa che la ferita si rimarginerà, e il danno verrà riparato. Lo stesso vale con la psicoterapia: dobbiamo affrontare i fantasmi che ci fanno tremare, portarli alla luce del sole e fare sì che svaniscano. Quando lo si fa, il cliente, il paziente, è in contesto protetto, difeso in tutto e per tutto dal terapeuta (noi lo chiamiamo "setting" lo spazio fisico e mentale dove si fa psicoterapia).

Mi si potrebbe anche obiettare che la psicoterapia costa. E che i farmaci invece no, costano molto meno.
Un attimo: gli psicofarmaci possono essere pagati dal Servizio Sanitario Nazionale. Non sono gratis, e spesso costano parecchio. Li paghiamo sempre noi, ma la spesa non la vediamo nell'immediato. Un po' come pagare a rate. Mi compro una macchina in 35 rate, "solo" poche centinaia di euro al mese. Ma provate voi a sommare alla fine dei pagamenti quanto avete sborsato.  Pagare a rate è comodo, ma non molto conveniente. Lo stesso vale per gli psicofarmaci. Più se ne usano, più la spesa sanitaria cresce. E quindi più tasse l'anno prossimo.
La psicoterapia invece va nel verso opposto. Se viene fatto un buon lavoro terapeutico, la persona starà meglio e tenderà a ridurre l'uso dei farmaci, migliorare la qualità della vita e si staccherà progressivamente dal terapeuta e dallo psichiatra (se è in cura anche con lui). Alla lunga, la psicoterapia fa bene anche alle casse dello Stato. Se ne sono già accorti in Gran Bretagna, e la strategia funziona. In Italia ci stiamo ancora scornando sul diritto di avere uno psicologo di base e le indicazioni stesse per il bonus psicologo sono ancora blandi interventi per chi ha davvero bisogno di un supporto professionale psicologico per la propria salute. 

Nel caso di un attacco di nervi incontrollato, l'esasperazione di uno stato mentale portato al limite, il farmaco può funzionare in modo eccellente. Ma non bisogna insistere con quel tipo di terapia. La persona va sì calmata, ma poi va capita, e se ha una situazione complessa che genera in lei ansia e crisi di nervi, va aiutata a risolvere la problematica, se da sola non ce la fa. Va detto a quella persona che capita a tutti avere momenti difficili, ed essere supportati da un professionista non vuol dire essere diversi o essere accompagnati a vita da esso. E' un momento della vita. Se tutto è andato storto, probabilmente non avevamo azzeccato l'adattamento ottimale. L'aiuto serve a questo, cercare di essere efficaci ed efficienti - e con meno dolore possibile - con le sfide che la vita quotidianamente ci lancia.

Fino a quando medici e psicologi saranno divisi nella cura psicologica, non potremo mai arrivare guarire in modo ottimale il sofferente. Del resto, ricordiamocelo, l'uomo è pur sempre un animale sociale.

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